La Croce quotidiano 22 aprile 2015
Arrivano i primi frutti dell’appello lanciato da Papa Francesco contro l’ideologia gender nel corso dell’udienza generale della settimana scorsa. Una nota dell’Unione nazionale dei giuristi cattolici italiani, presieduta dal professor D’Agostino, prende impegni
di Giuseppe Brienza
S’iniziano a raccogliere i primi frutti dell’appello lanciato da Papa Francesco contro l’ideologia gender durante l’Udienza Generale di mercoledì scorso. Dopo che il Pontefice ha ribadito la malvagità di una teoria «[…] che mira a cancellare la differenza sessuale», esortando «gli intellettuali a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta»
l’Unione nazionale dei giuristi cattolici italiani (Ugci), presieduta dal prof. Francesco D’Agostino, ha pubblicato una Nota sulla diffusione dell’educazione alla dottrina di genere nella scuola italiana.
Nel testo si evidenzia innanzitutto come le iniziative di indottrinamento gender nelle scuole italiane, partite con i famigerati opuscoli diffusi nel 2014 dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei ministri (Unar), «sono state intraprese sulla scorta della “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”, elaborata dall’Unar in collaborazione con un “gruppo nazionale di lavoro” composto esclusivamente da associazioni Lgbt» (lesbiche, gay, bisex, transex).
A dire il vero non solo l’Unar ha intrapreso iniziative di tal genere e, forse, nella Nota dell’Ugci, poteva essere dato conto anche dei tentativi della nota organizzazione per la difesa dei diritti umani “Amnesty International”, la cui sezione italiana provò lo scorso anno ad entrare nelle nostre aule scolastiche con un progetto educativo, una “guida per docenti” dal titolo Diritti Lgbt, diritti umani, da introdurre negli Istituti superiori.
Nel documento dei giuristi cattolici rilanciato lunedì dall’agenzia Sir e poche altre, si argomenta comunque che, i progetti presentati sulla base della “Strategia nazionale” e dell’Unar, «basano su programmi e materiali ingiustificatamente affidati alle sole supervisione e consulenza delle associazioni Lgbt».
Secondo il fin troppo prudente avviso dell’Ugci, presentandosi «lo statuto scientifico» delle teorie dell’indifferenza sessuale (gender theories) «problematico e controverso», si chiede che la scuola italiana «non diventi terreno di indottrinamento e di confusione» (Unione Giuristi Cattolici Italiani, Sulla diffusione dell’educazione alla dottrina di genere nella scuola italiana, Roma 20 aprile 2015).
Ciò che non è passato nei rilanci mediatici della Nota dei giuristi cattolici è un giudizio che meriterebbe invece particolare interesse. Quello, cioè, per cui «nell’ambito della salute sessuale debba includersi la libertà di scelta del proprio orientamento sessuale». Tale orientamento, infatti, secondo la plenaria della storica associazione fondata nel 1948 da grandi giuristi come Giuseppe Capograssi (1889-1956) e Francesco Carnelutti (1879-1965), «non costituirebbe un fatto naturale, ma culturale, oggetto di libera e variabile scelta individuale. Tanto è potuto avvenire a partire dalla pubblicazione nell’anno 2010, a cura dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’O.M.S., dello “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa”».
Si coglie quindi la vera “scaturigine” sulla quale si appoggiano i vari e molteplici interventi nazionali contro la famiglia e il suo intangibile diritto-dovere di educare i propri figli: le Nazioni Unite.
Come conciliare i continui panegirici all’ONU ed alle sue Agenzie con i rilievi dei quali, da ultimo, anche l’Ugci, si fa portavoce? Una ulteriore conferma del “nesso di causalità” fra l’invasione del gender e la promozione della “dittatura del relativismo” da parte del “Palazzo di Vetro” di New York e sue varie succursali è la citata iniziativa di penetrazione nelle scuole di Amnesty International Italia.
Il suo direttore generale Gianni Rufini, presentando nel 2014 il progetto Diritti Lgbt, diritti umani è stato esplicito al riguardo: «Sono passati 25 anni da quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Per la prima volta, in un atto internazionale, i minori sono stati riconosciuti come protagonisti: persone che hanno il diritto di partecipare alle scelte che le riguardano, in grado di esprimere idee proprie e prendere decisioni». Per esempio, prendere decisioni sull’orientamento sessuale cui appartenere.
È così che, all’interno della “guida per docenti”, si tentava di persuadere gli insegnanti del fatto per cui, se un alunno «si sta interrogando sul proprio orientamento sessuale o identità di genere», sarebbe «fondamentale dare anche immagini positive della vita delle persone Lgbt». Tutto in nome della cosiddetta “non discriminazione”. Ma non in nome nostro né, ci pare di poter dire stando alle numerose reazioni negative, della famiglia italiana.