di Vittorio Messori
Visto che è l’Epifania vorrei parlare di soldi: un tema che ho affrontato anche nel libro-intervista con il compianto Leonardo Mondadori, cercando di dimostrare come non reggano alla prova dei fatti certi ritratti pauperistici e demagogici che vorrebbero presentarci Gesù come un indigente.
Innanzitutto ricordiamo che Giuseppe e Maria, arrivati in una Betlemme in overbooking a causa della folla venuta per il censimento, non trovano riparo nella dependance dell’albergo non perché sono poveri. «Non c’era posto per loro nell’albergo», sta probabilmente a significare che l’affollamento era tale da sconsigliare a Maria di fermarsi lì per dare alla luce il figlio, preferendo un luogo meno nobile ma più riservato.
In ogni caso, dal vangelo di Matteo apprendiamo che quando arrivano i Magi, la Sacra Famiglia si trova in una casa, che evidentemente Giuseppe aveva preso in affitto, e dunque avevano abbandonato la stalla, la dependance del caravanserraglio di Betlemme. Giuseppe apparteneva alla classe media o agiata ed era – come attestano antiche fonti cristiane – padroncino di una piccola impresa di teknoi, di lavoratori del legno. L’infanzia e la giovinezza di Gesù, dunque, non sono quelle di un povero indigente.
Ricordiamo poi che i Magi a Betlemme aprono i loro «scrigni» o i loro «forzieri» – il termine usato da Matteo ha entrambi i significati – e ciò significa che erano arrivati con una carovana a portare i loro doni. Erano persone autorevoli, offrono oro, incenso e mirra. Giuseppe non li rifiuta. L’oro gli sarà servito per la fuga in Egitto. L’incenso e la mirra, altre sostanze preziose, avrà potuto venderle perché ricercate. L’incenso dai sacerdoti egiziani, la mirra – profumo apprezzato da bruciare – dalle famiglie facoltose.
Non dimentichiamo inoltre che durante il breve periodo della sua vita pubblica Gesù era accompagnato da vedove facoltose che lo mantenevano. E se il gruppo aveva un amministratore, Giuda, il quale poteva rubare, significa che c’erano dei soldi. Il fatto che la tunica di Gesù, al momento della crocifissione, non venga smembrata in quanto preziosa e senza cuciture, sta a significare che Cristo, possiamo dirlo, aveva abiti «firmati», non indossava stracci.
Tutto questo fa a pugni con l’idea di presentare Gesù come un proletario nullatenente. E quando egli dice che il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo, non si riferisce alla mancanza di denaro, ma al fatto di essere lontano dalla sua terra, quasi in esilio. Gesù non demonizza il denaro, dice che bisogna essere liberi dal denaro, non diventarne schiavi. Il denaro di per sé non è un male, e può essere usato per fare il bene. Nel Vangelo, non a caso, noi troviamo molti ricchi buoni e molti poveri cattivi. Con questo non voglio dire che non siano importanti alcune specifiche vocazioni alla povertà, come quella dei francescani. Dico soltanto che certe interpretazioni pauperiste della figura di Gesù non sono fondate sui vangeli.
(testo raccolto dalla redazione e non rivisto dall’autore)