La Nuova Bussola quotidiana
4 Settembre 2019
David H. Gelernter è professore di Informatica alla Yale University ed ha seri dubbi sulla teoria dell’evoluzione di Darwin. Ultimamente se ne parla per un suo articolo recensione di studi sull’evoluzionismo. Pur non rigettando in pieno la teoria, ne sottolinea punti deboli, così come invece trova più punti di forza nell’Intelligent Design.
Marco Respinti
David H. Gelernter, classe 1955, è professore di Informatica alla Yale University, noto e famoso (anche per avere sostanzialmente previsto l’avvento di quel pane quotidiano che oggi ognuno di noi dà per scontato e che si chiama World Wide Web). È pure un neocon (se il mondo ricorda ancora chi siano i neocon) e, oltre che uno scienziato, è un autore prolifico e un artista.
Nel 1993 è scampato per miracolo a un attentato del terrorista anarchico “Unabomber” (l’ex prodigio della matematica Theodore J. Kaczynski) che gli è costato la mano destra e danneggiato irreparabilmente l’occhio sempre destro. Ma non è per questo che la stampa si sta occupando di lui. Il motivo per cui adesso molti (troppi) ne ridono è un suo articolo-recensione, comparso sul prestigioso trimestrale Claremont Review of Books e intitolato spartanamente Giving Up Darwin, “Rinunciare a Darwin”.
Oggetto della sua recensione sono tre libri. Anzitutto e soprattutto Darwin’s Doubt: The Explosive Origin of Animal Life and the Case for Intelligent Design, pubblicato nel 2012 dal geofisico Stephen C. Meyer, direttore del Discovery Institute’s Center for Science and Culture di Seattle, quindi The Deniable Darwin and Other Essays di David Berlinski (2010), nonché la raccolta di saggi curata da David Klinghoffer, Debating Darwin’s Doubt: A Scientific Controversy That Can No Longer Be Denied (2015), che ricama sul libro di Meyer, rispondendo alle critiche.
La parte del leone la fa il primo, un mastodontico e dotto trattato che interroga e sfida la realtà attorno a quel concetto enorme e sublime che per esempio il fisico italiano Antonino Zichichi chiama “il Big Bang della vita” (ancora più misterioso, importante e sublime del “Big Bang” con cui sarebbe nato l’universo e attraversato “miracolosamente” da quel terzo mistero sublime che, nel quadro del bios, è la comparsa dell’uomo irriducibile alla mera physis, “il terzo Big Bang”).
In realtà Gelernter, come osserva acutamente Barbara Kay sul canadese National Post, non ricusa il darwinismo per intero. Semplicemente è stato sorpreso da ciò che ha letto. Del resto i neocon sono famosi per la definizione (in realtà un’autodefinizione) datane dal loro “padrino”, Irving Kristol (1920-2009): liberal aggrediti dalla realtà.
Gelernter non fa eccezione. A conti fatti, non trova più il darwinismo rassicurante come un tempo (e come il mondo ripete acriticamente). Anzi, l’ipotesi che maggiormente lo sfida proprio sul piano scientifico, ovvero l’Intelligent Design, gli pare solida, argomentata e seria benché ancora non la abbracci completamente. Il mondo che ci circonda è cioè di una complessità irriducibile tale da escludere (persino statisticamente, verrebbe da dire) la possibilità di essere frutto del caso e di meccanismi capaci di autoprodursi.
Per l’accademico statunitense il darwinismo ha sì ragione nello spiegare «[…] i piccoli aggiustamenti attraverso cui un organismo si adatta a circostanze locali: cambiamenti nella foltezza del pelo o nella foggia delle ali o nella forma del becco», ma certo non il grande quadro della nascita e dello sviluppo della vita sulla Terra. Men che meno l’uomo. In barba al titolo della sua opera più famosa, è cioè «[…] l’origine delle specie ciò che Darwin non è in grado di spiegare», scrive Gelernter.
Non senza il gusto per il paradosso, l’informatico di Yale afferma del resto che «la missione di Darwin era proprio quella di spiegare la comparsa evidente di un progetto nella natura».
Uno degli scogli davvero insormontabili resta per esempio l’esplosione della vita nel periodo Cambriano (circa 541 milioni di anni fa), lo spartiacque della storia biologica della Terra quando, in un tempo geologicamente assai limitato, la vita compare “improvvisamente” in tutte le proprie varietà e magnificenza secondo tutti gli attuali phyla (un tempo detti “tipi”), ovvero i grandi gruppi tassonomici in cui si divide il regno animale.
Prima infatti non c’è praticamente alcunché (le tracce biologiche dell’epoca precedente sono scarsissime e spesso dubbie). Ma, scrive Gelernter, «la teoria di Darwin prevede che le nuove forme di vita si evolvano gradualmente da quelle vecchie, secondo lo schema di un albero biologico che si ramifica e che si amplia costantemente.
Le nuove coraggiose creature cambriane debbono quindi avere avuto dei predecessori pre-cambriani, simili ma non altrettanto fantasiosi e sofisticati. Mai più possono essere esplosi all’improvviso, come tanti geyser. Ognuno deve avere avuto un predecessore strettamente correlato a sé, il quale deve a propria volta avere avuto dei predecessori: l’evoluzione darwiniana è infatti graduale, passo dopo passo.
Dopo di che, tutti quei predecessori debbono provenire, risalendo ancora più indietro, da un’altra serie di rami, i quali portano (sempre indietro nel tempo) al tronco. Ma i predecessori delle creature del Cambriano mancano. Lo stesso Darwin era disturbato dall’assenza di loro reperti fossili».
E via di questo passo, dubbio dopo dubbio. Né il recensore Gelernter né il recesito Meyer scrivono però per demolire il darwinismo. Semplicemente chiedono al darwinismo di spiegare le proprie affermazioni, contraddette dalle osservazioni della realtà. Tutto qui, scienza vera: che però scandalizza chi si trincera dietro affermazioni ideologiche indimostrate, smentite dai fatti.
La notizia dentro la notizia è comunque che un numero sempre crescente di scienziati e di intellettuali trova strettissima la calzamaglia darwiniana dietro cui il neo-illuminismo contemporaneo si cela per non restare in mutande in pubblico.