ROMA, Riportiamo per i lettori di ZENIT una delle testimonianze contenute nel libro appena pubblicato per iniziativa de “La Quercia Millenaria” (www.laquerciamillenaria.org)“IL FIGLIO TERMINALE: Storie di straordinario amore come risposta alla ordinaria eutanasia prenatale” (Nova Millenium Romae, 10 Euro).
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Microcefalia. La diagnosi era arrivata inaspettata un giorno di ottobre, lasciandoci senza voce per chiedere, senza forza per stare in piedi, senza sangue per sentire calore. Era solo una parola ma definitiva; una irrevocabile sentenza di morte per nostro figlio e per il nostro spirito.
Ci trovammo così ad affrontare l’assurdo di un feto destinato al feretro. Ci trovammo soli. Molti attorno a noi non capivano, non condividevano e preferivano negare quell’assurdo, sopprimerlo. Interrompere la gravidanza: questa la migliore soluzione, l’unica. Per il bene… per gli altri figli, per noi stessi. Del resto, ci disse un medico, in fondo finché è nella pancia “è come un parassita e non c’è alcun vantaggio a portare avanti una gravidanza così”.
Si, ci trovammo soli, distanti da tutti e perfino da noi stessi: il cuore diceva una cosa, ma la testa… le frasi ascoltate strisciavano suadenti fra i nostri pensieri, eco del suggerimento del nemico di sempre, l’antico serpente, ostile alla vita e alla felicità umana; senza neppure accorgercene la nostra attenzione si concentrò sulla “gravidanza da portare avanti” e non sul bambino da sopprimere, l’interesse si rivolse al “vantaggio”, alla superiorità dell’utile in confronto all’inutile, piuttosto che alla incommensurabile distanza tra l’essere e il non essere. Arrivò il dubbio radicale: ne valeva la pena? Chi lo voleva un essere così, inutile? Cosa era, chi era realmente? Dove era Dio, in tutta questa storia?
Una notte svegliandomi, trovai mia moglie in lacrime, consapevole che non ce la poteva fare ad andare avanti. Cominciammo allora a pregare, senza neppure alzarci dal letto. Non volevamo spiegazioni, volevamo aiuto. Non volevamo conoscere il motivo, ma il senso. Non volevamo cambiare strada, volevamo essere accompagnati lungo la via.
Aprimmo il vangelo a caso, trovando il passo di Luca dove è scritto: “Gesù era figlio come si credeva di Giuseppe, figlio di Eli, …figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio”…Cominciammo a piangere tutti e due: Francesco, figlio nostro, Francesco figlio di Dio. Ecco Chi, prima di noi, lo aveva voluto così, lo aveva voluto per sé, lo aveva voluto per noi. Nella risposta, una conferma. In fondo, credo, era come se già lo sapessimo, ma aspettavamo che Qualcuno ce lo dicesse.
Quella sentenza irrevocabile, quella parola di morte, si trasfigurava in una parola nuova. Francesco divenne parola per noi , forse parola per tutti, eco dell’unica parola, eterna ed irrevocabile: Amore.
Con questa consapevolezza approdammo alle nuove visite, ai successivi controlli. Così accompagnati potemmo andare avanti e attendere. Non più soli. Combatterono al nostro fianco i nostri figli, pregando insieme con noi, tutte le sere per il fratellino malato. Camminarono con noi i fratelli delle nostre comunità neocatecumenali.
E scoprimmo alleati preziosi, le famiglie della associazione La Quercia Millenaria, con la loro confortante testimonianza. Famiglie che avevano vissuto gravidanze patologiche e avevano perso i loro bambini appena dopo averli accarezzati; con loro siamo entrati in una rete di sostegno e di affetto, una risposta concreta alla solitudine soffocante dei giorni precedenti.
Anche per le visite mediche successive facemmo affidamento particolarmente all’esperienza dei medici in contatto con la Quercia Millenaria, come il professor Giuseppe Noia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ci condusse per mano in quella situazione senza umana speranza e ci diede di sperare: non nella guarigione ma nell’eternità. Perché nell’esperienza di gratuità dell’amore è l’eternità stessa che si fa presente, irrompe e da’ gioia.
Ricordo nel nostro primo incontro guardando l’ecografia, guardando oltre l’imperfezione, riconobbe in quell’immagine e in noi un’umanità ferita: “E’ un maschietto… come lo chiamate?” Piangendo, pronunciammo il suo nome. Un parassita non ha un nome. Un figlio si.
Francesco è nato il 3 febbraio; quel suo volto imprevedibile e immaginato sfogliando ansiosamente libri di medicina ci aveva messo paura finché non lo abbiamo visto realmente. Dopo poche ore ha ricevuto il Battesimo, nel reparto di terapia intensiva neonatale e il sacramento ci ha aperto un orizzonte nuovo: dove tutti, io per primo, dubitando di questo figlio, davanti alla sua fragilità mostravamo la nostra fragilità, Dio mostrava la sua gloria, la sua proposta d’amore: di questo bimbo Lui solo non aveva mai dubitato, anzi lo aveva preferito al suo stesso figlio, aveva anteposto l’imperfetto al Perfetto, il fragile all’Eterno, lasciando che morisse la Vita perché lui avesse la vita.
Il battesimo di Francesco aveva squarciato il senso del tempo brevissimo della sua stessa esistenza spalancando l’eternità; aveva realizzato la parola che avevamo ricevuto in quella notte di pianto: Francesco figlio nostro, Francesco figlio di Dio. Il giorno successivo Francesco è morto: era il 4 febbraio. E’ vero, quest’anno la Chiesa il 4 febbraio ci ha invitato a celebrare la vita e proprio il 4 febbraio la Vita, per un insolito privilegio, aveva scelto noi per essere celebrata in modo speciale: stavamo là, accanto a Francesco, accompagnandolo nel suo breve viaggio, accarezzandolo. Celebrammo la vita, non la morte.
E nel nostro stare là apparimmo finalmente Uomini, scoprimmo l’Amore, imparammo la maternità e la paternità: vivi, pienamente, anche noi.
Storie di straordinario amore per la vita nascente
Su iniziativa dall’associazione “La Quercia Millenaria” (http://www.laquerciamillenaria.org/) è appena uscito il libro “IL FIGLIO TERMINALE: Storie di straordinario amore come risposta alla ordinaria eutanasia prenatale” (Nova Millenium Romae, 10 Euro). Si tratta di un inno all’amore e alla vita, raccontato da 18 famiglie che hanno conosciuto il dolore profondo causato dalla perdita di un figlio appena nato.
Il calvario di gravidanze problematiche, con malformazioni fetali e diagnosi infauste, che diventa amore gratuito fino alla fine da parte di famiglie che hanno rifiutato l’aborto accompagnando con amore e dignità i loro bambini.
Nella prefazione al volume monsignor Angelo Comastri, Presidente della Fabbrica di San Pietro, scrive: “Ho dovuto più volte interrompere la lettura di questo libro, perché l’emozione mi invadeva come un’onda alta e gli occhi si appannavano per le lacrime che scendevano spontanee e irrefrenabili”. “Mentre entravo nelle varie storie raccontate in queste pagine – continua – mi sembrava di entrare in un altro mondo: il mondo da sempre sognato e atteso; il mondo dove tutti i bambini vivono amati e accolti; il mondo dove tutti i genitori profumano di amore fedele e capace di soffrire fino all’eroismo; il mondo dove la maternità e la paternità non vengono gettate nel cassonetto insieme al figlio o alla figlia indesiderati; il mondo dove la maternità e la paternità vengono vissute come una stupenda vocazione all’amore senza ‘se’…. Senza ‘ma’…. Senza deroghe…. Senza eccezioni!”.
Monsignor Comastri, che è pure un affermato scrittore, ha commentato: “Mentre ascoltavo gli emozionanti racconti delle meravigliose maternità e paternità, all’inizio ripetevo dentro di me: ‘Ma costoro sono eroi, sono persone straordinarie, sono eccezioni rarissime!’”. “Alla fine – sottolinea il presule –, quando ho chiuso il libro, ho cambiato parere ed ho esclamato con lucida convinzione: ‘No, queste persone sono le persone normali! No, questi genitori sono i veri genitori! No, queste donne sono le vere mamme! No, questi uomini sono i veri padri!”.
Secondo monsignor Comastri “se la maternità e la paternità si spengono e si rinnegano davanti al caso difficile, lì non c’è e non c’è mai stata la maternità e la paternità: è accaduto un fatto biologico, ma non è scattata la scintilla della umanità, che ci colloca al di sopra del fatto biologico e ci rende capaci di civiltà”.
“Quanto sarei felice – si augura poi – se queste pagine entrassero in tante case e diventassero uno specchio di verità, nel quale tante mamme non mamme e tanti padri non padri potessero vedere il loro vero volto: per avere orrore di sé e per iniziare una terapia, che li porti alla gioia della vera maternità e della vera paternità”. “Mamme, papà, bambini, medici (in particolare carissimo prof. Giuseppe Noia) protagonisti di queste pagine: i vostri nomi sono scritti nell’archivio di Dio e nessuno potrà mai far sbiadire la memoria di ciò che avete fatto!”, rileva monsignor Comastri.
Infine il già Arcivescovo di Loreto scrive: “Mamme, papà, bambini, medici: sappiate che quello che voi avete fatto vale molto di più di una medaglia olimpica, vale molto di più di un campionato di calcio, vale molto di più di una vittoria al Festival di Sanremo, vale molto di più di un ‘oscar’!”.
“Voi ci avete permesso di essere ancora legittimamente chiamati ‘umani’!”,
Il libro consta di uno studio introduttivo scientifico di Giuseppe Noia, professore associato di Ginecologia e Ostetricia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, e di diciotto testimonianze di altrettante famiglie, riportate da Sabrina P. Palazzi, Presidente de “La Quercia Millenaria”.
Il ricavato della vendita di questo libro è destinato al fondo de “La Quercia Millenaria Onlus” per il mantenimento e allargamento del Centro di Aiuto per il Feto Terminale (C.A.F.T.)
[Per avere il volume è possibile prenotarlo scrivendo a info@laquerciamillenaria.org. oppure telefonando al numero 320-8010942]