Lo scrittore e saggista Marcello Veneziani analizza il mito del Papa “buono”
di Giuseppe Brienza
Di Giovanni XXIII (1958-1963), Papa canonizzato il 27 aprile 2014, si ricordano sempre gli stessi aspetti biografici e le stesse encicliche. Per esempio, chi cita mai la LetteraPrinceps pastorum, scritta da Papa Roncalli giusto 55 anni fa’, cioè il 28 novembre 1959? Si tratta di una enciclica scritta per esaltare la figura di San Giovanni Crisostomo, Vescovo e Dottore della Chiesa, il cui insegnamento costituisce un cardine della Tradizione cattolica, compresa quella liturgica, la cui “mancata cura” è invece spesso addebitata al Papa buono, che avrebbe aperto alla riforma post-conciliare della Messa. Nella Lettera citata, piuttosto, San Giovanni XXIII riproponeva l’intimo legame che, tra la liturgia eucaristica e la sollecitudine per la Chiesa universale, traspare in tutte le Omelie ed opere del Crisostomo [cfr. Princeps pastorum, in AAS 51 (1959) 846-847].
Per evidenziare i molti luoghi comuni che, in Italia, ancora si diffondono a piene mani sulla figura di Papa Roncalli, abbiamo intervistato uno degli intellettuali più anti-conformisti del nostro panorama culturale, il giornalista e scrittore Marcello Veneziani.
In un editoriale che gli hai dedicato su Il Giornale in occasione dei cinquant’anni dalla sua morte (3 giugno 2013), hai sottolineato i lati meno conosciuti della vita e dell’opera di Papa Roncalli. Quali sono secondo te i più fastidiosi luoghi comuni che circolano sulla figura di Giovanni XXIII?
Un primo cliché è quello di un Roncalli “ingenuo” davanti al comunismo, ed allo stesso Kruscev, di cui ricevette come noto, in piena Guerra fredda, in Vaticano i familiari. Leggiamo ad esempio cosa scriveva sul suo diario del 20 settembre 1961, dopo che per la prima volta, commentando il radiomessaggio del 10 settembre dello stesso anno, il leader sovietico “parlava bene” di lui: “A sera alla Tv c’è la comunicazione di Kruscev, il despota della Russia, alle mie invocazioni agli uomini di stato per la pace: rispettose, calme, comprensibili. Credo sia la prima volta che le parole invitatrici alla pace del Papa siano state trattate con rispetto. Quanto alla sincerità delle intenzioni di chi tiene a professarsi ateo e materialista, anche quando dice bene dalla parola del Papa, il crederci proprio è tutta un’altra cosa”.
Altro luogo comune è quello di un Papa senza formazione culturale, una specie di “sempliciotto” salito quasi impreparato alla guida della Chiesa. Invece, conoscendo bene la sua vita si scopre una figura complessa, per la quale la cultura ha avuto un ruolo importante. A cominciare dagli studi, e non trascurando i tanti incontri avuti con scrittori, filosofi, teologi durante tutta la sua vita. Il ritratto intellettuale del giovane Roncalli, poi, è quello di un uomo sensibile agli orizzonti più vasti della cultura del suo tempo, e ben consapevole all’alba del Novecento del rapporto problematico esistente tra Tradizione e modernità.
Un altro clichè, fra i tanti altri che si potrebbero citare, è quello di un Roncalli debole, che subiva gli eventi. Invece, leggendo alcuni suoi scritti o diari, ci si rende conto di quanto sapesse muoversi con piglio e “decisionismo”. Certo, era nato – usando uno slogan – “per benedire e non per condannare”, ma il suo essere umile o gentile non equivaleva certo a essere un debole o un accomodante.
Non dimentichiamo poi, a chi ce lo dipinge come “Papa pacifista”, che Giovanni XXIII è stato cappellano militare per parecchi anni e durante la terribile prima guerra mondiale. Il giorno prima di partire per il servizio militare in sanità, il 23 maggio 1915, scrive ad esempio nel suo “Giornale dell’anima” di voler «mostrare a fatti il mio vero amore per la Patria».
Certo, e non tutti sanno che Papa Giovanni, prima di diventare Pontefice, fu anche soldato caporale e sergente dell’allora 73° Reggimento Fanteria dal 1901 al 1902 e tenente cappellano all’Ospedale militare di Bergamo dal 1915 al 1917. Di quegli anni ci sono altri scritti nel suo diario: «di tutto sono grato al Signore, ma particolarmente lo ringrazio perché a vent’anni ha voluto che facessi il mio bravo servizio militare e poi durante tutta la prima guerra mondiale lo rinnovassi da Sergente e da Cappellano».
E del Roncalli custode delle tradizioni e del carattere contadino dell’Italia rurale che ne pensa?
Anche da questo punto di vista il Roncalli “anti-moderno” emerge tutto. La sua figura di contadino depositario di una sapienza quasi ancestrale, le radici, personali e familiari, che cercherà sempre di conservare, sono lì a dimostrarlo. Del carattere contadino, ritornando agli aspetti caratteriali prima citati, gli rimarranno la tenacia e costanza, unite a un forte senso pratico e al rispetto dei tempi necessari a ogni ciclo, emblematicamente il momento della “semina” e quello del “raccolto” o la “fedeltà alla terra”. E da lì deriva anche la sua visione, molto tradizionale, dell’armonia necessaria tra natura e sopra-natura, associata ad una fiducia incondizionata nella provvidenza di Dio