“L’Europa fuori dall’Europa” e l’agonia dell’Occidente fra Cristianità perduta e Modernità morente. Istruzioni su come usare il passato nel presente onde rilanciare il futuro. Un bel libro di Giovanni Cantoni
di Marco Respinti
Il prolungarsi, cioè (certamente fisico, ma precipuamente culturale), del Vecchio Continente nel Nuovo Mondo, anzi nei molti “mondi nuovi” con cui, a partire dall’epoca delle grandi scoperte geografiche, l’Europa e la sua cultura hanno impattato.
Ora, proprio come la vecchia Europa, la nuova Europa allargata non si lascia costringere facilmente entro confini fisici (l’Europa resta sempre un’appendice del continente asiatico, di cui peraltro sente costantemente la pressione); più efficace è dunque disegnarne i contorni in termini culturali. Da qui l’idea di un Occidente inteso come “continente di cultura” e la realtà di un caleidoscopio di geografie e di storie solo apparentemente labirintico ma in realtà ordinato (anche oltre la comprensione dei suoi stessi protagonisti) nello schema intelligibile di un mosaico.
Esistente la “cosa”, segue dunque il “battesimo”, e il nome prescelto e oramai accreditato (da che lo storico neerlandese della cultura Hendrik Brugmans lo formulò a metà del secolo scorso) è “Magna Europa”. Una patria più grande, insomma, ma soprattutto una eredità trasmessa e quindi una storia condivisa, la quale viene definita per analogia al rapporto che nella classicità esistette fra Grecia metropolitana e Grecia delle colonie.
Ebbene, di questa concezione legata all’universitas delle molte “Europe nel mondo” Cantoni si è fatto cosciente interprete e diffusore, anzitutto progettando e realizzando il volume succitato, quindi dando ora alle stampe un nuovo libro, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo (SugarCo, Milano, pp.264, E18,50).
Vita militia
Negli anni caldi del Sessantotto Cantoni diede vita ad Alleanza Cattolica, l’associazione civico-culturale impegnata nello studio e nella diffusione del magistero sociale della Chiesa che da allora ininterrottamente dirige. Sono almeno 40 anni, cioè, che Cantoni esplora il senso politico della militanza cattolica. Oggigiorno questa espressione – dopo le stagioni dei “cattolici adulti”, delle “scelte religiose” e dei compromessi democristiani – suona ai molti esotica, più che ostica, ma è il proprium della vita cristiana.
Il cristianesimo non è infatti “una religione”, ma la vita umana investita dal mistero dell’Incarnazione. L’impegno diretto all’animazione dell’ordine temporale alla luce della fede ne è dunque, rispetto a ogni altra religione, il tratto distintivo. E peculiare al cristiano (all’uomo cioè che si sforza di prendere sul serio il contenuto della Rivelazione) è il generare istituti e istituzioni frutto dell’impegno concreto contratto con la fede che lo anima, dunque quella civiltà in cui il motivo della sua speranza assume e carne e sangue e nome di “Cristianità”.
Il virus e l’agonia
L’Europa ha conosciuto una Cristianità e poi l’Occidente una nuova Cristianità magnoeuropea, ma la dialettizzazione e poi la netta separazione tra fede e vita, ragione ed esperienza, vita e cultura operata dalla Modernità ne ha prodotto uno stato di crisi profonda. Una malattia, insomma, che ha attaccato un corpo sano, erodendolo a lungo dall’interno.
Osserva però acutamente Cantoni che se oggi il malato è giunto al termine dei propri travagli, anche la malattia che lo devasta langue. Il virus che da secoli lo aggredisce si avvia cioè pure esso a morte, esattamente come accade alla sua vittima. Ucciso il corpo un tempo sano e poi ammalato, il morbo non ha più infatti di che nutrirsi e si approssima all’esaurimento.
Fuor di metafora, insomma, ma di metafora assai sapida, anche la Modernità perviene oggi a quello stesso capolinea in cui ha trascinato a forza e con violenza la Cristianità. Restano in piedi, dell’una e dell’altra, dei brandelli, dei muri divelti, qualche resto, un po’ di vestigia sparse. Inservibili entrambe per ricostruire e la Modernità e la Cristianità, epperò tutt’e due indispensabili da un lato per immaginare una Cristianità completamente nuova per il tempo a venire, dall’altro per guarnirsi contro assalitori nuovi ed eternamente vecchi.
La nostra casa
Il libro di Cantoni immagina dunque la possibilità di una Cristianità nuova, adatta al Terzo Millennio, fatta di conservazione, certo, ma soprattutto di ricostruzione. Il momento della conservazione s’impernia sulla consapevolezza dell’agonia della vecchia Cristianità ma anche sulla (presa di) coscienza di quel che ne resta: sulla consapevolezza, cioè, delle sue dimensioni culturali, bene espresse appunto dal concetto di Magna Europa qui intesa soprattutto come eredità.
Viene alla mente una espressione dello storico statunitense delle idee Russell Kirk, il quale – di fronte al mondo che Cantoni, con Brugmans, chiama Magna Europa, e dunque di fronte certamente alla sua agonia ma pure alla sua eredità – ricordava che l’Occidente resta comunque la nostra casa; per decrepita e cadente che sia, è la casa che non possiamo né vogliamo abbandonare, e che quindi ci sforziamo – dobbiamo sforzarci –, come meglio riusciamo, di riparare e di rammodernare.
Ritorno in patria
Con il libro Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo Cantoni offre dunque un “percorso d’ispirazione” per chi abbia ancora voglia, e quindi ancora creda, nella possibilità di ricostruire quella casa, e nella bellezza e nella dignità dell’operazione. Un itinerario, il suo, proposto per spunti, cammei, testimoni e testimonianze, collezionati per quattro decenni e interpretati in perfetta continuità ideale.
Assolutamente imprescindibili sono i ritratti, analitici, di alcuni “maestri” quali il brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, il colombiano Nicolás Gómez Dávila e il nicaraguense Julio Cézar Ycaza Tigerino. Pensatori della “riserva coloniale”, questi, che incarnano il senso vero della metafora (mutuata dal filosofo argentino Alberto Caturelli) del “quinto viaggio di Colombo”: il ritorno nella patria europea di un impegno di costruzione e di un orizzonte di civiltà che nelle province della Magna Europa è talvolta rimasto più desto che da noi.
Preziosissime sono pure le riflessioni occasionate dalla tragedia dell’Undici Settembre, quella che per contraccolpo ha suscitato, almeno di desiderio, una coscienza nuova della eredità da cui il nostro mondo proviene.
Per costruire i futuro, pensa Cantoni, è indispensabilie partire da qui. Un sogno passatista quello della Cristianità? Niente affatto. Seguendo uno dei suoi maestri, il pensatore e letterato svizzero Gonzague de Reynold Cantoni ama comprendersi come un “nostalgico dell’avvenire”. In questo suo grande sforzo in forma di libro mostra come, ma soprattutto perché.
(A.C. Valdera)