C’è chi dice che è un faiso medievale o un dipinto di Leonardo. E chi sostiene che è la prova della Resurrezione. Sulla Sindone circolano tanti miti. Troppi. Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di Sindonologia, fa il punto della situazione. E spiega qual è il modo corretto di fare indagini senza pregiudizi.
di Bruno Barberis
Un primo e importante motivo è legato al fatto che l’argomento Sindone coniuga necessariamente interessi e motivazioni sia scientifici sia religiosi. Ciò ovviamente non ha nulla di negativo, anzi è di enorme fascino e interesse. Spesso però si corre il rischio di confondere o mescolare impropriamente i due piani, con il risultato di togliere valore e validità alla comunicazione, soprattutto quando si commette il grave errore di affrontare problemi di carattere religioso con metodi scientifici e, viceversa, problemi strettamente scientifici con metodologie di tipo religioso.
Un altro rischio serio è quello di lasciare che le convinzioni personali riguardanti la fede influenzino le considerazioni e i risultati degli studi storico-scientifici. Ciò conduce spesso a conclusioni forzate, dettate dalla volontà di dimostrare a tutti i costi tesi preconcette o di controbattere a priori quelle tesi che non coincidono con le proprie convinzioni.
Si rischia così di cadere in un fondamentalismo che è tutto tranne che seria ricerca scientifica e che provoca spesso confusione nei lettori, che hanno l’impressione di assistere a una guerra tra tesi opposte piuttosto che a un dialogo serio e rigoroso, che può anche essere serrato, ma che, per essere veramente scientifico, deve essere costruttivo, rispettoso delle opinioni altrui e improntato esclusivamente alla ricerca della verità.
Il compito dello scienziato serio è quello di informare in modo corretto, distinguendo sempre tra notizie e dati certi e ipotesi basate su dati e documenti solo in parte o per nulla attendibili. Molti dei volumi e degli articoli scritti sulla Sindone e delle notizie che compaiono nei numerosi siti web sono viziati da questi problemi e non sempre è facile distinguere a prima vista e in modo netto e chiaro tra quelli assolutamente seri e rigorosi e quelli che non lo sono.
La varietà delle affermazioni è amplissima: si va dall’affermazione che sulla Sindone è dipinto un autoritratto di Leonardo, a quella che essa è opera di un falsario medievale che ha utilizzato tecniche a noi non note oppure tecniche pittoriche facilmente utilizzabili in qualsiasi epoca, a quella che fa della Sindone la «prova scientifica della resurrezione», ovvero il risultato di una radiazione caratteristica della resurrezione, come se la resurrezione stessa fosse un evento naturale, ripetibile in laboratorio e pertanto esaminabile con i metodi scientifici. E l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo.
Lo studioso serio e onesto detesta le crociate prò o contro l’autenticità dell’immagine sindonica, fatte al solo scopo di convincere il maggior numero di persone delle proprie convinzioni senza portare uno straccio di prova oppure adducendo motivazioni che fanno a pugni con la più elementare razionalità, Su questa strada è bene lasciarsi guidare dalle chiare ed eloquenti parole di Giovanni Paolo II, il quale il 24 maggio 1998, davanti alla Sindone, disse: «La Chiesa esorta (gli scienziati) ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti».
Qual è lo stato delle conoscenze attuali e quali i settori della ricerca coinvolti nello studio della Sindone? Proviamo a tracciare un quadro sintetico,
a) La fotografia: l’immagine ha caratteristiche simili a quelle di un negativo fotografico;
b) L’analisi medico legale: la lettura “topografica” dell’immagine, effettuata da numerosi medici, primo fra tutti il francese Pierre Barbet, ha messo in evidenza numerose ferite e lesioni che hanno consentito di provare che si tratta dell’immagine lasciata dal cadavere di un uomo dapprima flagellato e torturato e poi crocifisso;
c) Le tracce biologiche: gli studi effettuati su campioni prelevati nel 1978 dal torinese Pierluigi Baima Bellone e dagli americani John Heller e Alan Adler hanno consentito di dimostrare che le macchie di colore rosso visibili sulla Sindone sono realmente macchie di sangue umano di gruppo AB. I prelievi di microtracce effettuati nel 1973 e nel 1978 dallo svizzero Max Frei Sulzer hanno permesso di rinvenire granuli di polline provenienti da piante che crescono solo in Palestina e in Anatolia, dimostrando la probabile permanenza della Sindone in tali regioni;
d) L’analisi digitale dell’immagine: gli americani John Jackson e Eric Jumper nel 1977 e i torinesi Giovanni Tamburelli e Nello Balossino nel 1978 sottoposero l’immagine della Sindone a elaborazione elettronica scoprendo che essa possiede caratteristiche tridimensionali non possedute né da dipinti né da normali fotografie e che sulla palpebra destra sono visibili tracce lasciate da un oggetto identificabile molto probabilmente con una moneta romana coniata nella prima metà del primo secolo d.C;
e) Le modalità di formazione dell’immagine: è stato accertato, soprattutto in seguito agli studi effettuati dagli scienziati statunitensi dello Sturp (Shroud ofTurin Research Project) sui dati e sui campioni raccolti nel 1978, che nelle zone di immagine del lenzuolo sono assenti pigmenti e coloranti, che l’immagine corporea è dovuta a un’ossidazione e disidratazione della cellulosa delle fibre superficiali del tessuto, che è assente al di sotto delle macchie ematiche (e dunque si è formata successivamente a esse) e che è estremamente superficiale (solo qualche centesimo di millimetro). Numerosi sono stati i tentativi sperimentali di riprodurre (a partire da un cadavere o attraverso metodi artificiali) un’immagine simile a quella sindonica, ma finora si sono dimostrati tutti carenti o perché non correlati da verifiche sperimentali serie o perché tali verifiche hanno evidenziato sulle immagini ottenute caratteristiche fisico-chimiche molto diverse da quelle possedute dall’immagine sindonica, che pertanto deve ancora essere considerata un’immagine sostanzialmente irriproducibile;
f) La datazione del tessuto: la datazione di un campione di tessuto effettuata nel 1988 con il metodo del radiocarbonio (C 14) dai laboratori di Oxford, Zurigo e Tucson (USA) ha fornito una data compresa tra il 1260 e il 1390 d.C, Questo risultato è tuttora oggetto di un ampio dibattito tra gli studiosi circa l’attendibilità dell’uso del metodo del radiocarbonio per datare un oggetto con caratteristiche storiche e chimico-fisiche così peculiari come a Sindone. La datazione medievale contrasta con vari risultati ottenuti in altri campi di ricerca e inoltre non è facile accertare se nel corso dei secoli non si è aggiunto nuovo C14 a quello del telo. È stato provato che contaminazioni di tipo biologico, chimico e tessile, sono in grado di alterare considerevolmente l’età radiocarbonica di un tessuto. Pertanto al momento attuale il problema della datazione del tessuto sindonico risulta aperto e non ancora risolto.
Ma non bisogna dimenticare, come molti fanno, che nel Duomo di Torino non è in corso una nuova campagna di ricerche sulla Sindone ma un’ostensione, ovvero un pellegrinaggio per il quale quasi due milioni di persone si sono messe in viaggio (molti anche da altri continenti) per rimanere qualche minuto di fronte a questa immagine unica.
Perché lo fanno? Cos’è che li spinge a mettersi in pellegrinaggio per farsi interrogare da questa immagine? Mi auguro che non siano pochi i giornalisti interessati a conoscere e a raccogliere le motivazioni più profonde dei pellegrini alla Sindone. A tutti coloro che si pongono di fronte alla Sindone liberi da preconcetti e da pregiudizi con la sola intenzione di percorrere un prezioso cammino di riflessione alla scoperta del mistero della passione di Gesù, giunga l’augurio che Giovanni Paolo II formulò durante la sua già citata meditazione davanti alla Sindone: «Lo Spirito di Dio, che abita nei nostri cuori, susciti in ciascuno il desiderio e la generosità necessari per accogliere il messaggio della Sindone e per fame il criterio ispiratore dell’esistenza».
La controversia del Carbonio 14
La datazione della Sindone è un problema dibattuto da lungo tempo. Già W.F. Libby, l’inventore del metodo della radio datazione e premio Nobel, aveva proposto di effettuare una serie di misure, ma il progetto era sfumato a causa dell’eccessiva quantità di campione da utilizzare.
Con l’affinamento delle tecnologie, sono stati via via presentati nuovi progetti che, per vari motivi non andarono in porto. Essi non furono abbandonati ma modificati gradualmente. Il risultato finale si concretizzò nel prelievo effettuato il 21 aprile 1988, effettuato nella sacrestia del Duomo di Torino da una équipe costituita dai professori F. Testare e L Gonella, del Politecnico di Torino, e da G. Riggi di Numana, alla presenza del cardinale Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Torino e Custode della Sindone.
Il prelievo venne effettuato in un unico sito posto nell’angolo in alto a sinistra del telo sindonico. A ciascun laboratorio fu consegnato un campione di Sindone del peso di circa 50 milligrammi. I risultati delle analisi furono comunicati al cardinale Balestrero il 28 settembre del 1988.
Il cardinale rese noti i responsi il 13 ottobre in una conferenza stampa: la Sindone risultò datata a un periodo compreso fra il 1260 e il 1390 dopo Cristo. In base a questo risultato il telo sindonico non potrebbe essere il lenzuolo che avvolse il corpo di Cristo deposto dalla croce. Immediatamente si scatenò un coro di proteste e di contestazioni intorno all’intero programma di datazione, alimentato purtroppo da leggerezze, imprudenze e in alcuni casi da comportamenti poco corretti.
Risulta inoltre che i laboratori per la radio datazione hanno presenziato al prelievo dei campioni ma non hanno invitato ad assistere ai lavori di analisi i rappresentanti del cardinale Balestrero. Si consideri che in sede legale una qualsiasi analisi eseguita in assenza della controparte è disattesa dai tribunali. I laboratori incaricati dell’esecuzione delle misure si erano impegnati a non divulgare i risultati prima di averli comunicati al Custode della Sindone.
Viceversa si sono verificate fughe di notizie diversi mesi prima della consegna dei risultati. Un elemento di cautela nell’accettazione acritica dei risultati si è sviluppato, negli ambienti scientifici, dopo la radio datazione. Esso si ricollega al prelievo del campione e alla carenza di esami multidisciplinari atti ad accertare: a) il tipo e la quantità di sostanze estranee presenti sui campioni; b) la rappresentatività dei campioni esaminati rispetto all’intero telo sindonico. Lo spettro infrarosso di un filo di campione, non utilizzato per la misura di radio datazione, secondo Adler, risulta non uguale a quello del tessuto.
Dalle dichiarazioni di partecipanti al prelievo risulta che è stato necessario eliminare una parte del campione per l’evidente presenza di sostanze estranee. Prima delle analisi i laboratori hanno eseguito cicli di lavaggio sui campioni, ma non risultano effettuate prove analitiche atte ad accertare il grado di disinquinamento. Sembra che all’Università di Oxford sia stata effettuata un’analisi con il microscopio elettronico a scansione su un filo del tessuto sindonico, ma i relativi risultati non sono stati resi noti.
Recentemente sono apparse alcune pubblicazioni che mettono in dubbio la significatività del campione utilizzato per la radio datazione. Nel lavoro presentato da R.N. Rogers nel 2005, pochi mesi prima della sua scomparsa, si sostiene che un frammento residuo del campione per la radio datazione presenta caratteristiche particolari rispetto al complesso del telo Sindonico.
Secondo l’autore il sito del prelievo sarebbe stato oggetto nel passato di un rammendo invisibile e pertanto la data misurata, corretta da un punto di vista strettamente sperimentale, non corrisponderebbe alla vera età della Sindone. Anche il lavoro di M.S. Benford eJ.G. Marino arriva alle stesse conclusioni.