Dal sito IntelligoNews 19 settembre 2015
Le dichiarazioni del ministro Giannini sull’assenza della cosiddetta teoria del gender nella scuola italiana hanno suscitato un nuovo, acceso dibattito nello Stivale. Ne ha voluto parlare con lo psichiatra Alessandro Meluzzi, partendo anche dall’editoriale del direttore Fabio Torriero…
Andrea De Angelis
Il ministro Giannini ha parlato di “truffa culturale”, il nostro direttore ha risposto con “la vera truffa culturale”, ma noi con lei vorremmo capire se sul gender c’è o no anche una truffa psicologica. Confusione, uso dei termini, mancanza di distinzioni: il parlare ad esempio di identità di genere e non di sesso cosa comporta?
«Ormai è in corso una grande operazione culturale che io chiamerei l’operazione culturale dell’indistinto che ha delle radici, delle origini molto forti. Si cerca cioè nel nome di una male indirizzata teoria della giustizia e dell’uguaglianza un uniformarsi sulle diversità. Una delle prime manifestazioni è stata l’eliminazione dell’idea di debolezza. Essere vecchio, soffrire di una malattia cronica è un segnale di debolezza. Però noi abbiamo sostituito le parole vecchio, sordo, cieco con degli eufemismi: la terza età, il diversamente giovane, il diversamente abile. Sull’onda di questo tentativo generoso si è arrivati alla fine delle altre distinzioni».
Ovvero?
«Quella appunto tra il maschile e il femminile. Siccome ci sono delle persone che per una loro storia, per delle caratteristiche, per la loro genetica hanno una difficoltà a definirsi nel genere bisognava risolvere il loro problema eliminando la distinzione di genere. Non il maschile e il femminile, ma la pure soggettività».
Ognuno è del sesso che ritiene di essere?
«Esatto. Io sono un vecchio signore di sessant’anni, ma se ritengo di essere la nonna di mio nipote farò delle iniezioni di prolattina e lo nutrirò, così da sperimentare la gioia di essere una nutrice. Ma ci stiamo avviando ad altre distinzioni come quella fra le culture e le religioni. Non c’è nessuna differenza tra l’essere islamico o cristiano, tra l’avere sperimentato o meno l’illuminismo. In questa dimensione dell’indistinto non deve esserci più alcuna distinzione».
Questa sua visione a cosa porterà?
«Semplicemente all’entropia, al caos assoluto. Nel nome di una male indirizzata teoria della generosità, dell’accoglienza e della non distinzione, che è la base del politicamente corretto, ci troveremo in un contesto di caos assoluto».
La non discriminazione di nulla è una sorta di religione rovesciata?
«Dietro questa cultura c’è la caduta di ogni distinzione morale. Bene è ciò che ognuno ritiene essere bene, o meglio è bene soltanto ciò che può essere stabilito dal concetto di legalità. Quante volte sentiamo nominare la parola legalità? Infinite. Quante volte il termine giustizia? Quasi mai. La parola legalità dovrebbe servire alla giustizia, ma quest’ultima non la nomina più nessuno».
Siamo alla guerra dei nomi?
«Ma sì, in questa dimensione del nominalismo e dell’indistinto si arriverà a un generale impazzimento».
Può fornirci qualche esempio di casi clinici?
«Me ne sono capitati infiniti di casi clinici di persone con disturbi di identità, la cui massima espressione è la schizofrenia. C’è una tale patologia dell’io in cui non solo l’individuo non sa chi è, ma non sa neppure se c’è o non c’è. Il problema dell’indistinto nella psicopatologia è evidente».
Soffermiamoci in particolare sugli adolescenti.
«La cultura dell’indistinto per i bambini e gli adolescenti, rapportata dunque all’età dello sviluppo, produce un senso di sofferenza estrema. I bambini hanno bisogno di un attaccamento a basi sicure! Ma a sua volta questo necessita di distinzioni: chi è la mia mamma, chi mio papà, qual è il mio Paese, quali sono i miei valori, la mia cultura. Cos’è il bene e cos’è il male! Se invece io mi limito a dire a un bambino di esprimersi, dò un’impressione del tutto uguale che alla fine produrrà un senso di totale disperazione».
Rischiamo di gettare la bussola dalla nave?
«Siamo a una navigazione senza timone né bussola, ma soprattutto senza neanche la sensazione del piacere e del dolore. Come in quella famosa notte buia in cui tutti i gatti sono grigi di cui parlava Hegel. Ci stiamo entrando».