«Siamo figli di un Occidente finito Perciò alleviamo bimbi terribili»
Paola Mostracela insegnante e scrittrice: è il declino di un impero, abbiamo tutto e non vogliamo la scocciatura dei figli. I prof? Sono lo specchio di questa decadenza
di Francesco Borgonovo
Il caso dei ragazzi che hanno aggredito con ferocia due carabinieri dopo un rave party ha spinto Pansa a sostenere che situazioni di questo genere sono la punta di un iceberg fatto di insofferenza a regole e divieti. Secondo Pansa, la responsabilità è soprattutto dei genitori, che rinunciano a educare e ormai sono quasi inutili.
«Certo, i primi a doversi occupare dell’educazione sono i genitori: sono loro che “ricevono” il pargolo alla nascita, è loro il compito nei primissimi mesi e anni. Credo che si cominci a educare un figlio fin da quando lo si porta a casa dall’ospedale, fin dai suoi primi giorni di vita. Ed è vero quel che scrive Pansa, basta andare al ristorante e osservare la scena ai tavoli. Lì si vede come i Nuovi Genitori abbiano dismesso il pensiero di educare, e come i Nuovi Bambini vengano su a mo’ di selvaggi. Credo che a breve gli infanti terribili prenderanno il potere, ci salteranno in testa, ci calpesteranno facendo di noi adulti poltiglia.
Ma il problema è ben più esteso, dal momento che i genitori siamo tutti noi. Noi genitori, noi insegnanti, noi sacerdoti, noi società adulta di oggi, insomma. Anzi, direi meglio, noi italiani, noi occidentali… Non c’è, a mio avviso, una colpa che possa essere imputata a una categoria specifica: è il nostro mondo tutto intero, l’Occidente, ad aver abdicato a certi compiti. E la ragione a me pare questa: siamo un impero arrivato al suo culmine, siamo una civiltà al massimo splendore e quindi all’inizio della decadenza, soffriamo perciò dei mali tipici di ogni età di decadenza.
Viviamo tutti più o meno nell’agio. Siamo la civiltà del benessere, ci riconosciamo solo nei diritti, e quindi mal sopportiamo le restrizioni, le costrizioni, qualsiasi cosa limiti la nostra raggiunta, individuale onnipotenza. Non siamo disposti a rovinarci la festa, abbiamo imparato a vivere, ecco! Abbiamo appreso il piacere del mangiar bene, del lavorar poco, del viaggiare molto. Andiamo spesso al mare, in montagna, raggiungiamo paesi esotici con voli low cost Siamo connessi all’universo intero. Scarichiamo, clicchiamo, navighiamo, chattiamo. E vediamo amici al ristorante… Figurarsi se abbiamo voglia di prenderci la cura di educar figli! Troppo faticoso, richiede tempo ed energie che noi abbiamo imparato a mettere, molto più piacevolmente, in altro».
Il suo ultimo libro, mi pare, dimostra che la scuola ha colpe gravi: non è in grado di formare i giovani.
«La scuola segue di pari passo la società, molto semplice: società del benessere, scuola del benessere. D’altronde come potrebbe essere il contrario? Se la vede lei una società che si gode la vita, e una scuola che invece impone dei doveri? Le idee pedagogiche oggi imperanti si rifanno essenzialmente a un’idea di benessere e serenità: l’importante è “far stare bene” i ragazzi a scuola, divertirli, incuriosirli, motivarli, con ogni mezzo. Mai richieder loro uno sforzo o un’obbedienza a regole fissale a priori, sempre cercare il dialogo, contrattare.
Mai frustrarli con brutti voti, giudizi negativi, carichi eccessivi di compiti. Sempre capire, aiutare, sostenere e recuperare. Anche “insegnare” è un verbo ritenuto antiquato, poco democratico, che sa di imposizione e coercizione: l’insegnante che per un’ora osi ancora far lezione, imponendo nozioni (cioè conoscenze!) agli alunni è ritenuto un vecchio reazionario che considera imbuti i suoi allievi. Meglio uscire, giocare, fare esperienza. Lo studio non è più ritenuto utile: disturba il benessere, incrina la serenità, toglie tempo ai divertimenti, alle amicizie, allo svago digital-mediatico».
Forse dare la croce addosso ai genitori è sbagliato. La stessa cultura permissivista che si è imposta nella scuola la troviamo, per esempio, nella giustizia. Dove sentenze che impongono alla famiglia di mantenere un figlio fino a 40 anni si accompagnano a sanzioni assurde per chi da uno scapaccione al figlio. E intanto l’illegalità diffusa, piccola e grande, non viene punita.
«Sì, ad esempio non vengono puniti i piccoli imprenditori che fanno lavorare in nero gli immigrati. So di molti giovani romeni di buona volontà che lavorano duramente anche dieci ore al giorno, e non hanno uno straccio di contratto. Così, se vogliono ottenere un piccolo prestito bancario, non ce la fanno perché non possono produrre alcuna busta paga. Mi pare ignobile».
Le chiedo una riflessione anche sul ruolo delle parrocchie. Un tempo svolgevano una funzione educativa importante, ora pare che soffrano degli stessi mali presenti nella scuola, nelle famiglie e altrove.
«Le parrocchie dovrebbero “rilanciare” l’idea di una vita intellettuale-spirituale. Non pensare solo ad aggregare i giovani e intrattenerli. Ma nutrirli con letture, musica, cinema, teatro, arte… Perché la Bibbia, che è alla base della cultura occidentale, è completamente sparita dagli orizzonti culturali dei giovani e non fa più parte delle loro conoscenze di base?».
Secondo lei come dovrebbe cambiare la scuoia per rispondere alle nuove esigenze?
«La scuola non può cambiare se non cambia la società. Ma la scuola fa parte della società. Quindi che fare? Siamo tornati al punto di partenza. Nasce prima l’uovo o la gallina? Non lo so. Però mi sembra che da una parte bisognerà pur partire. La scuola certo potrebbe fare il primo passo: per esempio, porrebbe ricominciare a credere in se stessa, al suo ruolo culturale enorme, al suo compito principale, che sarebbe quello di… insegnare!
La scuola oggi dovrebbe ripartire da capo, con coraggio, distruggere e ricostruire, ma in fretta perché non abbiamo tutto questo tempo: dovrebbe anzitutto alzare il livello! Puntare ad una altezza dell’istruzione, perché solo così aiuterebbe prima di tutto le classi più svantaggiate che hanno come unica chance l’istruzione scolastica, non il denaro, non le relazioni utili. Abbassando il tiro e facendo una scuola sempre più facile stiamo di fatto realizzando una scuola classista.
Un bel paradosso davvero, non c’è che dire! A quel punto sarebbe il caso che la scuola avesse dalla sua parte (e non contro, come oggi) proprio le famiglie. I genitori dovrebbero andare nella stessa direzione della scuola, volere le identiche cose: cioè che i figli imparassero qualcosa, e non solo che si divertissero e fossero sempre difesi e aiutati ad oltranza, indipendentemente dai loro sforzi!
Ma vede, anche lì: bisognerebbe che l’intera società credesse ancora nella cultura, nello studio, nei libri, e che avesse una minima disposizione al sacrificio… Anche la televisione, infine, potrebbe fare molto: se la smettesse di dare solo programmi idioti, se infilasse ogni tanto qualcosa di alto, di bello, di mirabilmente “inutile”. Non so, per esempio si potrebbe leggere una poesia, tra una pubblicità e l’altra, tanto per dare l’idea che non esiste solo il commercio nella vita…