Guardini, La fine dell’epoca moderna e il nazionalsocialismo

Romano Guardini

da Cultura&Identità — Anno II, n° 5, maggio – giugno 2010

Ermanno Pavesi

Romano Guardini (1885-1968) è nato a Verona ma è cresciuto a Magonza in Germania. Sacerdote e professore di filosofia della religione e della visione del mondo cristiana, ha insegnato a Berlino dal 1923 fino al 1939, quando fu esonerato dall’insegnamento dalle autorità nazionalsocialiste. Ha ripreso l’insegnamento nel 1945 all’Università di Tubinga e dal 1948 a Monaco di Baviera. In alcune lezioni tenute negli anni 1947-1948 all’Università di Tubinga, e pubblicate esattamente sessant’anni fa in un volume con il titolo: La fine dell’epoca moderna (1), Guardini ha analizzato con acume la crisi dell’epoca moderna, pronosticandone la fine e aprendo quindi la discussione sulla postmodernità.

Se si tiene conto degli anni in cui è stata elaborata, quest’opera appare piuttosto singolare già nel titolo. La Seconda Guerra Mondiale guerra era appena finita, distruzioni e lutti erano certamente ancora presenti, ma la sconfitta del nazionalsocialismo poteva far sperare in un futuro migliore, confermando una visione progressista della storia: nonostante la momentanea affermazione di forze totalitarie, alla fine si sarebbero affermati i principi della libertà e della dignità umana.

Invece di considerare la sconfitta del nazionalsocialismo come la fine degli ultimi sussulti dell’epoca pre-moderna e di guardare con ottimismo verso un futuro radioso e segnato dalla vittoria definitiva della modernità, Guardini annuncia piuttosto la fine dell’epoca moderna! È importante cercare di comprendere come Guardini è arrivato a una tale conclusione ed esaminare pure se la sua analisi sia stata confermata dalla storia dei decenni successivi.

1. La civiltà del Medio Evo

Guardini descrive solo brevemente la civiltà antica e il suo superamento della concezione mitologica della religione e si sofferma più dettagliatamente sull’equilibrio raggiunto dalla civiltà medioevale, sottolineando la unilateralità di certe interpretazioni posteriori, soprattutto rinascimentali e illuministiche. «La sola misura con cui si possa validamente giudicare un’epoca è il sapere fino a che punto l’esistenza umana vi si è sviluppata nella sua pienezza, giungendo, secondo le proprie particolarità e possibilità, al suo vero significato. E ciò è avvenuto nel Medio Evo in misura tale da porlo fra le epoche più alte della storia» (2).

Il Medio Evo cristiano ha avuto un rapporto positivo con la civiltà antica greca e latina, sottolineandone il contributo razionale alla conoscenza della verità, compatibile tanto con la tradizione biblica quanto con la Rivelazione, al contrario di altre tendenze che si sono sviluppate ulteriormente nel Rinascimento e nei secoli successivi, che assolutizzavano in funzione anticristiana certi aspetti del pensiero antico, per esempio l’aristotelismo.

«Il rapporto del Medio Evo con l’antichità è assai vivo, ma diverso da come sarà nel Rinascimento. Quest’ultimo è riflesso e rivoluzionario; considera l’adesione alla antichità come un mezzo per distaccarsi dalla tradizione e liberarsi dall’autorità ecclesiastica. Il rapporto del Medio Evo, al contrario, è ingenuo e costruttivo. Vede nelle letterature antiche la espressione immediata della verità naturale, ne sviluppa il contenuto e lo elabora ulteriormente» (3).

Per Guardini il passaggio dal Medio Evo all’epoca moderna è segnato da una svolta nell’atteggiamento di ampi ambienti della cultura nei confronti del cristianesimo. Mentre nel Medio Evo il cristianesimo aveva avuto un ruolo centrale, fin dai suoi inizi l’epoca moderna è stata caratterizzata da uno spirito non cristiano, se non anticristiano, sempre più accentuato. Questa evoluzione non riguarda solamente il distacco della filosofia dalla teologia, ma coinvolge anche tanto la visione del mondo dominante — che abbandona progressivamente il concetto di creazione —, quanto la questione antropologica: alla concezione tradizionale, dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, sulla quale per secoli era stata fondata la dignità peculiare dell’uomo, si sostituisce la nozione dell’uomo come essere puramente naturale.

«Abbiamo visto che dall’inizio del tempo moderno si viene elaborando una cultura non-cristiana. Per lungo tempo la negazione si è diretta solo contro il contenuto stesso della Rivelazione; non contro i valori etici, individuali o sociali, che si sono sviluppati sotto il suo influsso. Anzi, la cultura moderna ha preteso di riposare precisamente su quei valori. Secondo questo punto di vista, largamente adottato dagli studi storici, valori come ad esempio quelli della personalità e dignità individuale, del rispetto reciproco, dell’aiuto scambievole, sono possibilità innate nell’uomo che i tempi moderni hanno scoperto e sviluppato. Certamente la cultura umana dei primi tempi del cristianesimo ha favorito la loro germinazione, mentre nel Medio Evo sono state ulteriormente sviluppate dalla preoccupazione religiosa per la vita interiore e la carità attiva; ma poi questa autonomia della persona ha preso coscienza di sé ed è divenuta una conquista naturale, indipendente dal cristianesimo. Questo modo di vedere si esprime in molteplici forme ed in modo particolarmente rappresentativo nei diritti dell’uomo al tempo della Rivoluzione francese. In verità questi valori e queste attitudini sono legati alla Rivelazione, la quale si trova in un particolare rapporto riguardo a ciò che è immediatamente-umano. […] Il carattere di persona è essenziale all’uomo, ma esso diviene visibile allo sguardo ed accettabile alla volontà, quando, in grazia della adozione a figli di Dio e della Provvidenza, la Rivelazione schiude il rapporto col Dio vivo e personale» (4).

Un’analisi analoga del rapporto fra cristianesimo e pensiero moderno è stata formulata anche da Papa Giovanni Paolo II (1920; 1978-2005) nella enciclica Fides et ratio del 1998: la drammatica separazione di fede e di ragione ha portato a una concezione del tutto autonoma della ragione che ha preteso di emanciparsi sempre più dalla fede e quindi dal cristianesimo.

«Con il sorgere delle prime università, la teologia veniva a confrontarsi più direttamente con altre forme della ricerca e del sapere scientifico. Sant’Alberto Magno [(1193-1280)] e san Tommaso [(1225/1226-1274)], pur mantenendo un legame organico tra la teologia e la filosofia, furono i primi a riconoscere la necessaria autonomia di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno, per applicarsi efficacemente ai rispettivi campi di ricerca. A partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione. A seguito di un eccessivo spirito razionalista, presente in alcuni pensatori, si radicalizzarono le posizioni, giungendo di fatto a una filosofia separata e assolutamente autonoma nei confronti dei contenuti della fede. Tra le altre conseguenze di tale separazione vi fu anche quella di una diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione. Alcuni iniziarono a professare una sfiducia generale, scettica e agnostica, o per riservare più spazio alla fede o per screditarne ogni possibile riferimento razionale.

Insomma, ciò che il pensiero patristico e medievale aveva concepito e attuato come unità profonda, generatrice di una conoscenza capace di arrivare alle forme più alte della speculazione, venne di fatto distrutto dai sistemi che sposarono la causa di una conoscenza razionale separata dalla fede e alternativa ad essa. […]

Le radicalizzazioni più influenti sono note e ben visibili, soprattutto nella storia dell’Occidente. Non è esagerato affermare che buona parte del pensiero filosofico moderno si è sviluppato allontanandosi progressivamente dalla Rivelazione cristiana, fino a raggiungere contrapposizioni esplicite» (5).

2. Verso un’antropologia naturalistica

Il rifiuto del cristianesimo ha comportato spesso anche l’abbandono della metafisica e ha valorizzato tendenze naturalistiche, con un approccio scientista alla questione antropologica. In questo modo è andato perduto ciò che di più umano c’è nell’uomo, ciò che rende uomo l’uomo, cioè lo spirito: «C’è anzitutto il fatto, sempre più evidente, che la cultura dei tempi moderni, scienza, filosofia, pedagogia, sociologia, letteratura, ha visto l’uomo sotto una falsa luce; non solamente in determinati aspetti, ma nel suo principio, e perciò nella sua totalità. L’uomo non è quello che ci indicano il positivismo ed il materialismo. Secondo queste teorie egli si “sviluppa” dalla vita animale, che è prodotta a sua volta da non si sa quale differenziazione della materia. Nonostante tanti punti di contatto con la materia, l’uomo è qualche cosa di essenzialmente particolare, poiché viene determinato dallo spirito, che a sua volta non può essere fatto derivare da nulla di materiale. Tutto quello che esso è acquista perciò un carattere proprio che lo differenzia da ogni altro essere vivente» (6).

Il pensiero moderno pretende di conoscere l’uomo unicamente con i metodi delle scienze naturali e di trovare quelle leggi che dovrebbero determinare il suo essere e il suo comportamento. Ma questo significa la negazione della libertà umana, in quanto il comportamento dell’uomo non sarebbe determinato dalle sue convinzioni personali, dai suoi valori e dalle sue decisioni, ma sarebbe causato da fattori indipendenti dalla sua volontà: in altri termini teorie moderne negano la dimensione personale dell’uomo come essere razionale e dotato di libero arbitrio.

Negata la dimensione personale, la sola capace di unificare le varie componenti e le varie tendenze, l’uomo è stato sottoposto a un processo di analisi che ne ha preso in considerazione solamente singoli aspetti. Questo approccio ha portato certamente a importanti conoscenze in differenti ambiti, ma ha sviluppato pure antropologie riduzioniste che sono ben espresse da concetti come “homme machine”, “homo faber”, “homo sociologicus”, “homo oeconomicus”, ecc.

«L’uomo quale è concepito dai tempi moderni non esiste. I rinnovati tentativi di richiuderlo in categorie alle quali egli non appartiene: meccaniche, biologiche, psicologiche, sociologiche, sono tutte variazioni della volontà fondamentale di fare di lui un essere che sia “natura” e diciamo pure natura spirituale. E non si vede ciò che egli è anzitutto ed in modo assoluto: persona finita, che come tale esiste, anche quando non lo voglia, anche quando rinneghi la propria natura. Chiamato da Dio, posto in relazione con le cose e con le altre persone. Persona che ha la stupenda e terribile libertà di conservare o di distruggere il mondo, e persino di affermare e di realizzare se stessa o di abbandonarsi e perdersi» (7).

Secondo Guardini le varie correnti della cultura moderna hanno elaborato un concetto di uomo astratto e inadeguato, per ciò anche tutte le sue applicazioni nel campo dell’educazione, dei rapporti interpersonali, nell’elaborazione del modello di società dipendono da un’astrazione.

È proprio questo fenomeno che fa presagire al filosofo tedesco la fine dell’epoca moderna. Se per la civiltà europea, e quindi anche per l’epoca moderna, sono fondamentali i concetti di persona, di dignità, di diritti umani, ecc., e questi sono strettamente legati al cristianesimo, la progressiva secolarizzazione interrompe sempre più il flusso di linfa vitale che parte dalle radici cristiane — e che sola può vivificare la cultura —, compromettendo il significato più profondo del concetto di persona e di dignità umana.

L’epoca moderna rappresenta quindi un periodo di transizione caratterizzato dal progressivo allontanamento dal cristianesimo. Per qualche tempo l’epoca moderna può ancora vivere dell’eredità cristiana, ma, nella misura in cui si allontana dal cristianesimo, si esaurisce la fonte della sua creatività e della sua identità. Per un po’ di tempo i valori ereditati possono ancora influenzare la società, ma il loro senso si modifica progressivamente.

I tentativi di fondare la dignità umana e i valori della società senza riferimenti al cristianesimo possono riuscire fino a quando, tanto chi formula tali teorie, quanto quelli cui sono dirette vivono ancora in un contesto cristiano: «La conoscenza della persona è perciò legata alla fede cristiana. La persona può essere affermata e coltivata per qualche tempo anche quando tale fede si è spenta, ma poi gradatamente queste cose vanno perdute» (8).

3. Il nazionalsocialismo non è stato che l’inizio

Per Guardini le caratteristiche della modernità possono spiegare la rapida affermazione del nazionalsocialismo: «[…] in realtà si era rivelato un vuoto che esisteva ormai da lungo tempo. L’autentica personalità, assieme al suo mondo di valori e di atteggiamenti, era scomparsa dalla coscienza col rifiuto della Rivelazione» (9). Continuando a “usufruire” di valori cristiani, l’uomo della prima modernità non si era ancora reso conto di cosa avrebbe significato, con l’andar del tempo, il rifiuto della Rivelazione: «Già Nietzsche aveva ammonito che il moderno noncristiano non aveva ancora compreso che cosa sia essere tale. I vent’anni trascorsi ce ne hanno dato una idea, e non era che l’inizio» (10)

L’ideologia anticristiana e neopagana del nazionalsocialismo ha solo radicalizzato il processo di allontanamento dai valori cristiani e lo ha portato alle estreme conseguenze, con il disprezzo totale per la dignità della persona. Per Guardini il nazionalsocialismo non rappresenta quindi un corpo estraneo all’epoca moderna, anzi avrebbe mostrato in modo chiaro sviluppi ed esiti delle tendenze anticristiane della modernità: quello che vedeva per lui non era che l’inizio.

Nella storia degli ultimi secoli viene introdotta una periodizzazione: all’inizio dell’epoca moderna si trova il rifiuto del cristianesimo, ai tempi della Rivoluzione francese si è affermata la convinzione di poter fondare i diritti umani unicamente sul concetto di natura umana. Ma anche il concetto di natura umana, elemento comune a tutti gli uomini e costante nel tempo, si è progressivamente sfaldato, consentendo al nazionalsocialismo — ma forse questa è una caratteristica comune anche ad altre rivoluzioni totalitarie del XX secolo — di formulare teorie arbitrarie sull’uomo capaci di legittimarne i crimini.

Annunciando la fine dell’epoca moderna il filosofo tedesco riteneva quindi che la modernità stesse raggiungendo un punto di non-ritorno di questo sviluppo. La sua interpretazione del rapporto fra nazionalsocialismo e modernità era un monito ad aprire la discussione sulle cause della crisi dell’epoca moderna e sui rimedi per uscirne e quindi per passare a una civiltà post-moderna.

Guardini descrive alcuni fenomeni “neutrali” della civiltà moderna: il considerevole incremento delle conoscenze scientifiche e delle relative applicazioni tecniche e la comparsa di fenomeni di massa. Questa nuova dimensione dei rapporti sociali poneva certamente nuovi problemi, ma d’altra parte le potenzialità insite nelle nuove tecniche costituivano una sfida che poteva essere affrontata solamente globalmente.

«Le esigenze di quest’opera saranno così immense che le possibilità delle iniziative individuali e la cooperazione dei singoli, individualisticamente formati, non saranno in grado di rispondervi» (11). Ma non ci si può attendere la soluzione dei problemi solo dalle grandi organizzazioni, dalla collaborazione ad alto livello: alla base di tutto c’è l’educazione dell’individuo alla libertà, che Guardini contrappone al concetto moderno di autonomia (12), e che è soprattutto libertà dalle seduzioni del potere e dal potere suggestionante della stampa: «Quella libertà può essere raggiunta solo attraverso una vera educazione, interiore ed esteriore. E attraverso una ascetica. Il sentimento moderno rifuggiva totalmente di fronte all’ascesi: essa rappresentava l’insieme di ciò da cui intendeva liberarsi. E proprio per questo quell’epoca si è interiormente addormentata, abbandonata a se stessa. L’uomo deve imparare a divenire signore di sé superandosi e rinunciando a se stesso, e diverrà così anche signore della sua potenza» (13).

Purtroppo la lezione di Guardini non è stata adeguatamente recepita, i suoi moniti sono rimasti inascoltati e le sue previsioni, purtroppo, si sono avverate. L’allontanamento dal cristianesimo ha portato a fenomeni di dissoluzione della società moderna, con il passaggio progressivo dalla civiltà cristiana — che ben inteso non è mai stata perfetta, ma che almeno ha avuto l’onestà di riconoscere le debolezze umane e la prudenza di incoraggiare comportamenti virtuosi — alla “cultura della morte” in tutti i suoi aspetti, come ha denunciato Giovanni Paolo II (14).

4. Lo svuotamento del concetto di persona e di dignità umana

I crimini del nazionalsocialismo erano stati compiuti applicando leggi promulgate da un parlamento eletto democraticamente. Per evitare il ripetersi di una simile situazione, dopo la fine della seconda guerra mondiale le organizzazioni internazionali hanno proclamato, come nel Patto internazionale sui diritti civili e politici dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), che la dignità è inerente a tutti i membri della famiglia umana e che i loro di diritti sono inalienabili: «Considerato che, in conformità ai principi enunciati nello Statuto delle Nazioni Unite, il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo» (15).

Da alcuni secoli il mondo occidentale aveva fatto progressi nel campo del diritto, gli Stati si considerano Stati “di diritto”, corti di giustizia sono chiamate sempre più spesso a pronunciarsi su questioni più o meno importanti: «ciò nonostante le conquiste positive del Diritto sono minacciate dagli stessi organi giudiziari. […] I principi sui quali vengono pronunciate queste sentenze si fondano sempre più su concezioni vaghe: si fa riferimento alla libertà dell’individuo, ai tanto decantati diritti umani e dignità umana. Ma solo pochi osano dire che cosa è un individuo isolato dalla famiglia e dalla società, che cos’è l’uomo, chi può essere considerato uomo. Ancora più raramente si osa spiegare perché all’uomo spetta una dignità» (16).

Nonostante le dichiarazioni dei diritti dell’uomo, legislazioni nazionali si arrogano il diritto di decidere chi deve essere considerato come un membro della famiglia umana e chi no.

Ciò che è accaduto sotto il nazionalsocialismo «era solo l’inizio», come affermava Guardini? Eugenetica ed eutanasia, che per anni erano state considerate come simboli della barbarie nazionalsocialista sono comunemente accettate dalla odierna cultura dominante. In molti Paesi embrioni di bambine vengono sistematicamente uccisi perché i genitori preferiscono un figlio maschio senza che nessuno dei tanti “garanti delle pari opportunità” si senta chiamato in causa. Anche lo spettro del superuomo fa la sua ricomparsa sotto forma di teorie che profetizzano e auspicano condizioni post-umane.

Purtroppo gli ammonimenti di Guardini non sono stati presi in considerazione. Certamente la discussione sulla post-modernità riconosce la fine dell’epoca moderna, ma il passaggio alla post-modernità rappresenta addirittura la radicalizzazione dei fattori che hanno provocato la crisi della modernità!

L’ottimistica fiducia nel progresso che ha caratterizzato i secoli passati appare perfino ingenua e innocua rispetto agli apprendisti stregoni attuali, che con arrogante sicurezza si ritengono investiti della missione di migliorare con i loro esperimenti di ingegneria genetica di ogni tipo il genere umano, e non solo.

Il passaggio alla post-modernità non rappresenta quindi un ripensamento e un cambio di direzione per rimediare a errori del passato, ma appare piuttosto come una fuga in avanti. Una fuga in avanti che si contrappone in modo sempre più esplicito e dichiarato ai principi del cristianesimo. Le campagne e gli attacchi sempre più violenti contro la Chiesa e il Papa sono solo un sintomo di questi sviluppi.

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1) Cfr. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, trad. it., in Idem, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 7-109.

2) Ibid., p. 29.

3) Ibid., pp. 21-22.

4) Ibid., pp. 98-100.

5) Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, del 14 settembre 1998, nn. 45-46.

6) R. Guardini, op. cit., p. 78.

7) Ibid., p. 80.

8) Ibid., p. 100.
9) Ibid., p. 101.

10) Ibid., p. 102.

11) Ibid., p. 66.

12) Cfr. «Sola la critica cristiana scende più in profondità. […] Essa riconosce l’errore del concetto di autonomia e sa che una cultura che vuole costruirsi eliminando Dio, non può riuscire, per il fatto che Dio esiste» (ibid., p. 87).

13) Ibid., p. 90.

14) Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, del 25 marzo 1995, n. 24.

15) Rémi Brague, Editorial, in Internationale katholische Zeitschrift Communio, anno XXXXI, n. 2, Ostfildern (Baden-Württemberg, D) marzo-aprile 2010, pp. 111-113 (p. 111).

16) Ibidem.