pubblicato da Corrispondenza Romana del 5 aprile 2003
Finalmente ci si accorge che per comprendere compiutamente i fenomeni impazziti della finanza non si può prescindere anche da un approccio socio-psicologico. Soprattutto considerando gli attuali tempi di “capitalismo cognitivo”.
Caduto il “fordismo” e, con esso, avviato ad inesorabile declino dopo due secoli di gloria, il capitalismo industriale, incalzato dall’offensiva di quello finanziario, l’economia con i suoi tempi, le sue leggi, le sue eccezioni continua quel progressivo, irreversibile processo di allontanamento dal “reale” e di approssimazione alla distorta logica “virtuale”, con le conseguenti pericolose ricadute in termini di fiducia collettiva nel sistema, nella certezza delle regole, nella tutela del risparmio, nella salvaguardia dell’occupazione.
In simili scenari un fattore che sembra aver assunto primario rilievo è rappresentato dalla componente psicologica che sempre più influenza comportamenti irrazionali e reazioni impulsive degli investitori, inspiegabili un tempo, ma divenuti funzionali al mutato contesto economico-finanziario.
A tale intenzione segnaliamo l’intervista (“Corriere Economia” del 3 febbraio) al prof. Terrance Odean dell’Università di Berkeley, uno dei più famosi ricercatori economici (allievo di Daniel Kahnemann, vincitore lo scorso anno del Nobel per l’Economia) che con i suoi studi cerca di spiegare le relazioni tra psicologia ed investimenti finanziari.
Le sue ricerche (poco apprezzate) prendono le mosse dal comportamento dei trader-on-line, ovvero coloro che investono in borsa via internet, ai quali egli imputa gran parte della responsabilità della “bolla speculativa” scoppiata tre anni fa. Ma è sul diverso atteggiamento dei tempi di “Orso”, termine col quale si indicano i periodi di ribasso in borsa, che si sviluppa la parte più interessante dell’analisi.
In tempi simili – spiega Odean – il trading si riduce per cinque motivi:
1) i trader hanno difficoltà ad accettare di vendere in perdita.
2) Vendere guadagnando aumenta la fiducia in se stessi, finendo con l’attribuirsi i meriti; in caso contrario si tende a scaricare le colpe su fattori esterni
3) Se si vince, si ha la tendenza (“effetto-casinò”) a destinare la vincita in beni voluttuari: in borsa ciò si traduce nell’assumere ulteriori elevati rischi.
4) Il cosiddetto “effetto-luccichio” induce, inoltre, gli investitori a scegliere le azioni basandosi non su analisi razionali, bensì su pubblicità e/o voci che si rincorrono sui media, ma se le notizie sono spiacevoli si tende a non ascoltarle.
5) Alcuni investitori, infine, giocano in borsa per divertimento, ma se iniziano a perdere preferiscono cambiare abitudine.
Insomma, finalmente ci si accorge che per comprendere compiutamente i fenomeni impazziti della finanza non si può prescindere anche da un approccio socio-psicologico. Soprattutto considerando gli attuali tempi di “capitalismo cognitivo”.