di Bruto Maria Bruti
Nella psicologia moderna e nell’uso comune si intende per psiche l’insieme delle funzioni sensitive, affettive e mentali grazie alle quali l’individuo ha esperienza di sé e della realtà esterna. Questo insieme di funzioni si traduce in rappresentazioni di eventi, di fatti, di cose e in bisogni, desideri, atti volitivi e intellettivi. Il filosofo cattolico Jean Daujat ha evidenziato come si stata la concezione cartesiana dell’anima ( erede degli errori platonici ) a creare una grande confusione fra la religione e le scienze psicologiche perché ha considerato il corpo e l’anima come due sostanze fra loro collegate e non come due princìpi costitutivi di un’unica sostanza.
Per Cartesio l’uomo è costituito da due sostanze, un corpo materiale e uno spirito puro: l’anima abita nel corpo ma è indipendente e separata dal corpo, una sorta di pilota che guida la macchina – corpo. Questo concezione ha portato Cartesio a dividere lo studio dell’essere umano in due scienze: la fisiologia che studia il corpo e la psicologia che studia l’anima.
Corpo ed anima, in realtà, non sono due sostanze che si sommano ma i princìpi costitutivi di un’unica sostanza. Per questo la psiche non è il regno in cui agisce uno spirito puro indipendente dal corpo ma bisogna tenere conto dell’esistenza della parte vegetale e animale della psiche da cui originano sensazioni e fantasie che sfuggono al controllo diretto della volontà e della coscienza e si situano al di sotto della coscienza (subconscio).
Nel subconscio si situano, ad esempio, le immagini sensibili che abitano in noi senza che noi ne serbiamo un ricordo cosciente: automatismi dell’istinto, automatismi acquisiti con l’abitudine, sentimenti (attrazioni, repulsioni, aggressività, affettività) che ci muovono e ci influenzano e sui quali dobbiamo, con sforzo, dirigere l’attenzione della volontà e dell’intelligenza per poterne diventare coscienti e per poterli guidare verso ciò che è buono oggettivamente.
La psiche, dunque, non comprende solo la parte della coscienza e della volontà ma anche la parte dell’inconscio – ovviamente inteso in senso etimologico e non nel senso freudiano – in cui si muove tutto ciò che c’è in noi di vegetale (vita organica) e di animale (funzioni della sensibilità): ciò costituisce propriamente il subconscio e cioè il luogo da cui originano tutti quei moventi del comportamento situati al di sotto della coscienza.
Nell’inconscio si muove anche ciò che c’è in noi di più spirituale e da cui origina la manifestazione della coscienza e della volontà: la natura immateriale della nostra stessa anima che costituisce il sovra – conscio. C’è dunque nella psiche una struttura e una gerarchia estremamente complessa come la realtà umana stessa e in questa realtà profonda e misteriosa dell’essere umano tutto è collegato.
Dalla concezione cartesiana dell’anima come spirito puro indipendente dal corpo e che costituisce la psiche è nata una sorta di rivalità fra la religione e le terapie psicologiche che, invece, sono autonome e distinte nelle loro rispettive sfere d’azione. (1) La distinzione tra le realtà spirituali e quelle fisiche, che si manifestano nelle funzioni della psiche, non deve tuttavia giungere al limite della separazione e pertanto è auspicabile che si giunga ad una collaborazione fra psicologia e religione allo scopo di contribuire a migliorare la salute della persona vista nella sua totalità fisica e spirituale.
La religione e quindi i sacerdoti, i moralisti ed i teologi devono tenere conto del fatto che molte persone sono ostacolate nella via dello spirito da una diminuzione della libertà determinata da meccanismi psicologici errati e non del tutto coscienti. La psicoterapia deve tenere conto del fatto che nelle zone più profonde della psiche umana esiste il ricordo ed il bisogno del sacro e che l’amore di Dio e la speranza della vita eterna rappresentano la principale e più potente motivazione in grado di illuminare ed incoraggiare l’essere umano nelle difficoltà della vita, in grado di suscitare e mantenere in lui la volontà di guarire, anche di fronte alle difficoltà più gravi che superano le stesse forze umane.
San Tommaso d’Aquino, ricorda Daujat, non è caduto nell’errore di Cartesio e, in accordo con Aristotele, ha situato la scienza psicologica nel campo della fisica in modo da non confonderla con la metafisica. Ma che cos’è propriamente l’anima e dove è localizzata? Platone localizzava l’anima nel punto di attacco della corda spinale con il cervelletto, Cartesio nella ghiandola pineale, J.C. Eccles – premio nobel per la neuro – biologia, nei moduli piramidali della corteccia sensitivo – motoria.
Invece, per San Tommaso d’Aquino e per la dottrina della Chiesa Cattolica – Concilio di Vienna – l’anima è il principio vitale da cui scaturisce ogni azione corporea, quella dell’apparato locomotore come quella della psiche. L’anima non sta in un luogo particolare del corpo perché è l’architetto interiore che dà forma alla materia informe, che struttura la materia in modo tale da renderla un essere vivente, è il principio vitale che unifica, organizza e armonizza ogni più piccola parte del corpo penetrandola alla radice e totalmente: si può dire, con San Tommaso d’Aquino, che non è il corpo che contiene l’anima ma è l’anima che contiene il corpo e lo contiene fino a quando continuano a rimanere in vita quegli elementi corporei indispensabili ad assicurare il mantenimento dell’unitarietà funzionale dell’organismo.
Attualmente la scienza medica ritiene che l’organismo non sia morto fino a quando resta il tronco cerebrale funzionante la cui vita assicura il mantenimento dell’unitarietà funzionale degli organi, seppure in una condizione di tipo vegetativo persistente (2)
L’esistenza dell’anima spirituale
Scrive San Pio X nel suo Catechismo Maggiore: ” l’anima è la parte più nobile dell’uomo, perché è sostanza spirituale, dotata d’intelletto e di volontà, capace di conoscere Dio e di possederlo eternamente. (…) l’anima nostra non si può né vedere né toccare perché è spirito. (…) l’anima umana non muore mai: la fede e la stessa ragione provano che essa è immortale”. (3)
Con il termine anima, che deriva da ànemos – soffio, vento -, si intende il principio primo dell’attività di tutti gli esseri viventi. Nell’uomo, la natura dell’anima è immateriale anche se essa informa il corpo e costituisce con esso un’unica sostanza: il modo di agire manifesta il modo di essere e alcune operazioni intellettive e volitive dell’essere umano, pur procedendo dal corpo, trascendono il mondo materiale dimostrando che non possono avere il corpo come unico soggetto.
L’esistenza dell’anima spirituale è dimostrabile per via logico deduttiva: essa si deduce dall’esistenza di tre attività umane che trascendono il corpo e la materia stessa. Queste attività sono la conoscenza intellettiva (da non confondere con la semplice conoscenza sensitiva), l’autocoscienza o conoscenza riflessa o riflessione, il desiderio della felicità assoluta e quindi dell’eternità.
Conoscere nel senso intellettuale non consiste nel semplice prendere, toccare, sentire o vedere le cose con i sensi e con il cervello che è il centro di integrazione dei sensi: il cervello, infatti, è dotato di immaginazione riproduttrice – capacità di riprodurre l’oggetto visto -, immaginazione associatrice – capacità di associare le immagini degli oggetti visti – e memoria – capacità di conservare le immagini-. I sensi hanno il compito di registrare le cose come si presentano ma solo l’intelligenza ha bisogno di porre la domanda: che cos’è questo?
Questa domanda è il segno che, per l’uomo, nei dati provenienti dai sensi resta un oggetto da conoscere che i sensi non possono cogliere. Qual’ è dunque questo oggetto? Questo oggetto è l’essenza di una cosa, ciò per cui una cosa è quella che è: il perché esiste e perché esiste in quel modo.
Per esempio, mentre con l’occhio vedo molte piante particolari, diverse le une dalle altre, con l’intelletto sono capace di fare astrazione delle differenze delle piante particolari e di formare il – concetto – di pianta che posso applicare a tutte le piante, dall’insalata al pino: primo processo astrattivo che coglie l’unità estraendola dalla diversità. L’animale vede una pianta particolare ma è incapace di concepire la caratteristica unitaria che accomuna tutte le piante. In virtù di questa capacità astrattiva l’uomo può dire: la pianta appartiene al regno vegetale e non a quello animale, come il cane, né a quello minerale come il ferro.
Può, cioè, formulare giudizi che si applicano a tutte le piante, a tutti gli animali, a tutti i minerali. Per noi esseri umani questa operazione di astrazione intellettuale è talmente naturale che non ci rendiamo conto dell’esistenza di questa capacità per il semplice fatto che la mettiamo continuamente in funzione in modo del tutto naturale, così come mettiamo in funzione i nostri cinque sensi.
Questa capacità astrattiva è più evidente nei concetti quantitativi di ordine fisico – matematico, cioè in quei concetti dove definiamo la misurabilità delle cose per la loro grandezza. La lunghezza, per esempio, è una parola che serve ad indicare una proprietà comune delle cose – gli oggetti sono più o meno lunghi -, ma anche ad esprimere l’idea o modello della lunghezza che possiede la proprietà della lunghezza al massimo grado, cioè l’infinitamente lungo.
Questa misura massima è un’idea o modello che i sensi non possono conoscere perché nessun oggetto che noi vediamo o tocchiamo possiede totalmente questa proprietà ma la riceve solo in parte da qualcosa che trascende le cose stesse: secondo processo astrattivo che riesce a cogliere l’essenza di un oggetto senza l’oggetto particolare, che riesce, cioè, a cogliere l’idea direttrice, il progetto da cui ha avuto origine la proprietà di una cosa.
Il nostro intelletto, dunque, non solo conosce una proprietà comune delle cose, per cui affermiamo che gli oggetti sono più o meno lunghi – primo processo astrattivo che coglie l’unità estraendola dalla diversità – ma riesce anche ad estrarre da questa proprietà unitaria la sua misura massima. Dopo la conoscenza sensitiva, dunque, l’intelletto è capace di ottenere una ulteriore conoscenza e riesce a vedere, per esempio, non solo che le cose sono più o meno belle, ma anche a concepire l’idea della bellezza assoluta, riesce a vedere non solo che le cose sono più o meno lunghe, ma anche a concepire l’idea dell’infinitamente lungo.
Quando definiamo le cose, la definizione presenta le cose nella loro essenza e questa essenza viene estratta fuori dalla materia, liberata dalla materia, – detemporalizzata -, despazializzata -, sradicata dal suo contesto materiale, particolare, limitato, finito. Per esempio, quando dico che l’uomo è un animale razionale “- la definizione dell’uomo – animale razionale – non implica, in sé, né dimensioni, né colori, né età, né lingua, nulla cioè di ciò che caratterizza i singoli individui e che quindi non è comune a tutti gli uomini.
Quando definiamo le cose, la nostra intelligenza prescinde totalmente dalla materia sensibile. La definizione presenta le cose nella loro essenza e astrae da tutto ciò che è sensibile e materiale. Questo prova che l’anima umana strappa le essenze dal mondo della natura e le – detemporalizza- e – despazializza-“-. (4)
Consideriamo ora l’autocoscienza o conoscenza riflessa o riflessione: noi esseri umani non solo capiamo ma capiamo di capire; accanto allo scire c’è in noi il cum scire, cioè accanto alla scienza esiste l’auto coscienza.
Una facoltà puramente corporea è estesa e conosce solo in modo esteso, al più una parte può ripiegarsi sull’altra ma non il tutto sul tutto: l’occhio, da solo, senza uno specchio non può vedere se stesso e il dente non può mordere se stesso. Invece l’intelligenza è cosciente di se stessa, si ripiega completamente su se stessa in modo da essere insieme forza conoscitiva e oggetto conosciuto: l’intelletto, per poter conoscere se stesso, deve porsi da un punto di vista diverso da quello dell’oggetto in modo da potersi osservare come un oggetto.
In accordo con il principio di non contraddizione – il quale dice che nessuna cosa può essere e non essere contemporaneamente e sotto lo stesso aspetto -, l’intelletto, nell’operazione delle riflessione, può essere contemporaneamente soggetto conoscente e oggetto conosciuto ma non può esserlo sotto lo stesso aspetto: cioè può essere soggetto conoscente e oggetto conosciuto ma da punti di considerazione diversi; soggetto conoscente in alcune operazioni e oggetto conosciuto in altre.
Analoga è l’analisi della volontà: anche nella volontà si verifica una riflessione su se stessa, una auto volizione.
Come l’intelletto conosce la sua conoscenza, così la volontà può volere la sua volizione a qualunque costo: ad esempio, posso smettere di leggere questo scritto soltanto per voler dimostrare di volerlo. (5)
Infine consideriamo il desiderio tipicamente umano della felicità assoluta e quindi dell’eternità. L’essere umano desidera che i suoi momenti di felicità siano tali da soddisfarlo perfettamente e tali, quindi, da non finire mai. Il desiderio di felicità assoluta comporta il desiderio dell’immortalità perché la felicità assoluta non sarebbe tale se dovesse finire con la morte. Il desiderio d’immortalità introduce il concetto di un tempo diverso da quello attuale dove la felicità non ha termine e che chiamiamo eternità. San Tommaso d’Aquino spiega che si può desiderare qualcosa – anche di nuovo – ma solo a partire da qualcosa che già si conosce.
Ad esempio, posso desiderare di camminare nell’aria perché conosco la possibilità di camminare in terra e conosco l’esistenza del cielo, posso desiderare l’esistenza di forme di vita nell’universo perché conosco due cose: la vita e l’universo.
Posso desiderare una felicità assoluta, cioè libera da vincoli e da limitazioni e tale, quindi, da non finire mai perché esiste già in me qualcosa che tende alla perfezione e all’eternità. Ogni soggetto dotato di conoscenza desidera di perdurare nell’essere nel modo con il quale conosce l’essere: quello che conosce l’essere di un momento desidera solo questa esistenza momentanea, quello che conosce l’essere perpetuo desidera di essere sempre e poiché nessun desiderio naturale può essere vano, questo soggetto conoscente deve essere sempre.
Lo stesso suicidio non è una negazione del desiderio di felicità perfetta e quindi immortalità. Nella maggior parte dei casi, il suicidio non è un atto di amore per la morte in se stessa ma una fuga dal dolore. In alcuni rari casi il suicidio è il frutto della superbia cioè della disordinata stima di se stessi. Il superbo può giungere a rifiutare la sua dipendenza dal Creatore fino al punto di voler essere padrone del momento della sua morte. Il filosofo ateo Friedrich Wilhelm Nietzsche, in Così parlò Zarathustra, giunge ad esaltare – la libera morte, che viene a me, perché io voglio-.
Zarathustra non desidera la morte per se stessa ma cerca di ribellarsi alla sua condizione di essere – mortale – dandosi la morte. (6)
Il rapporto fra l’anima spirituale ed il corpo
L’uomo è una sostanza fatta di anima e corpo, anima e corpo non sono due sostanze fra loro collegate ma sono la forma e la materia della stessa sostanza uomo.
Materia e forma, in metafisica, sono due principi costitutivi di una stessa sostanza e non due sostanze che si sommano. Un pezzo di legno, ad esempio, può diventare una statua oppure una sedia, un tavolo. Il legno è la – materia – che può prendere la – forma – della statua o della sedia o del tavolo: la forma in metafisica non è il profilo esterno di una cosa ma il principio d’essere di una cosa, l’atto che le conferisce una determinata proprietà, che la fa essere ciò che prima non era, che la organizza in un certo modo.
La materia, invece, è ciò che viene organizzato, ciò che è in grado di ricevere un atto che le conferisce una determinata proprietà. Dopo che il materiale del legno è stato organizzato in un certo modo, esso ha acquisito una forma: la forma di statua o di tavolo o di sedia.
Dire che l’acqua è composta di ossigeno e di idrogeno – cioè di due atomi che si uniscono – non è la stessa cosa che affermare che la statua è composta dal materiale e dalla forma di statua perché la materia e la forma della statua non sono due sostanze che si sommano ma sono due principi costitutivi di una stessa sostanza.
L’anima non sta in un luogo particolare del corpo ma è forma corporis – la forma in senso metafisico del corpo – cioè il principio primo che anima – mette in movimento – un essere dal di dentro, senza un intervento esterno ad esso, rendendolo un essere vivente. Se si osserva un essere vivente in via di formazione, si riscontra che possiede in se stesso il principio interiore del suo sviluppo. Tale principio interno presenta soprattutto tre caratteristiche:
– mette in movimento la materia dal di dentro;
– questo lavoro di movimento e di sviluppo armonicamente finalizzato rivela la presenza di un progetto intrinseco al vivente o idea – guida;
– poiché i diversi organi e le diverse parti del corpo sono unificati in un tutto perfettamente organizzato, tale caratteristica si chiama forma: con questo termine si vuole indicare non tanto la figura esterna ma il principio intrinseco di determinazione e di unificazione. (7)
Per unità sostanziale dell’essere umano, dunque, deve intendersi quella situazione in cui l’anima non sta in un luogo particolare del corpo ma è il principio vitale che informa tutta la materia del corpo. La filosofia che nega l’unità sostanziale dell’essere umano (condannata dalla Chiesa Cattolica nel Concilio di Vienna, dove si afferma che l’anima è forma corporis) è sbagliata perché finisce, anche senza volerlo, per negare ciò che afferma e cioè l’esistenza dell’anima.
Infatti, se l’anima e il corpo fossero due sostanze ciascuna delle quali ha un essere proprio distinto dall’essere dell’altra sostanza, l’anima sarebbe come una specie di guidatore ed il corpo (cervello compreso) sarebbe la macchina da guidare. In questa maniera non si capisce come il guidatore, una volta che abbia deciso – e si tratterebbe di una decisione spirituale presa dall’anima – di portare la macchina verso una certa direzione (ad esempio di affrontare un pericolo), si tiri in dietro e non riesca a farlo.
Se il guidatore (che sarebbe l’anima) non riesce a guidare la macchina del corpo, una volta che lo ha deciso, questo starebbe a significare – ed è la considerazione del filosofo Baruch Spinoza – che l’anima non esiste per se stessa ma sarebbe solo un attributo del corpo.
La concezione dualista – cioè la concezione secondo cui il corpo e l’anima sono due sostanze fra loro collegate – finisce per negare l’esistenza dell’anima stessa, cioè il fatto che l’anima possa esistere per se stessa. (8 ). Per le sostanze puramente corporee non può esistere la forma senza la materia: ad esempio, la statua non può esistere senza il materiale che viene organizzato in statua.
Nella sostanza uomo, invece, per via delle operazioni spirituali dell’intelletto e della volontà, l’anima deve sussistere per sé in maniera spirituale anche senza la materia che informa: sussistere significa esistere per sé e non in virtù di un altro essere. Mentre in tutte le sostanze corporee chi ha l’essere è il composto di forma e materia, nell’uomo chi ha l’essere è l’anima la quale lo comunica al composto così che la sostanza uomo esiste in virtù dell’essere dell’anima. Per l’uomo, le cui operazioni intellettuali e volitive dimostrano l’esistenza di un elemento non corporeo – che pertanto ha una sussistenza spirituale -, tale elemento, che chiamiamo anima, deve continuare a sussistere necessariamente anche se viene privato del corpo che è la sua costruzione, il suo modo d’essere.
La natura spirituale dell’anima esige che la sua origine sia dovuta ad un intervento diretto di Dio. Infatti l’anima non può essere prodotta da preesistente sostanza materiale essendole superiore; né può essere prodotta dalla preesistente sostanza spirituale dei genitori. Infatti questo tipo di generazione esigerebbe che lo spirito dei genitori comunicasse una parte di sé ma ciò non è possibile perché lo spirito non è divisibile come la materia. L’anima perciò è creata direttamente da Dio nello stesso momento in cui avviene la fecondazione umana.
L’azione immediata di Dio non è un’azione speciale di tipo miracolistico perché fa parte dell’ordine e del piano naturale dell’universo creato. (9) Questa unità sostanziale dell’essere umano – situazione in cui l’anima non sta in un luogo particolare del corpo ma è il principio vitale che informa la materia del corpo – spiega bene i rapporti che intercorrono fra la realtà materiale e quella spirituale. Con l’unità sostanziale dell’essere umano si capiscono i motivi per cui l’uomo non sempre riesce a fare ciò che vuole – e si tratterebbe di una decisione spirituale dell’io dotato di coscienza e volontà -. I motivi sono due: i difetti corporei ed i disordini dell’anima.
Difetti corporei: l’uomo in coma non può agire, l’intelletto di un bambino deve attendere lo sviluppo del cervello per manifestarsi. Dopo la morte l’io spirituale sussiste necessariamente ma in un modo di cui non possiamo avere alcuna idea o esperienza. Si tratta di uno stato violento a lui non naturale in quanto separato dal suo modo d’essere ( il corpo ) e perciò non può agire nel mondo dei corpi perché il suo corpo è il suo mezzo ordinario d’azione: la sua possibilità d’azione può dipendere solo dalla libera iniziativa di Dio.
Disordini dell’anima: la ribellione contro Dio ha prodotto la ribellione delle potenze inferiori dell’anima (passioni) contro le superiori (ragione e volontà) per cui l’uomo spesso non fa il bene che vuole ma il male che non vorrebbe.
Scrive S. Agostino: «l’anima comanda che la mano si muova, e la cosa avviene così immediatamente che a stento si distingue il comando dall’esecuzione: eppure l’anima è spirito e la mano è materia. L’anima comanda poi a se stessa di volere: si tratta della medesima anima, eppure non obbedisce. Come mai ciò? Perché? L’anima, dico, ordina di volere: non ordinerebbe se non volesse, eppure, non esegue ciò che essa stessa ordina. (…) Non è (…) incredibile che avvenga di volere e di non volere nello stesso tempo, perché è una debolezza dell’anima (…)».(10)
Il peccato di Adamo ed Eva ha ferito la natura umana per cui il progetto interiore, l’idea-guida – cioè l’anima creata da Dio – non può realizzarsi in maniera completa e ordinata con la natura contaminata che si trova a disposizione. Il peccato dei progenitori ha ferito la materia vivente da trasmettere ai figli.
Dopo il peccato originale, l’anima di ogni essere umano compie un lavoro di movimento, di sviluppo e di formazione su di una materia vivente che è stata resa priva dei particolari benefici di cui Dio l’aveva dotata per poter rispondere alle esigenze dell’anima stessa: infatti tale materia è diventata corruttibile e reca in sé l’imprinting di un evidente conflitto fra le varie componenti psichiche. Un conflitto che fa dire all’apostolo Paolo che la carne ha desideri contrari allo spirito.
Dopo il peccato originale, l’io spirituale creato da Dio, dotato di coscienza e volontà, animando una materia vivente contaminata, subisce una situazione di disordine, non nella sua essenza, ma nelle sue operazioni.
Lo spiritismo e la reincarnazione
Spiritismo e reincarnazione presuppongono una concezione dualista platonico- cartesiana di anima e corpo che nega l’unità sostanziale dell’essere umano e porta, come abbiamo visto, alla posizione erronea del materialismo. Solo la preghiera a Dio è il mezzo ordinario per poter comunicare con l’anima separata violentemente dal suo corpo.
L’anima privata del suo corpo non può agire nel mondo dei corpi se non per iniziativa di Dio: le tecniche dello spiritismo sono una evidente forzatura del mondo dello spirito perché pretendono di ottenere con sforzi umani solo ciò che Dio può concedere e pertanto sono negative dal punto di vista dell’equilibrio psicologico e spirituale e, in ultimo, esiste il fondato sospetto che esse non siano immuni da intervento diabolico.
Scrive Carlos Aldunate nel suo libro -Il cristiano di fronte al paranormale- :«Provocare questi fenomeni significa entrare volontariamente nello stato particolare di ricettività che si chiama TRANCE. In essa, il medium lascia da parte il suo spirito critico e si fa trasportare dalla propria sensibilità. Per questo la trance è uno stato degradato dell’uomo. (…) Il medium in trance sospende le proprie capacità superiori, per essere permeabile alle forze dell’ inconscio inferiore (…)»
«Queste forze sono sconosciute: possono venire dall’inconscio del medium, dall’inconscio del cliente o dall’inconscio collettivo. Possono venire anche da uno spirito sconosciuto, perché non c’è mai piena sicurezza che vengano dallo spirito invocato. Possono infine venire da un demone. Certamente non possono venire da Dio, perché Dio non può essere captato e obbligato a rispondere alle nostre domande. Si crea facilmente una dipendenza dagli spiriti; dipendenza che può risultare assai funesta».
«Conosciamo vari casi in cui l’invocazione degli spiriti ha provocato ossessioni con voci, sensazioni corporali, impulsi al suicidio, ecc. (…) Se un’attività è essenzialmente malsana per l’uomo, è segno che essa non è conforme alla sua natura, non rientra nell’intenzione del Creatore. Semplicemente quell’attività è contro l’etica; non si deve svolgere».
«I pericoli delle pratiche spiritiche, gli effetti perniciosi che spesso producono, ci avvertono che esse non devono essere compiute. La trance comporta sempre una diminuzione della chiarezza intellettuale, dello spirito critico e della libertà umana; quindi ne deriva sempre una diminuzione della responsabilità, che è la caratteristica propria dell’uomo adulto e maturo. L ‘uomo in trance è come un uomo più o meno drogato, un uomo sminuito. Questa trance si verifica nel medium e anche nella persona che lo consulta e che entra nella suggestione scatenata dal medium» (11)
La dottrina della reincarnazione è, nella sua realizzazione pratica, come una ruota che parte da un punto per fare ritorno nel luogo di partenza. La diversità degli esseri è momentanea, presente soltanto nelle esistenze intermedie che si manifestano fra la partenza e l’arrivo: minerali, poi piante, poi animali, poi uomini fra loro disuguali e infine l’uguaglianza e cioè uno spirito perfetto, identico. Secondo tale dottrina gli uomini sarebbero più o meno avanzati a seconda che siano più o meno vicini al punto di arrivo, che è simile al pleroma gnostico: il pleroma gnostico è una sorta di magma originario e indistinto e lo gnostico Basilide lo chiama apertamente il nulla.
Nella dottrina della reincarnazione:
A) gli uomini non hanno più un proprio essere, una propria identità personale: infatti essi non hanno conoscenza delle proprie esistenze anteriori, non possono rintracciare la propria continuità e la propria unicità. Questa amnesia delle esistenze precedenti è in contraddizione proprio con la teoria della reincarnazione la quale presuppone l’esistenza di uno spirito indipendente dal corpo, cioè di uno spirito che sta nel corpo come una sostanza di natura completa e che pertanto guida il corpo come il pilota guida la nave. Infatti, se lo spirito è una sostanza in se stessa completa, nel disincarnarsi dovrebbe portare via con sé i ricordi e, senza perdere il possesso di questi, dovrebbe entrare nel nuovo corpo, allo stesso modo in cui il pilota non perde i propri ricordi nel passare da una nave all’altra.
B) L’ignoranza delle esistenze anteriori rende inutile la reincarnazione. Infatti, considerando l’ignoranza delle esistenze precedenti, non si vede in che modo la reincarnazione possa servire a favorire il progresso individuale. Per i reincarnazionisti la dottrina della reincarnazione servirebbe a far progredire gli individui attraverso vite successive corrispondenti al loro stato di avanzamento spirituale-: questa sarebbe la cosiddetta legge del Karma. Perché l’ avanzamento dello spirito possa avere luogo, esso dovrebbe essere perfettamente consapevole dell’esperienza acquisita in ciascuna delle esistenze precedenti, ma come si può realizzare un tale progresso se lo spirito perde il ricordo delle esistenze precedenti?
C) gli uomini non hanno più una vera famiglia: infatti, per la dottrina della reincarnazione i figli esistevano già prima che i genitori prestassero loro un corpo in cui incarnarsi. Prima di essere nostri- secondo tale dottrina – i figli furono di altri genitori, che furono probabilmente anche di altra famiglia, di altra nazione, di altra patria, di altra razza. Gli stessi genitori potranno reincarnarsi in un corpo prestato loro dai figli.
D) gli uomini non avrebbero più una vera identità sessuale: infatti la reincarnazione può avvenire in un corpo sessualmente diverso dal precedente.
E) Non ci sarebbe vera differenza fra l’uomo e l’animale: perché possiamo essere stati animali e possiamo esserlo in futuro. (12)
Ammessa la dottrina della reincarnazione diventa facile, da un punto di vista filosofico, giustificare comportamenti devianti come l’incesto, l’omosessualità, la zoofilia. Inoltre, da questo nucleo filosofico reincarnazionista, è inevitabile che abbiamo origine dottrine contrarie alla famiglia e alla giuste e naturali disuguaglianze fra gli uomini
Dalla dottrina della reincarnazione deriva anche una concezione panteista: l’uomo si salva da solo attraverso successive reincarnazioni e Dio finisce per identificarsi con la somma di tutte le cose. Ma se non esiste più un Dio personale e trascendente, la natura non è più l’opera del Creatore, non è più il frutto del logos, il risultato di un progetto razionale e pertanto non esisterebbero più né verità, né leggi, né diritti assoluti, sacri, inviolabili . La natura diventerebbe soltanto una sorta di materiale nato dal caso, frutto di semplici e momentanei rapporti di forza, un materiale su cui il più potente ha il diritto di esercitare la sua forza: rimarrebbe un solo diritto e anche un solo dovere, quello della forza.
In realtà, il vero e autentico dominio dell’uomo sulla natura può attuarsi soltanto attraverso la conoscenza ed il rispetto delle leggi naturali. La natura non può essere dominata calpestandone le leggi: la natura si lascia dominare solo conoscendone le leggi ed applicandole.
«Il dominio accordato dal Creatore all’uomo non è un potere assoluto, ne si può parlare di libertà di -usare e abusare -, o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di -mangiare il frutto dell’albero -( cf Gen 2,16), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire-». (13)
Alcune obiezioni scientifiche alla reincarnazione
La regressione ipnotica sarebbe, per i reincarnazionisti, prova della reincarnazione. In realtà nel sub-conscio avviene una caotica rielaborazione di tutti i dati pervenuti durante l’esistenza ed è possibile che ci sia una identificazione con dati, storie e avvenimenti depositati e rielaborati nell’inconscio, identificazione indotta dall’ipnotizzatore: l’influsso dell’ipnotizzatore è evidente nel fatto che, se suggerisce al soggetto un ritorno all’infanzia, questo agisce e parla come un bambino; se gli suggerisce di essere stato un animale, questo parla e agisce come un animale; se gli suggerisce di tornare ad un altra vita, comincia ad elaborare la storia di un’altra vita.
Inoltre i racconti dei soggetti in stato di ipnosi sono suggeriti più o meno consapevolmente dagli stessi ipnotizzatori. Infatti i soggetti ipnotizzati da Joe Keeton accettano lo schema del loro ipnotizzatore: asseriscono tutti di essersi reincarnati subito dopo la morte. Quelli ipnotizzati da Arnall Bloxham trascorrono lunghi periodi nelle sfere astrali. Quelli di Helen Wambach si scelgono il sesso prima di reincarnarsi e quelli di Edith Fiore si reincarnano tra parenti che si odiano.
Le famose esperienze del Deja vu sono facilmente spiegabili con dati ed elaborazione dei dati che riemergono dal sub-conscio in seguito ad associazioni emotive indotte da immagini, sensazioni, luoghi, persone, situazioni che contengono elementi analoghi a quelli depositati nel sub-conscio. Inoltre la stessa parapsicologia fornisce strumenti analitici per dimostrare come molti casi di presunta reincarnazione siano in realtà fenomeni di possessione. (14)
Note
1) cfr Jean Daujat, Psycologie contemporaine et pensée chrétienne, Téqui, Paris 1976