Alleanza Cattolica 30 Aprile 2024
La cultura del dono e della vita è tutta da ricostruire
di Ernesto Nudo
«Siamo noi che decidiamo se essere madri o non essere madri, nessuno ce lo concede o ci dà l’opportunità…..e le dico di più: sono madre, ho scelto di essere madre. 14 anni fa, ho scelto di abortire». Sono parole molto esplicite quelle proferite dalla onorevole Gilda Sportiello, del Movimento 5 stelle, il 18 aprile scorso alla Camera dei deputati.
Durante il suo intervento la rappresentante del nostro Parlamento ha espresso, in modo a dir poco infuocato, il suo dissenso per l’approvazione al Senato, due giorni prima, della norma che consente l’ingresso di personale di associazioni pro-life nei consultori pubblici.
Sull’aborto si è detto tutto, ma non sarà mai abbastanza. Parlarne non è principalmente un diritto, ma un dovere, e le parole della signora Sportiello ce lo impongono. Di certo una donna è libera di decidere se diventare madre o meno, altra cosa però è dire che «nessuno ce ne dà il consenso o l’opportunità» e, ancor di più, che si può decidere di non volerlo restare quando già lo si è. Si può decidere di diventare madre “solo” se qualcuno, mettendomi al mondo, me ne dà l’opportunità.
Si può decidere di diventare madre “solo” se un uomo mi dona il suo seme per procreare. Si può decidere di diventare madre “solo” se la natura mi offre l’opportunità di generare un altro diverso da me. Sono madre “solo” quando arriva quest’altro. Sempre insieme, mai prima. E questi non ha altro modo naturale di venire al mondo, se non nel ventre di una madre.
Ma la natura non basta. Io posso desiderare un figlio ma lui non sarà mai solo il frutto di un meccanismo biologico, un individuo della specie, un essere umano. Lui sarà un essere personale, anche lui cioè libero di decidere. Lei o lui saranno: Giovanna o Silvia, Mario o Luigi. Unici e irripetibili.
Ci deve essere qualcosa di più della sola natura che mi dà l’opportunità di diventare madre di una persona umana. Se io posso volere un figlio ma non “proprio quello” allora non mi appartiene radicalmente. Appartiene a Qualcun Altro che me lo dà “proprio” come Egli l’ha da sempre voluto.
Così come io non appartenevo a mia madre fino al puntodi potermi sopprimere se lei lo avesse deciso. Come ci ha insegnato il cardinale Caffarra: dalla natura, che è il regno della necessità, non può nascere la libertà, «l’impersonale non può dare origine al personale».
Se dunque il discorso sulla libertà di scelta eccede i puri meccanismi biologici allora si entra nel campo della responsabilità, nell’ordine del bene e del male. Se la ragione mi fa conoscere il vero bene della persona umana, come posso negarlo con la volontà? Il soggetto che esercita la libera scelta non è lo stesso che ha conosciuto la verità?
Come si può equiparare la scelta di avere un figlio con quella di abortirlo”? Sarebbe la negazione del desiderio stesso, della libertà. Come si è potuta generare questa disintegrazione nel cuore dell’uomo? È una lunga storia. Il fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni, ci ricordava spesso che al momento della nascita di un uomo finisce il mistero della natura e inizia quello della cultura.
Con che cosa sarà rivestita la sua nudità? La cultura non si sostituisce alla natura, ma la istituisce riconoscendola, la vivifica perfezionandola, la invera nella storia attuandola. La natura però non può cambiare, la cultura si, fino a contraddirla.
Le parole dell’Onorevole Sportiello tradiscono una cultura plurisecolare di allontanamento dalla verità per realizzare il regno dei desideri e della libertà d’indifferenza, fino a quella per la vita o per la morte.
Ma la libertà non può mai essere il fine ultimo dell’uomo. Il fine dell’uomo è il suo vero bene e la libertà consiste nello scegliere sempre ciò che mi conduce a quel fine. Il più grande teologo della storia, nel senso che ha espresso la più compiuta teologia della storia, sant’Agostino d’Ippona (354-430), fu tra coloro che iniziarono la costruzione della vera città degli uomini, la civiltà della libertà nella verità.
Egli intuì la vera Novità, che è tale solo se è definitiva. I grandi filosofi greci avevano scoperto l’amore come Eros, come assenza di Qualcosa, come desiderio mai pienamente appagato, di ascesa verso un Bene mai definitivamente raggiunto. Ma giunta la pienezza dei tempi, l’uomo si scopre già colmo di doni, abitato da un Dio che lo ha desiderato fino al sacrificio di Sé, e l’amore da acquisitivo si fa donativo.
«Per i pagani l’amore è tanto più grande quanto più grande è l’oggetto che si ama. Nel cristianesimo al contrario l’amore è tanto più grande quanto più piccolo è l’oggetto amato». Magari quanto un grumo di cellule. Purtroppo negli anni del “desiderio e dell’aborto” la cultura del dono e della vita è tutta da ricostruire. I pro-life nei consultori potrebbero essere un buon inizio.
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