Il Borghese n. 5 – Roma maggio 2017
di Giuseppe Brienza
«Wilders è la versione politica di Oriana Fallaci, che è stata la grande profetessa della nostra epoca». Parole di Geerten Waling, giovane ricercatore olandese dell’università di Leiden, di commento all’esito delle elezioni politiche nei Paesi Bassi che si sono tenute il 15 marzo. Geert Wilders, ex liberale che nel 2004 ha fondato il partito sovranista PVV (Partito per la libertà), ha ottenuto in queste ultime consultazioni ben 20 seggi parlamentari, 5 in più rispetto alle precedenti politiche del 2012, divenendo così il secondo partito a livello nazionale.
Nel momento in cui scriviamo (inizio aprile), dalle elezioni non è ancora scaturito un nuovo governo, sebbene sia dato per scontato che l’attuale premier Mark Rutte, leader del Partito popolare per la libertà e la democrazia (VVD), che ha ottenuto soli 33 seggi, continuerà a fare il Primo Ministro, senza però poter riproporre la linea politica filo-Ue e filo-immigrazione finora adottata. Nonostante il crollo dei laburisti, che sono riusciti a portare a casa a malapena 9 seggi rispetto ai 38 seggi conquistati nel 2012, la coalizione governativa continuerà a essere di centro-sinistra, perché la maggioranza parlamentare sarà frutto di un accordo diretto del VVD con i cristiano democratici del CDA (Appello Cristiano Democratico) e i socialdemocratici del D66, i quali hanno ottenuto entrambi 19 eletti.
Dall’intervista citata all’inizio di questo articolo usciamo confermati circa la lettura dell’attuale situazione politico-sociale dell’Olanda che abbiamo offerto, in totale contro-tendenza rispetto a quella propinata dai grandi media italiani e internazionali, che rende del tutto fuori luogo l’esultanza nel dopo-voto da parte degli eurocrati ed euro-entusiasti. Come ho avuto modo di scrivere sul giornale diretto da Mario Adinolfi, infatti, «al suo debutto elettorale nel 2006, il PVV conquistò 6 seggi, offrendo per un breve periodo un supporto parlamentare esterno al governo di minoranza del premier Rutte. Alle elezioni del 2012 i seggi furono soltanto 15 e, alle europee del 2014, il partito di Wilders ottenne per la prima volta una rappresentanza con 4 seggi su 26. Per questo i 20 seggi che gli riconoscono queste politiche, tanto più nel frammentato panorama elettorale olandese, costituiscono una sostanziale affermazione. […] Lo spauracchio dell’uscita dell’Olanda all’Unione Europea (Nexit), non è del tutto annullata» (G. Brienza, Olanda: un voto da leggere bene, in La Croce quotidiano, 16 marzo 2017, pp. 1-2).
Non può essere negata l’importanza storica, in un Paese come l’Olanda che nel 1957 è stata fra i membri fondatori della CEE (attuale Ue), del grande credito riconosciuto dalla popolazione alle proposte anti-islamiste di Wilders, come ad esempio quella di vietare il Corano e chiudere tutte le moschee presenti sul territorio nazionale.
Anche secondo la testata VoteWatch, un think tank che monitora le votazioni degli Stati membri dell’Unione europea, «sarebbe una lettura semplicistica inquadrare il voto olandese come una vittoria per l’Ue e una sconfitta per l’euroscetticismo».
A parere del ricercatore Waling, che è studioso di orientamento molto lontano dalle posizioni anti-Ue e di destra, l’essenza del PVV è la riproposizione dell’idea politica sovranista, avendo vinto le elezioni con il motto «L’Olanda agli Olandesi» e con una decisa battaglia contro il politically correct, la finanza e la tecnocrazia internazionale. «Mi fanno un po’ ridere – ha affermato giustamente Waling – quei leader europei che applaudono alla sconfitta del nazionalismo. Ancora più ridere se sono dell’area socialista, come Hollande o Renzi, quando i laburisti sono pressoché spariti dal panorama politico» (cit. in Marzio G. Mian, «Wilders? È la nostra versione di Oriana Fallaci», Il Giornale, 17 marzo 2017).
Wilders, che dal 2004 è costretto a vivere sotto scorta perché risultato nella “lista nera” di Al-Qāʿida, negli ultimi giorni della campagna elettorale si è visto arrestare uno dei poliziotti addetti alla sua sicurezza perché scoperto a passare informazioni a un gruppo criminale marocchino operante in Olanda. Anche se ora è demonizzato dall’intero establishment, fino a pochi anni fa l’attuale leader del PVV militava tranquillamente nel partito attualmente al governo, il VVD, che nel 2004 dovette abbandonare perché dichiaratosi improvvidamente a favore dell’ingresso della Turchia nell’Ue, posizione oggi in gran parte rivista.
Dunque il primo ministro liberale uscente, Mark Rutte, per la formazione del nuovo governo di coalizione potrà vantare una maggioranza risicata di 76 seggi sui 150 alla Camera dei rappresentanti. I capofila delle formazioni politiche hanno indicato nel ministro della sanità uscente, Edith Schippers, del VVD, la persona incaricata di compiere le lunghe consultazioni. Se il processo si concluderà positivamente, il governo presterà giuramento davanti al sovrano e potrà entrare in funzione. In occasione delle ultime elezioni del 2012 – ricordano gli osservatori – il processo di formazione del nuovo esecutivo durò 54 giorni. Il record di lunghezza delle trattative è del 1977 con 208 giorni, durante i quali restò in carica il governo uscente.
Dato il perdurare iniziale delle negoziazioni, l’ipotesi che più si accredita in questi ultimi giorni è una formula a quattro, guidata dal VVD assieme a CDA e D66 ma imbarcando anche i verdi. Ma il premier Rutte dovrà gestire anche la prima assoluta alla Camera di 3 parlamentari del Denk, partito accreditato come “antirazzista” che ha conquistato il 2,1% dei consensi a livello nazionale, con punte del 7% nei grandi centri urbani. In realtà, fondato da due turco-olandesi fuoriusciti dal laburismo, si tratta in tutto e per tutto del primo partito islamico d’Olanda, anche se nessuno, o quasi, osa riconoscerlo.
A leggere il suo programma politico (la parola “denk”, in olandese, si traduce in “pensiero” ma, in turco, corrisponde a “uguaglianza”), vi si ritrovano tutto sommato tematiche e parole-talismano tipiche della galassia buonista e sinistreggiante. Come riconosciuto dagli osservatori politicamente scorretti, invece, il «Denk è la Quinta Colonna della penetrazione islamica nel tessuto politico olandese. Se si va a leggere in profondità il programma politico del “Partito antirazzista” si scoprono aspetti inquietanti che i media, ossessionati dal pericolo xenofobo, fanno finta di non vedere: Denk vuole la parificazione delle scuole islamiche con quelle pubbliche olandesi, mantenendo alcune prerogative come la separazione dei sessi e l’insegnamento del Corano in arabo. Denk vuole l’istituzione di un corpo di “Polizia del Razzismo” il cui compito è la repressione di qualsiasi frase o idea ritenuta offensiva per i musulmani, attraverso la creazione di un “Registro del razzismo” per monitorare i discorsi dei personaggi pubblici e affibbiare multe e percorsi rieducativi a chi non è conforme al pensiero unico. Denk vuole la riduzione dei vincoli di riconoscimento dello status di rifugiato; l’aumento delle quote di accoglienza e maggiori risorse economiche per l’emergenza profughi» (Giampaolo Rossi, Ecco Denk, il primo partito islamico d’Europa, Il Giornale, 25 marzo 2017).
In un momento di forte tensione fra Olanda e Turchia e con il problema dell’integrazione sollevato di gruppi sovranisti e di destra, l’ingresso del neonato partito rappresenta un’ulteriore segnale di destabilizzazione del panorama politico. Adesso l’attenzione è tutta rivolta alle presidenziali in Francia del 23 aprile (con il ballottaggio previsto per il 7 maggio) e alle politiche in Germania del 24 settembre.