Il presidente Obama in occasione del suo discorso di insediamento ha già dimostrato di conoscere poco la storia del suo Paese. Adesso si sta apprestando a ripercorrere gli errori dei suoi predecessori democratici. Che quando hanno voluto mostrarsi troppo concilianti con certi avversari hanno posto le basi per nuove guerre che poi è toccato ai loro successori repubblicani combattere.
di Patrick J. Buchanan
(traduzione di Maurizio Brunetti)
Daniel Ortega aveva appena terminato di sputarci in faccia, accusandoci di disumanità nei confronti della Cuba di Fidel Castro, che a Obama viene richiesto di esprimere un´opinione su ciò che aveva sentito. “Credo che sia durato 50 minuti. Ecco quello che penso”. Pure a Hillary Clinton è stato chiesto un parere: “Si è trattato di una performance culturale affascinante” ha risposto cinguettando. Incalzata di nuovo su quanto detto da un Ortega al vetriolo, Hillary ha aggiunto: “Assistere a questi spettacoli caraibici di prima qualità e come tutto è stato organizzato in così poco spazio. Tutto ciò mi ha semplicemente sopraffatto”.
Sicché, la nazione che ha vinto la Guerra Fredda, che ha contenuto il cancro del castrismo entro i confini di Cuba, che ha liberato Grenada, che ha bloccato la scalata al potere dei comunisti in Guatemala e nella Repubblica Dominicana e che si è indebitato spendendo miliardi di aiuti in questa parte del mondo, non ha trovato un leader che prendesse le sue difese al Summit delle Americhe.
Né quello è stato l´unico insulto lasciato impunito. Hugo Chavez, che ha chiamato Obama “ignorante” e Bush “El Diablo”, ha raggiunto un presidente degli Stati Uniti comodamente seduto e gli ha consegnato il pamphlet anti-americano “Le ferite aperte dell´America Latina: un continente vittima di cinque secoli di razzie”.
Il libro incolpa gli europei dei fallimenti dell´America latina. Inizià così: “Gli europei del Rinascimento solcarono gli oceani e affondarono i loro denti nelle gole delle civiltà indigene” Civiltà? Prima che Pizarro e Cortes riuscissero ad abbatterli, l´impero Inca e quello azteco praticavano sacrifici umani.
Evo Morales, il presidente amerindo della Bolivia, che sta usando l´argomento razziale contro i boliviani di discendenza europea, ha lasciato intendere che gli Stati Uniti fossero coinvolti in un complotto per assassinarlo.
La rappresentante argentina Cristina Kirchner, che a quanto si dice ha ricevuto denaro sporco da Chavez, e che negli anni ´80 in fuga dal suo paese trovò rifugio proprio negli Stati Uniti, ha ricordato che, ai tempi di Reagan, l´America sostenne la Gran Bretagna nella guerra delle Falklands, quando il governo militare argentino decise di occupare quelle isole, e aiutò i Contras nella loro guerra di liberazione nazionale contro i sandinisti di Ortega al potere.
Anche in questo caso, Obama ha deciso che non era il caso di difendere le scelte del suo paese.
Il presidente brasiliano Lula da Silva, che ha attribuito la responsabilità della crisi finanziaria mondiale ai “banchieri di razza bianca e dagli occhi azzurri” ha detto a Obama che ogni futuro Summit delle Americhe sarebbe stato inaccettabile senza la partecipazione dei fratelli Castro.
Obama punta probabilmente a una strategia diplomatica del “porgi l´altra guancia”, sebbene sia assai difficile trovare nella storia esempi in cui una tale politica abbia avuto molto successo. Forse il pacifismo è nel suo DNA. Magari è effettivamente convinto che gli USA siano colpevoli di tutte le accuse contenute nel repertorio di ogni demagogo sudamericano che si rispetti.
Qualunque siano le sue convinzioni, a Trinidad la storia non può essere raccontata diversamente: da una parte c´era il pattume costituito dalla sinistra sudamericana, dall´altra un presidente degli Stati Uniti che singhiozzava mestameste: “Sono grato che il presidente Ortega non mi accusi di cose che sono successe quando io avevo solo tre anni”.
Ma non è forse vero che se l´operazione della Baia dei Porci avesse avuto successo, avrebbe regalato ai cubani cinquanta anni di libertà al posto di una dittatura brutale che costoro sono tuttora costretti a subire? La cosa ebbe luogo giusto quattro mesi prima che Barack nascesse.
Il silenzio di Obama – che significa, come è vero, assenso – di fronte agli attacchi contro il suo paese è parte del “viaggio di contrizione” che sta compiendo col suo segretario di stato.
“La Clinton guadagna punti nell´ammettere gli errori del passato compiuti dagli USA” è stato il titolo del pezzo scritto da Mark Landler sul New York Times: “È diventato un episodio ricorrente dei primi viaggi di Hillary Rodham Clinton come capo diplomatico degli USA: lei dice che la politica americana su un qualche particolare aspetto è stata un fallimento, e gli interlocutori stranieri le si inchinano davanti con gratitudine”.
“Venerdì scorso, la signora Clinton ha detto che la politica scevra da compromessi dell´amministrazione Bush nei confronti di Cuba …non ha funzionato”.
“Il viaggio di contrizione supera i confini dell´America latina. In Cina, la signora Clinton ha detto che gli Stati Uniti devono ammettere le proprie responsabilità per essere i principali produttori dei gas che causano l´effetto serra. In Indonesia, che la politica di sanzioni economiche contro Myanmar ispirata dagli Stati Uniti non ha prodotto alcun effetto. E nel Medio Oriente, ha affermato che ostracizzare il governo iraniano non è servito a farlo desistere dall´impossessarsi di armi nucleari”.
Sandler ha scritto che Hillary gli fa tornare in mente Bill Clinton: “In un singolo viaggio compiuto in Africa nel 1998 … Bill Clinton chiese scusa per la parte che ebbe l´America nella pratica dello schiavismo; per il supporto dato a brutali dittatori africani; per `la scarsa attenzione e l´ignoranza´ americana nei confronti dell´Africa; per il tardivo intervento americano ai tempi del genocidio compiuto in Rwanda nel 1994; per la `complicità´ americana nel reato di apartheid…”
Eppure, come ci ricorda C.S. Lewis in “God in the Dock”, “Ciò che per prima cosa e fatalmente ci attrae nel ricorso a una sorta di `pentimento nazionale´ è…che ci incoraggia a soprassedere all´ingrato compito di pentirci dei peccati personali e ad adottare quello più congeniale di deplorare e prima di tutto di denunciare – la condotta degli altri”.
Deplorare le politiche di Bush come fallimentari o rimanere muto dinanzi agli attacchi rivolti al nostro paese e ai suoi predecessori finirà per ritorcersi contro Obama.
Come quando Jimmy Carter assunse un atteggiamento di superiorità morale nei confronti di Lyndon B. Johnson e di Richard Nixon dichiarando “Ci siamo finalmente liberati della paura irrazionale nei confronti del comunismo”.
La cosa si ritorse contro di lui, come è giusto e duramente.