La Croce quotidiano 9 maggio 2018
La sintesi della trasmissione di Radio Mater “Temi di Dottrina sociale della Chiesa”. Dedicata alla terza Esortazione apostolica di Papa Francesco “Gaudete et exsultate”
di Giuseppe Brienza
A cinque anni dall’elezione Papa Francesco ha pubblicato la sua terza Esortazione apostolica, “Rallegratevi ed esultate” (“Gaudete et exsultate”). Il titolo è tratto dalle ultime parole della parte iniziale del grande proclama di Gesù universalmente noto come “discorso della montagna” (Mt 5, 1-12a). Il nuovo documento di Bergoglio, come dice esplicitamente il sottotitolo, ripropone quella “chiamata alla santità nel mondo contemporaneo” sulla quale aveva già puntato il Concilio Vaticano II.
Il Pontefice, alieno dai giri di parole e da sociologismi, lancia un messaggio essenziale, indicando ciò che conta veramente nella vita cristiana, cioè il «cercare e trovare Dio in tutte le cose», insegnato fra gli altri dal fondatore della Compagnia di Gesù sant’Ignazio di Loyola. La Gaudete et exsultate si compone di cinque capitoli, il cui punto di partenza è la vocazione universale alla santità, ed è rivolta non solo a preti, suore o religiosi/e, ma a tutti i battezzati. Da quest’ultimo punto di vista il Papa avverte in particolare su “due sottili nemici” della santità, che tendono a presentarla cioè come una pratica di tipo elitario, intellettuale o volontaristico.
L’Esortazione individua quindi nelle beatitudini evangeliche l’unico vero modello di una santità che consiste nel seguire la via «alla luce del Maestro» e non alla stregua di una ideologia religiosa.
Quali sono le «caratteristiche della santità nel mondo attuale» secondo Papa Francesco? Essenzialmente sette: pazienza, mitezza, umorismo, audacia, fervore, vita comunitaria e preghiera costante. Il terzo capitolo del documento, diviso in due paragrafi, Controcorrente (nn. 65-94) e La grande regola di comportamento (nn. 95-109), spiega come fra le «molte teorie su cosa sia la santità» nulla sia più illuminante che il «ritornare alle parole di Gesù e raccogliere il suo modo di trasmettere la verità».
Il cuore del messaggio evangelico sulla santità, infatti, è molto chiaro: «Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini. Esse sono come la carta d’identità del cristiano» (n. 63). Eppure i cristiani di oggi, esattamente come i farisei dei tempi del Signore, amano complicarsi e complicare la vita, proponendosi come “maestri” e cercando d’introdurre sottili distinzioni e dotte elucubrazioni frutto esclusivamente di “scienza umana”.
L’Esortazione apostolica non vuole in effetti essere un «trattato sulla santità, con tante definizioni e distinzioni che potrebbero arricchire questo importante tema, o con analisi che si potrebbero fare circa i mezzi di santificazione». Questi apparati di chiose e spiegazioni generano o alimentano infatti quelle che Papa Francesco ha definito le «ideologie che mutilano il cuore del Vangelo». Ideologie non affatto “morte”, quindi, anzi come ci avverte il Pontefice esse esistono ancora e non mancano di fare danni, a maggior ragione quando si ammantano di significati e linguaggi religiosi. Sono queste le «ideologie che mutilano il Vangelo», alle quali sono dedicati ben 4 punti della Gaudete et Exsultate, con passaggi davvero molto interessanti.
Li illustriamo facendoci aiutare da due riflessioni in merito pubblicate recentemente. La prima è di un religioso – proprio come Papa Francesco, che appartiene come noto alla Compagnia di Gesù, la seconda è di un laico. Il direttore de “La Civiltà Cattolica” p. Antonio Spadaro, infatti, che ha scritto un saggio intitolato “Gaudete et Exsultate. Radici, struttura e significato della Esortazione apostolica di papa Francesco” sull’ultimo Quaderno (n. 4028 del 18 aprile 2018) della rivista dei gesuiti italiani, preceduto di qualche giorno da un’altrettanta accurata riflessione curata da un giovane teologo e saggista, Giovanni Marcotullio, pubblicata sul suo blog “Breviarium” (cfr. “Middle Class Holiness”: Papa Francesco ci rimanda al Cielo, 10 aprile 2018).
La «classe media della santità»
Il focus del nuovo documento è, naturalmente, la santità, tema apostolico che è nel cuore del pontificato di Francesco sin dall’inizio. Nell’intervista concessa a La Civiltà Cattolica nell’agosto 2013, a cura dello stesso p. Spadaro (vol. III, 460), cioè a cinque mesi dalla sua elezione, ne aveva parlato a lungo soffermandosi sull’insegnamento centrale del Concilio Vaticano II della chiamata universale.
«Io vedo la santità nel popolo di Dio, la sua santità quotidiana», disse ad esempio in un passaggio fondamentale. E ancora: «Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza».
Già tra le risposte all’intervista della rivista dei gesuiti il Papa aveva dato la definizione ripresa nell’Esortazione apostolica: «C’è una “classe media della santità” di cui tutti possiamo far parte, quella che di cui parla Malègue». Joseph Malègue è uno scrittore e romanziere francese di fine Ottocento e inizio Novecento (nato nel 1876 e morto nel 1940) evidentemente caro a Bergoglio che lo cita anche in Gaudete et exsultate a proposito della «santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (n. 7).
La santità va dunque cercata nella vita ordinaria e tra le persone a noi vicine, non in modelli ideali, astratti o sovrumani, come affermato solennemente nella seconda delle quattro costituzioni dogmatiche del Concilio Vaticano II, la Lumen gentium (21 novembre 1964) che, nel capitolo V parla della «vocazione universale della santità».
Cristianesimo, non assistenzialismo
I due «errori nocivi» (o «nemici») della santità che Papa Francesco vede innanzitutto sono indicati chiaramente nello gnosticismo e nel pelagianesimo (o “neo-gnosticismo” e “neo-pelagianesimo”). Pelagio (360-420), che è stato monaco e teologo cristiano bretone piuttosto influente all’inizio del V secolo, introdusse un’eresia tipicamente “moderna” per la quale l’uomo, mediante le sole proprie forze, è in grado di superare ogni tipo di tentazione, purché pratichi l’ascetismo.
Eresia confutata magistralmente da Sant’Agostino per il quale la natura umana, dopo il peccato dei progenitori, è stata radicalmente corrotta e senza la grazia guadagnata dalla morte in Croce di Cristo l’uomo può assolutamente cancellare l’antico peccato e la sua inveterata peccaminosità.
Lo gnosticismo è invece una deriva ideologica e intellettualistica del cristianesimo di sempre, trasformato «in un’enciclopedia di astrazioni», secondo il quale, solo chi è capace di comprendere la profondità di una dottrina sarebbe da considerare un vero credente (cfr. n. 37). Il Papa è molto duro al riguardo e parla di una religione «al servizio delle proprie elucubrazioni psicologiche e mentali» (n. 40) che allontanano dalla freschezza del Vangelo.
Sono le ideologie a portarci a questi due errori: «Da una parte, quello dei cristiani che separano queste esigenze del Vangelo dalla propria relazione personale con il Signore, dall’unione interiore con Lui, dalla grazia. Così si trasforma il cristianesimo in una sorta di ONG, privandolo di quella luminosa spiritualità che così bene hanno vissuto e manifestato san Francesco d’Assisi, san Vincenzo de Paoli, santa Teresa di Calcutta e molti altri. A questi grandi santi né la preghiera, né l’amore di Dio, né la lettura del Vangelo diminuirono la passione e l’efficacia della loro dedizione al prossimo, ma tutto il contrario» (n. 100).
Il Papa avverte quindi sul connesso errore pratico, o dell’azione se vogliamo, di tipo “quietista”, cioè di «quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono», che ignora insomma «l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente» (n. 101).
Combattere il relativismo ma non trascurare il migrante
Quindi il Papa tocca quel tema che ha “scandalizzato” più d’uno in quanto inserito in una Esortazione sulla santità. Senza voler ridimensionare l’impegno “apologetico”, culturale etc., contro il «relativismo e i limiti del mondo attuale», Bergoglio infatti si sofferma in due dei 177 (dicasi centosettantasette) punti nei quali si articola il suo documento, sulla situazione dei migranti, non «un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica».
Chiariamo subito a cosa (e a “chi”) il Pontefice si sta riferendo per evitare accuse di “buonismo”, “immigrazionismo” o cose simili. Bergoglio non sta dando indicazioni né tantomeno ricette politiche a coloro che debbono ideare o applicare politiche o normative sull’immigrazione, ma sta invitando a quell’atteggiamento oggettivamente evangelico «di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli».
Questo è l’immigrato di cui parla l’Esortazione apostolica e come non possiamo essere d’accordo con il Papa quando ci invita a «riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero (cfr Mt 25,35)? San Benedetto lo aveva accettato senza riserve e, anche se ciò avrebbe potuto “complicare” la vita dei monaci, stabilì che tutti gli ospiti che si presentassero al monastero li si accogliesse “come Cristo”, esprimendolo perfino con gesti di adorazione, e che i poveri pellegrini li si trattasse “con la massima cura e sollecitudine”» (n. 102).
L’immigrazione è un’emergenza globale, non l’invenzione di un Papa
Del resto quando abbiamo ancora nelle orecchie e negli occhi le accuse dei “silenzi” del passato, come volersela prendere con Papa Francesco se intende parlare anche d’immigrazione che, nell’attuale era, lo riconoscono tutti, è diventata un’emergenza globale, e non certo l’invenzione della Chiesa.
«Qualcosa di simile prospetta l’Antico Testamento quando dice: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Es 22,20) – aggiunge il Pontefice nel punto successivo -. “Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Lv 19,33-34). Pertanto, non si tratta dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero. Anche noi, nel contesto attuale, siamo chiamati a vivere il cammino di illuminazione spirituale che ci presentava il profeta Isaia quando si domandava che cosa è gradito a Dio: “Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora”» (n. 103).
Papa Francesco insomma in questo suo nuovo documento vuole far comprendere come la santità non sia frutto dell’isolamento: essa si vive nel corpo vivo del popolo di Dio.