www.aleteia.org, 9 giugno 2014
Il neurochirurgo Massimo Gandolfini chiarisce alcuni aspetti dell’ormai nota questione gender
dall’intervista di Anna Pelleri
Il gender, termine ormai noto ai più, è al centro di grandi dibattiti sia scientifici che culturali. Abbiamo chiesto al prof. Massimo Gandolfini, neurochirurgo, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Fondazione Poliambulanza di Brescia e vicepresidente nazionale dell’Associazione Scienza&Vita, di chiarire il significato e l’origine di questa ideologia e il ruolo del cervello nella definizione del genere.
Prof. Gandolfini, potrebbe ricordarci l’origine della teoria del gender?
Dal punto di vista strettamente storico, il termine “gender” trova la sua genesi più remota nel lavoro di Sigmund Freud, apparso nel 1920, con il titolo “Psicogenesi di un caso di omosessualità nella donna”, in cui – per la prima volta – si pone il tema della differenza fra “gender role” e “gender identity”. Sul piano dell’elaborazione culturale, l’ideologia del gender si propone a partire dagli anni ’50/’60 ed è caratterizzata da tre “ondate”, che si susseguono e si integrano fra loro.
La prima ondata: la “nurture theory”
La “nurture theory”, o teoria della prevalenza della cultura sulla natura, fu propugnata da John Money, direttore del dipartimento di sessuologia del John Hopkins Insitute di Baltimora. Negli anni ’60 cominciò ad imporsi il “dogma” che si diventa uomo o donna non per determinazione biologica sessuale, ma per imposizione di “stereotipi” di genere. Detto in altre parole, un maschio diventa uomo perchè condizionato da categorie pedagogiche e culturali che gli impongono di rivestire il ruolo sociale proprio dell’uomo (giocare a pallone, giocare con armi, fare a botte con i compagni, ecc..).
Altrettanto vale per la femmina che viene condizionata per diventare donna. Ne consegue che modificando gli stereotipi di genere, si può modificare l’evoluzione culturale sia del maschio che della femmina, completando il lavoro attraverso tecniche medico-chirurgiche di “riassegnazione del sesso”. In questo contesto si inserisce la tragica “sperimentazione” condotta dal dottor Money sul piccolo Bruce, trasformato in Brenda, che si conclude con il suo suicidio, dopo una vita di disagio e travaglio indicibili.
La seconda ondata: il movimento femminista
La seconda “ondata” è legata alla storia del movimento femminista per l’emancipazione e l’uguaglianza della donna, soprattutto a partire dagli anni ’70. Possiamo citare un nome per tutti: Simone de Beauvoir, con la sua lotta per il diritto al divorzio, la libertà sessuale realizzata attraverso la contraccezione e il diritto all’aborto, al fine di liberare la donna dal condizionamento della maternità. Nel 1980, Adrienne Rich produce un testo considerato il manifesto del lesbismo, proposto come lo strumento vincente per la lotta di liberazione dal maschio, e conia la “famosa” sigla LGBT, proponendo quattro generi di identità e correlato orientamento sessuale.
La terza ondata: la “non identità”
Possiamo localizzare la “terza ondata” agli inizi degli anni ’90, con Judith Butler, femminista lesbica e autrice di “Gender Trouble”, atto fondativo del femminismo radicale, nel quale si propone l’ideologia della “non identità” all’interno di una società globale fluida e liquida, senza nessun punto fisso di riferimento, che apre la strada al “nomadismo” di Anne Sterling (1993). In questo contesto, nasce il genere “queer” – strano, variabile, modificabile – che va ad integrare il già citato acronimo LGBTQ.
C’è differenza tra identità sessuale e genere?
Vorrei precisare che è più corretto parlare di identità “sessuata”, piuttosto che “sessuale”. Con la prima denominazione, infatti, si sottolinea che l’appartenenza di sesso – maschio o femmina – non è un nostra scelta, bensì una realtà biologica che ci troviamo compiuta dalla nascita: ce la siamo trovata iscritta nella totalità del nostro corpo, cellule, tessuti, organi ed apparati. Questa è la differenza fondamentale tra identità sessuata e ideologia di gender: la prima è biologicamente determinata, la seconda è una scelta autonoma e individuale che prescinde totalmente dal dato di realtà rappresentato dall’appartenenza sessuata.
Lei è un neurochirurgo, il cervello è maschio o femmina? Rimane tale al di là di interventi chirurgici, ormonali e psicologici atti a modificare il “genere” di una persona?
Negli ultimi vent’anni abbiamo acquisito il principio che la sessuazione dimorfica (maschio/femmina) riguarda il nostro organismo nella sua totalità, cervello compreso. Oggi parliamo di “cervello sessuato” volendo intendere che maschio e femmina sono differenziati anche dalla struttura anatomica e dal funzionamento del proprio cervello. Fin dai tempi di Vesalio e di Leonardo da Vinci sapevamo che volumetricamente il cervello maschile è più grande di quello femminile (perdonate la precisazione necessaria per evitare “battute scontate”: la funzione non è proporzionale alla massa!), ma solo negli ultimi vent’anni abbiamo compreso che la differenza è anche di ordine anatomico e funzionale.
In estrema sintesi, il cervello maschile è caratterizzato da una rigida “lateralizzazione” – le aree del linguaggio sono, ad esempio, rigidamente localizzate nell’emisfero sinistro; al contrario, nella femmina vi sono rappresentazioni anche nell’emisfero destro – e le connessioni interemisferiche – cioè i collegamenti fra i due emisferi – sono più sviluppate e numerose nel cervello femminile. Grazie a complesse indagini che studiano il funzionamento del cervello (soprattutto le tecniche del neuroimaging, quale la risonanza magnetica funzionale e la PET), abbiamo compreso quali sono le basi anatomofunzionali per spiegare il dato che la psicologia comportamentista fin dagli anni ’50 ci proponeva, e cioè che l’elaborazione del “pensiero” maschile (detto “pensiero lineare”) ha caratteristiche diverse rispetto al pensiero femminile (“pensiero circolare”).
E’ proprio la maggiore ricchezza di connessioni fra i due emisferi che rende il pensiero femminile “multitasking” (capace, cioè, di aprire e gestire contemporaneamente più file), rispetto al maschile, in grado – invece – di gestire un solo file alla volta. La sessuazione cerebrale è iscritta tanto profondamente nel nostro corpo che non è modificabile con la terapia ormonale che viene utilizzata in ambito di terapia per riassegnazione sessuale (ad esempio, nei casi di “disforia di genere”): tutto il corpo è rimodellabile, ma non il cervello.