Articolo pubblicato su Tempi n.10
Una lobby di Democratici Usa ha cercato di salvare Aristide dal suo destino e ora parla di “rapimento”. Ma non soltanto per ragioni ideali. Un fiume di denaro fra Haiti e Washington. Il ruolo di Randall Robinson
di Casadei Rodolfo
Aristide merita un posto a parte in questo olimpo non per sue qualità intrinseche, ma per una specificità: se lui ed i suoi amici hanno potuto spadroneggiare per un decennio in Haiti, è stato soltanto perché la comunità internazionale ed il governo degli Stati Uniti hanno fatto propria l’agenda dell’Internazionale terzomondista e della teologia della liberazione; nel 1994 Aristide è stato riportato al potere, da cui era stato deposto con un golpe militare, grazie all’intervento di 20mila soldati Usa che avevano la benedizione dell’Onu. Il suo regime non è piovuto dal cielo: è il prodotto della politica estera dell’establishment “liberal” americano al tempo della presidenza Clinton.
Questo è talmente vero che anche negli ultimi due-tre anni, quando ormai tutta la sinistra mondiale aveva scaricato Aristide, autorevoli voci in sua difesa hanno continuato a levarsi dagli Stati Uniti. Ancora pochi giorni fa, Jessica Leight del Coha di Washington, un istituto di ricerca sull’America latina sempre molto elogiato dal senatore democratico Edward Kennedy, scriveva che «Aristide è un uomo coraggioso… cocciuto e calcolatore, e anche dotato di self control ed enormemente intelligente. Sa quanto è importante per il suo popolo e per il resto del mondo… Egli era il più prezioso patrimonio democratico nazionale, ma anni di persecuzione politicamente manipolata da parte degli Stati Uniti e di un’opposizione non democratica hanno fatto diminuire la qualità del suo governo… il presidente haitiano ha approvato ogni immaginabile riforma per eliminare i difetti avvertiti nelle elezioni legislative del maggio 2000, di cui l’opposizione chiede l’invalidazione».
L’attivismo del Black Caucus
Sembrano posizioni estremiste, e invece sono pienamente condivise dai rappresentanti democratici al Congresso, in particolare da quelli del Black Caucus, la più potente lobby di deputati afroamericani, tutti e 38 democratici. Il loro decano, John Conyers, per due settimane ha implorato il presidente Bush di «affermare il nostro sostegno alla democrazia e allo Stato di diritto e di denunciare il rovesciamento violento di un presidente democraticamente eletto» e di inviare soldati americani «ad aiutare le forze di polizia haitiane in difficoltà a respingere questi teppisti armati».
Che Aristide sia al potere grazie ai brogli elettorali delle elezioni politiche del 2000 e che alle presidenziali successive abbia votato meno del 10% degli aventi diritto perché l’opposizione si è rifiutata di partecipare; che l’8% o di tutta la droga pesante che entra negli Usa passi attraverso Haiti, dove nell’ultimo anno non è mai stato arrestato neanche uno spacciatore; che gli oppositori di Aristide vengano minacciati o malmenati impunemente dalle Chimères, l’organizzazione paramilitare vicina al presidente, o assassinati senza che i loro uccisori vengano puniti, come è accaduto ai giornalisti Jean Dominique e Brignol Lindor fra l’aprile 2000 e il dicembre 2001, tutto questo importa poco.
La linea del Black Caucus è sempre stata coerente: quando Aristide era esule a Washington dopo il golpe del ‘91, faceva pressione per l’embargo contro la giunta golpista e a favore dell’intervento militare per reinsediare il presidente; quando Aristide ha truffato le elezioni e Usa, Ue e paesi dell’America latina hanno sospeso la cooperazione economica (ma non gli aiuti umanitari), si sono battuti perché queste sanzioni venissero ritirate, fino a convincere l’anno scorso G. W. Bush a sbloccare un prestito ad Haiti di 149 milioni di dollari da parte della Banca interamericana per lo sviluppo.
Ancora nell’ottobre 2002, il Black Caucus invitava Aristide a Washington come ospite d’onore del galà annuale del gruppo, invito declinato. Ma i Democratici bianchi non sono da meno: il senatore Christopher Dodd di New York, per esempio, si è sempre opposto alle sanzioni anti-Aristide e all’idea di subordinare la loro abrogazione «a un accordo politico sulle elezioni controverse del 2000, perché sarebbe mescolare le mele con le arance», e nel luglio 2003, allorché una manifestazione dell’opposizione haitiana veniva assalita nella baraccopoli di Cité Soleil, accusava gli organizzatori di provocazione, per aver voluto tenere l’incontro in un quartiere in maggioranza pro-Aristide.
Enti umanitari e contratti telefonici
Le posizioni dei Democratici sono solo frutto di ottusità ideologica? No, c’è ben altro. Alcuni anni fa il presidente haitiano ha creato la “Fondazione Aristide per la democrazia”, un ente non profit registrato negli Usa che ha fra i suoi scopi l’organizzazione di dibattiti democratici, programmi di alfabetizzazione, sostegno ad iniziative economiche delle comunità più povere in Haiti.
Chi controlla che le donazioni vadano a buon fine e non vengano distratte per scopi poco nobili? Il comitato dei garanti sembra la lista d’onore del Black Caucus: oltre al già citato John Conyers ci troviamo deputati democratici neri come Major Owens, Donald Payne, Charles Rangel e Maxine Waters, ed ex deputati come Carrie Meek e Ronald Dellums. Ci troviamo pure Randall Robinson, fondatore di TransAfrica, il più importante gruppo di pressione Usa in favore della gente di colore in tutto il mondo, che ha accusato l’amministrazione Bush di aver “rapito” Aristide.
Ma i bianchi non mancano: a parte il giurista Irwin Stotzky e l’attrice Julia Roberts, messi lì per fare figura, troviamo due ex deputati democratici cruciali per i destini di Aristide come Michael Barnes e Joseph P. Kennedy II (la cui moglie Ethel fa pure parte del comitato).
Qual è il problema? Il problema – a parte l’opportunità di fare i consulenti per una Ong intitolata ad un capo di Stato in carica, sempre più autoritario col passar degli anni, e diretta dalla di lui moglie, la signora Mildred – è che molti dei nomi che abbiamo fatto appartengono a soci d’affari di Aristide o a lobbisti da anni sul suo libro paga. Barnes, un avvocato attivo a Washington deputato democratico del Maryland fra il 1979 e il 1987, è stato il primo lobbista messo a contratto da Aristide durante il suo soggiorno americano (1991-94).
Le autorità Usa consentirono al presidente in esilio l’accesso ai beni haitiani congelati dopo il colpo di Stato, il cui valore ammontava a 40-50 milioni di dollari; i prelievi furono pari a 900mila dollari al mese nel primo anno e a 1,8 milioni al mese a partire dall’ottobre 1992. A chi sono andati tutti questi quattrini?
Non è facile saperlo, anche perché alcune entrate, per esempio quelle che l’ente telefonico haitiano (Haitian Teleco) continuava a realizzare all’estero, furono versate su conti panamensi per ordine del presidente. È certo che 55 mila dollari al mese, per tutta la durata dell’esilio a Washington, andarono a Michael Barnes, il cui compito era quello di convincere Congresso e governo a riportare Aristide al potere
Il nome di Joseph P. Kennedy II, invece, insieme a quelli di Marvin Rosen, responsabile nazionale delle finanze del partito democratico fra il 1995 ed il gennaio 1997, e di Thomas McLarty III, capo dello staff della Casa Bianca durante la presidenza Clinton e amico personale dell’ex presidente, compare nel consiglio di amministrazione della Fusion Telecommunications International, una multinazionale telefonica Usa titolare di una misteriosa concessione ad Haiti: i termini del contratto non sono mai stati resi noti.
Le telecomunicazioni sono da sempre considerate una delle “vacche da latte” del sistema Aristide: l’ente telefonico nazionale, incapace di attrezzare una rete fissa sul territorio nonostante i grandi proventi del traffico fra gli immigrati haitiani nel mondo e la madrepatria, conclude contratti con vettori stranieri che gli versano una percentuale. Più la cifra ufficiale richiesta alla compagnia straniera è bassa, e più si può sospettare che sia accompagnata da pagamenti in nero.
Due vettori americani operanti sul mercato di Haiti hanno confidato ad un reporter del Wall Street Journal, a metà del 2001, che era stato loro offerto l’accesso al mercato haitiano ad una tariffa eccezionalmente bassa con l’unica condizione che i pagamenti fossero effettuati su conti speciali. Kennedy, che nei mesi precedenti si era vantato sulle pagine del Boston Globe di «essere orgoglioso di aver aiutato a portare più di 1 milione di dollari di investimenti della Fusion ad Haiti», dopo le inchieste del Wall Street Journal fece dichiarare dal suo ufficio stampa che non era lui a dirigere le attività della Fusion e che non aveva nessun rapporto personale di affari con Aristide.
Fra i lobbisti accertati di Aristide a Washington ci sono lo studio legale Patton Boggs (pagato 50mila dollari al mese), l’ex deputato Ronald Dellums e Hazel Ross-Robinson, moglie di Randall Robinson di TransAfrica. Per aver criticato Dellums è stato licenziato dal “Center for International Policy” di Washington (un centro studi di sinistra) l’analista politico James Morrell.
Aveva accusato Dellums di lavorare «per un leader arbitrario che governa con la violenza e la frode, il cui obiettivo attraverso i lobbisti è di evitare di dover dividere il potere con gli oppositori». Aristide, ormai in fuga, non ha più potere da dividere con nessuno. Ma ha tanti amici che gli sono debitori. Negli anni ha fatto tesoro della famosa raccomandazione evengelica: «Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste, affinché quando esse vi verranno a mancare, vi ricevano nelle dimore eterne».