di Alessandro Catelani
Nei tempi nei quali viviamo, si assiste alla tendenza a rivalutare il giusnaturalismo: si ritiene il diritto naturale, in contrapposizione al diritto positivo, portatore di valori assoluti; ma si ritiene anche, secondo alcuni, che tali valori, dovendo, per la loro assolutezza, essere garantiti a chiunque, vengano a privare i popoli di una loro identità culturale, non essendovi, sulla base del diritto naturale, alcun elemento distintivo fra gli esseri umani.
Ciascun essere umano, in quanto gode di tali diritti, sarebbe cittadino del mondo, in qualunque parte esso si trovi. E la cittadinanza non sarebbe che un elemento di identificazione delle persone basato sulla loro collocazione territoriale, alla quale non dovrebbe corrispondere in alcun modo un trattamento diversificato.
Una simile impostazione si traduce in sostanza nel configurare una cittadinanza priva di qualunque collegamento con l’appartenenza a una distinta Nazione. L’appartenenza a una certa Nazione non sarebbe più elemento di identità di uno Stato, perché a esso potrebbe appartenere chiunque si trovi sul suo territorio, non avendo l’appartenenza allo Stato alcuna funzione di garanzia dell’identità culturale della popolazione che lo Stato rappresenta.
Attraverso questa concezione, l’idea illuministica – propria del razionalismo settecentesco – di una cittadinanza universale dell’umanità, ritorna, sia pure con caratteristiche proprie, in età moderna e viene prospettata in contrapposizione a un concetto di cittadinanza basata sul principio di nazionalità.
Come tutti gli uomini sono uguali per natura, così non dovrebbe esistere alcuna differenza tra cittadini e non cittadini, in quanto gli uni e gli altri godono dei medesimi diritti inalienabili. Ogni differenziazione basata sulla cittadinanza sarebbe inammissibile, se riferita all’appartenenza a una distinta popolazione, in quanto dotata di proprie caratteristiche culturali.
Diritto & cultura di un popolo
Una tale concezione si traduce in un’interpretazione del giusnaturalismo incompleta, e quindi non in grado di comprendere i suoi più intrinseci significati: il riconoscimento dei diritti umani deve essere assoluto; ma, proprio perché tale, deve essere considerato nella sua globalità, e si deve quindi riconoscere che fra questi diritti vi è anche quello di ciascuna popolazione a essere dotata di una propria identità culturale.
Il diritto, l’ordinamento di una società organizzata è l’espressione, sul piano normativo, delle caratteristiche culturali sue proprie. Ogni società, ogni organizzazione sociale è la proiezione della personalità dei soggetti che la compongono; per cui, attraverso il diritto, l’uomo appare con una personalità diversificata nelle varie epoche e nei vari luoghi.
Il diritto costituisce il prodotto spontaneo della vita associata, e come tale appare in continua evoluzione. Ciò è chiarissimo sia per le società più antiche sia per quelle moderne, nelle quali gli organi esponenziali dell’ordinamento esprimono le tendenze che si manifestano all’interno della collettività, che essi vengono a rappresentare.
Dall’assetto giuridico di un ordinamento viene definito e traspare in modo inconfondibile il modo di vita e la mentalità di ciascun popolo, e tale assetto ne resta conseguentemente del tutto condizionato. La problematica giuridica è condizionata dalla vita associata alla quale inerisce e alla quale appare consequenziale. Il dato sociologico, religioso, etico diventa diritto, storicamente parlando, attraverso un’osmosi tra la realtà giuridica e non giuridica.
L’assorbimento dei princìpi etici e culturali dei consociati viene a caratterizzare il fenomeno giuridico nella peculiarità dei suoi contenuti normativi. E l’osmosi tra il giuridico e il pregiuridico si ha nel momento della creazione della norma, prima ancora che della sua interpretazione. Lo Stato, come entità organizzata, è la proiezione, sul piano sociale, della personalità di coloro che compongono la corrispondente Nazione; così che la tutela di tale formazione sociale si identifica con la salvaguardia dei diritti fondamentali di coloro che ne fanno parte.
In quanto la collettività rappresentata dallo Stato si configura come Nazione, la dimensione associata dei suoi componenti valorizza pienamente, nella sua più cospicua espressione, le caratteristiche culturali di ciascun popolo. Ogni Nazione appare caratterizzata da specificità culturali che le attribuiscono un’inconfondibile identità, la quale deve essere salvaguardata, se si vuole tutelare la personalità dei soggetti che la compongono. L’identità culturale del singolo individuo trova, a livello collettivo e di organizzazione sociale, la sua proiezione in quella della Nazione alla quale appartiene.
Si tratta di due concetti strettamente e inscindibilmente connessi: non si può tutelare nella sua pienezza la libertà dell’individuo, se non si salvaguarda contemporaneamente quella della formazione sociale, nella quale si manifesta la sua personalità. Il singolo, per sua natura, non può vivere in una comunità nella quale anche gli altri consociati non adottino il medesimo modo di vita, non siano a esso omogenei sotto il profilo dell’appartenenza a una medesima cultura, a una stessa Nazione.
Il fattore linguistico e quello etnico che ne è la premessa hanno indubbiamente la massima rilevanza, così come il fattore religioso, la comune cultura e la storia, e infine quell’elemento soggettivo che ne è in certo senso la sintesi e il risultato, che è dato dalla consapevolezza di appartenere a una patria comune, considerata come fonte di valori spirituali da conservare. Tali molteplici fattori definiscono nella loro completezza il concetto di Nazione.
La tutela della persona, per essere validamente compiuta, deve tenere conto della dimensione associata della vita di ciascuno e avere a oggetto non solo i singoli componenti statali nella loro individualità, ma anche gli stessi in quanto componenti di un’unica Nazione. I diritti di ciascuno sono quelli della collettività alla quale appartiene, perché la sua personalità si riflette in quella di tale formazione sociale, della quale è parte integrante; così che la tutela di quest’ultima è quella dello stesso individuo considerato nelle manifestazioni della sua personalità.
Il che, per il nostro ordinamento interno, è espresso efficacemente dall’art. 2 della Costituzione, che tutela i diritti umani non soltanto dei singoli individui, ma anche delle formazioni sociali nelle quali si manifesta la loro personalità. Lo Stato, come entità organizzata, è la proiezione, sul piano sociale, di coloro che lo compongono; così che la salvaguardia di tale formazione sociale si identifica con quella dei diritti fondamentali di coloro che ne fanno parte.
Nazione & Stato
II concetto di Nazione si forma, in contrapposizione all’universalismo razionalistico settecentesco, in epoca moderna e giunge al suo massimo compimento nel periodo del liberalismo e del romanticismo ottocentesco. Il concetto di Nazione appare dunque collegato a un’ideologia liberale che riafferma, unitamente alla libertà dell’individuo, quella del gruppo sociale nel quale il singolo è inserito. Il principio di autodeterminazione dei popoli è apparso il necessario complemento di quello della libertà individuale, della libertà della persona.
Nel nostro Risorgimento, al principio della fedeltà alle dinastie si è contrapposta la rivendicazione della libertà dell’individuo e del diritto all’autodeterminazione del popolo, identificato con la Nazione. Si trattava di abbattere gli Stati non rappresentativi di una Nazione e di sostituirli con uno Stato basato sul principio di nazionalità, e quindi sulle caratteristiche culturali della popolazione stessa. Al Metternich che aveva definito l’Italia un’«e-spressione geografica», si è voluto contrapporre l’identità culturale di una Nazione italiana.
Storicamente parlando, il principio di autodeterminazione dei popoli è stato riaffermato parallelamente a quello della libertà individuale: come il singolo deve essere libero, e gli devono essere riconosciuti i diritti inviolabili della propria persona, così anche i popoli devono essere liberi di autodeterminarsi, senza dover sottostare a poteri che li assoggettino e ne facciano venire meno l’indipendenza e la sovranità.
Al riconoscimento dei diritti umani dei singoli individui deve corrispondere il riconoscimento della dignità morale delle singole Nazioni alle quali i singoli appartengono, in quanto libere, indipendenti e sovrane rispetto a ogni altro potere a esse esterno.
Si è ritenuto che il venir meno dell’indipendenza della Nazione ne pregiudicasse irrimediabilmente quell’identità culturale che non può essere salvaguardata che attraverso la libertà di autodeterminazione della Nazione stessa, organizzata in uno Stato che ne abbia carattere esponenziale e che sia in grado di darsi un ordinamento consono alle proprie caratteristiche culturali. L’idea di un’unica cittadinanza dell’umanità, risalente al razionalismo settecentesco, è stata superata dal riconoscimento dell’identità culturale di ciascun popolo.
Il suo mancato riconoscimento si è ritenuto lesivo dell’autodeterminazione della Nazione che lo Stato rappresenta, la quale deve poter adottare ordinamenti consoni alle proprie caratteristiche culturali; caratteristiche culturali che, in caso contrario, verrebbero disconosciute. Ogni Stato non è concepibile a prescindere dall’esistenza di una specifica Nazione, della quale abbia carattere rappresentativo.
L’idea dello Stato nazionale, come organismo rappresentativo dotato di sovranità, si afferma pertanto in epoca moderna. Ed è interessante osservare come, in epoca contemporanea, la globalizzazione spinga molti autori, che adottano una concezione giusnaturalistica dei diritti umani, verso un nuovo universalismo di tipo illuministico.
La «cittadinanza»
L’elemento che definisce l’appartenenza del singolo a una collettività statale è la cittadinanza, la quale appare collegata all’idea di Nazione. La cittadinanza è uno status che negli ordinamenti moderni, liberi e democratici, appare inscindibilmente connesso con l’identità culturale di ciascuna Nazione. È lo status giuridico di appartenente a una Nazione che consente ai suoi componenti un autogoverno della stessa, consequenziale alla sua identità culturale. Ciascuna Nazione deve essere libera di autodeterminarsi, per potersi dotare di un ordinamento consono alle proprie esigenze, alle proprie caratteristiche culturali.
La riaffermazione dell’universalità dei diritti umani, e del loro universale riconoscimento, non può andare disgiunta dal riconoscimento di un altro diritto fondamentale, che a quelli deve accompagnarsi; e cioè del diritto all’autodeterminazione dei popoli, riaffermato dalle Dichiarazioni internazionali come diritto inviolabile.
Anche questo è un diritto fondamentale; e lo si fa valere attraverso la cittadinanza, la quale non è un mero strumento tecnico di identificazione dei residenti in un certo territorio, di una massa indifferenziata di esseri umani, la cui appartenenza a una collettività statale sia indifferente e priva di significato, ma è uno strumento di conservazione di un’identità culturale, la quale è un diritto inalienabile di ciascuna popolazione.
Dispone il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, stipulato a New York il 16 dicembre 1966: «Tutti i popoli hanno diritto di autodeterminazione: in virtù di questo diritto essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale» (1° paragrafo).
La sovranità, che questa disposizione garantisce, è il requisito giuridico indispensabile per rispettare le caratteristiche culturali dei popoli. In ogni Stato, tramite la sovranità, si rispettano la dignità di Nazione della collettività sottostante e la sua prerogativa di scegliersi, come ordinamento libero e democratico, un proprio governo. E anche in ambito comunitario vi è un’esplicita garanzia della conservazione delle caratteristiche culturali dei popoli che compongono l’Unione europea: «L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica» (art. 22).
Nel nostro ordinamento, l’art. 1 della Costituzione repubblicana dispone: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (2° comma). È la collettività statale che è sovrana; e tale collettività è identificata dalla stessa Costituzione con la Nazione. Statuisce al riguardo l’art. 67 della Carta costituzionale: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione senza vincolo di mandato». Il popolo, il corpo elettorale, è dunque nella Costituzione sinonimo di Nazione: l’uno e l’altro dei due termini si identificano. In tanto esiste nella Repubblica italiana una collettività statale, che è sovrana, in quanto esiste una Nazione italiana che a quella esattamente corrisponde.
Gli ordinamenti giuridici statali
La tutela dei diritti umani deve essere realizzata con quelle modalità che sono consone a ciascun ordinamento, in quanto la configurazione giuridica della società esprime i valori e le esigenze della civiltà che lo caratterizza. La tutela dei diritti umani avviene attraverso il rispetto del principio di legalità. E il rispetto della legalità si identifica con quello del diritto positivo proprio di ciascun ordinamento giuridico, così come appare nella sua realtà diversificata in rapporto alle esigenze di ciascuna collettività della quale lo Stato, al quale il cittadino appartiene, abbia carattere rappresentativo.
Il diritto positivo varia a seconda delle caratteristiche culturali della società da cui promana, della quale esprime gli aspetti più significativi. In particolare, le caratteristiche culturali di ciascun popolo si riflettono, assumendo consistenza giuridica, nella sua Costituzione: ogni Costituzione, per le sue origini storiche, rispecchia una concezione dell’uomo e della società che è l’espressione ideologica e normativa del popolo che l’ha adottata; rappresenta il risultato di una cultura e di una tradizione la quale esprime, al suo livello più elevato, valori non contingenti ma assoluti. La tutela dei diritti umani pur dovendo essere, all’interno di ogni Stato, piena e incondizionata, non solo non può, ma nemmeno deve essere uguale per ogni ordinamento.
Se le norme morali sono universalmente valide, il diritto positivo necessariamente varia a seconda delle differenti caratteristiche giuridiche di ogni ordinamento; le quali a loro volta sono consequenziali alle diversità culturali di ciascuna popolazione.
Sarebbe un grave errore ritenere che la tutela dei diritti umani si debba realizzare nell’uniformità. Tale tutela, per essere correttamente attuata, deve tenere conto non solo delle caratteristiche culturali e delle concrete istanze di ciascun popolo, ma anche dell’interesse collettivo, quale cambia nel corso del tempo e quale può essere correttamente valutato solo dagli organi esponenziali di una società organizzata.
Tale tutela dei diritti umani avviene con modalità che variano nel tempo e nello spazio, e che non sono per loro natura fisse e immutabili. Tale diversità di regolamentazione giuridica non viola i diritti umani, qualora le norme adottate siano moralmente valide, ma si traduce in una flessibilità la quale deve ritenersi connaturata all’elaborazione dei precetti che si rinvengono in ogni Carta costituzionale.
Ogni tentativo rivolto a positivizzare in maniera univoca i precetti morali è destinato a fallire, perché ogni norma positiva, pur se rigorosamente conforme a precetti etici, è condizionata dalle esigenze della società nella quale viene emessa; e quindi varia non solo a seconda della società alla quale inerisce, ma anche in rapporto alle esigenze di quest’ultima, quali si manifestano, nella loro mutevolezza, nel corso del tempo.
Tutela dei diritti umani
La tutela dei diritti fondamentali deve essere realizzata con quelle modalità che sono consone a ciascun ordinamento; perché è lo stesso ordinamento che esprime, o comunque deve esprimere, i valori e la civiltà che lo caratterizzano. Gli Stati hanno una Costituzione che a pieno titolo può rimanere in vigore, mentre le loro diversità contenutistiche sono la legittima espressione delle rispettive differenze culturali. La pretesa di annullare tali ineliminabili diversità, sulla base di uno schema unitario, non avrebbe senso e non sarebbe un progresso rispetto alla situazione antecedente, dando luogo invece a decisioni inopportune e inique.
La corrispondenza rispetto ai precetti morali ammette una pluralità di soluzioni; e la contingenza e la flessibilità non sono concetti riduttivi, ma requisiti indispensabili perché vengano emesse leggi giuste, che corrispondano a criteri di giustizia sostanziale.
Lo Stato, nella sua sovranità, in quanto rappresentativo di una sottostante popolazione, deve essere in grado, tramite i propri organi esponenziali, di gestire da sé i propri interessi e segnatamente di tutelare i diritti fondamentali dei propri componenti: a ogni popolazione con una propria cultura, razza, lingua, religione deve corrispondere uno Stato distinto, nel quale la popolazione rappresenti i propri interessi, secondo scelte che essa sia in grado liberamente di adottare.
L’idea giusnaturalistica dei diritti connaturati alla natura umana può far pensare a una struttura fissa e immutabile, a uno schema rigido che, in quanto tale, può essere applicato anche da organizzazioni sovranazionali, e anzi che tanto meglio è applicato quanto più uniforme e omogenea sia la relativa disciplina. In realtà, i diritti umani vengono tutelati attraverso la legge, e questa è un’entità flessibile, che si presta a essere adattata alle esigenze di ciascuna popolazione e, all’interno di questa, alle necessità mutevoli dei tempi.
La tutela dei diritti umani deve avvenire conformemente alle modalità stabilite dalle leggi di ciascun ordinamento, nel rispetto dell’identità culturale dei popoli. Ogni soluzione contraria, mirante a un livellamento coattivo di diverse culture e civiltà, che tanto successo riscuote presso coloro che in tal modo intendono attribuire valore assoluto – e il più incisivo – alla tutela dei diritti umani, urta con una realtà di fatto che respinge, spesso drammaticamente, questa pretesa e ne dimostra l’inattendibilità e la completa infondatezza.