Guernica un mito?

repubblicani_SpagnaLa Nazione, sabato 24 marzo 1973

 Clamorosa lesi su una tragedia della guerra spagnola

 I fatti che segnarono il destino della cittadina basca rimessi in discussione da uno studioso americano con documentazioni giornalistiche e prove testimoniali

 di Alberto Pasolini Zanelli

(Dal nostro corrispondente)

Washington, marzo,

Per trentasei anni il mondo aveva creduto di sapere come erano andate le cose, quel giorno, a Guernica. Hugh Thomas, l’autore di una storia sulla guerra civile spagnola che è ormai una Bibbia sull’argomento, aveva riassunto la vicenda (o almeno la sua versione ufficiale) in una pagina dall’attacco quasi tacitiano: «Guernica è una cittadina della vallata, a dieci chilometri dal mare, a trenta chilometri da Bilbao. Il 26 aprile 1973, in un giorno di mercato… ».

Quel giorno, mentre i contadini portavano in città i loro prodotti, le campane del­la chiesa suonarono a stormo l’allarme aereo. A ondate successive — racconta sempre Thomas — aerei tedeschi volarono su Guernica e la cancellarono dalla carta geografica. Volevano sperimentare l’effetto di un bombardamento terroristico sulla popolazione civile.

Trentasei anni dopo, il mondo ricorda quel nome. Lo ricorda grazie anche ad uno dei quadri più famosi di tutti i tempi. I cavalli squarciati di Picasso, I volti umani distorti nel grido raggelato dal terrore, le luci accecanti ed assurde, la distorsione violenta di tutti gli elementi, la grande composizione che ricorda i bozzetti agghiaccianti dei «disastri della guerra» di un Goya sono appesi là, sul­la parete di una cella solitaria del Museum of Metropolitan Art di New York: ma le riproduzioni hanno invaso ogni angolo della terra. Tutti abbiamo la nostra «Guernica» in casa, quasi tutti vi leggiamo uno dei ritratti più «veri» del nostro tormentato tempo, del tempo della violenza e del terrore.

Il simbolo non lo discuterà nessuno. Ma c’è qualcuno, inaspettatamente, che mette ora in discussione i fatti, la realtà di quello che avvenne quel giorno d’aprile in quella cittadina spagnola. E’ uno studioso americano, il professor leffrey Hart del Dartmough College, una università della nuova Inghilterra. Le conclusioni dello studio del professor Hart sono stupefacenti, sconvolgenti: la storia di Guernica che noi conosciamo è un falso da capo a piedi, il massacro non è mai avvenuto. Gli aerei tedeschi non hanno mai bombardato Guernica. Una raffinata fabbrica della menzogna ha costruito di sana pianta il fatto, lo ha trasformato in uno di quei «non eventi» che hanno fatto la storia (e di cui la storia fornisce così numerosi esempi, dal neroniano «incendio di Roma» in giù).

Prima di dare ragione al professor Hart e di riscrivere da capo la storia della guerra di Spagna è naturalmente il caso di andarci con i piedi di piombo: abbiamo la parola di uno contro la parola di cento. Conosciamo poco delle sue fonti di informazione ed anche le sue qualificazioni professionali specifiche. Sarà opportuno andarci piano, però, anche prima di liquidarlo (come certamente si tenterà di fare, da parte interessata e non) come un cantafrottole ed un mitomane.

In America, dove conoscono il professor Hart, lo prendono molto sul serio: il suo saggio dal titolo «Guernica: atrocità o falso?» è stato pubblicato dalla National Revue, che è una rispettata rivista intellettuale conservatrice, e ripreso a piena pagina dalla Washington Post, che è uno dei più grandi quotidiani americani e che politicamente si colloca non sulla destra bensì nettamente sulla sinistra dello schieramento politico.

La ricostruzione storica di Hart si basa su dati di fatto, testimonianze, deduzioni e, alla fine, congetture. In primo luogo sulla rettifica di alcuni fatti generali universalmente accettati e che i documenti esaminati dallo studioso dimostrerebbero falsi. Guernica, per cominciare, non era la «pacifica cittadina» di cui parlano Thomas e gli altri storici: era parte integrante del sistema di difesa della piazzaforte di Bilbao, posizione chiave dello schieramento repubblicano sul fronte settentrionale che i nazionalisti stavano investendo in quei giorni ed avrebbero fatto cadere fra breve. Alla sua periferia vi erano fabbriche di armi e di munizioni, una stazione ferroviaria, il quartier generale di una divisione; vi confluivano ben otto strade, vi passavano le riserve «rosse» avviate al fronte. La periferia di Guernica fu ripetutamente bombardata in quei giorni: il centro cittadino, secondo Hart, non lo fu mai.

Eppure tutti abbiamo visto, sui libri di storia e sui rotocalchi commemorativi, le fotografie eloquenti di una città rasa al suolo, i pochi muri superstiti anneriti dalle fiamme: e gli stessi dispacci ufficiali dell’armata di Franco confermano che Guernica era, al momento della conquista (avvenuta tre giorni dopo la data «ufficiale» del bombardamento) totalmente distrutta.

Distrutta senza essere stata bombardata? La chiave dell’enigma si trova, secondo Hart, in una serie di testimonianze: di ufficiali nazionalisti ma anche di corrispondenti di giornali stranieri certamente non simpatizzanti per Franco, quali il Times e l’agenzia ufficiosa francese Havas. Gli inviati di questi giornali hanno unanimemente testimoniato che nelle strade e nelle piazze di Guernica non vi era un solo cratere di bomba e che le facciate delle case superstiti non portavano segni di schegge. Ogni bombardamento aereo lascia tracce del genere. A Guernica le strade erano intatte e le case distrutte, come se le bombe (in un bombardamento «a tappeto») avessero schivato l’asfalto, ed i giardini, anch’essi ritrovati intatti. «Nemmeno i fiori erano stati spazzati via dallo spostamento d’aria».

La conclusione di Hart e del suo testimone principale (il memorialista militare spagnolo Luis Bolin): Guernica non fu distrutta da una incursione aerea che non ci fu, ma fu distrutta mediante incendio dai suoi difensori in una operazione di «terra bruciata». In altri termini fu vittima dei repubblicani e non dei nazionalisti, dei «rossi» e non dei «fascisti».

Altri indizi che corroborano, secondo Hart, questa tesi, sono i rapporti dell’aviazione franchista di quei giorni, i cui piloti dichiarano di non essere riusciti a compiere voli di osservazione su Guernica a causa del persistente fumo di incendi: il precedente di un’altra città del fronte di Bilbao, Eibar, che è accertato sia stata distrutta dalle forze repubblicane in ritirata, e la considerazione che, con la ben nota penuria di bombe dalle due parti in quel momento della lunga guerra, i nazionalisti avrebbero dovuto usare, per distruggere Guernica, le intere provviste di munizioni per un mese. Un mezzo di distruzione era invece disponibile in larghe quantità ed a poco prezzo: la dinamite, e la benzina. Soprattutto la dinamite, arma tradizionalmente usata dai famosi dinamiteros rossi delle vicine Asturie.

Romanzesco

Fin qui gli aspetti «tecnici» del clamoroso giallo storico che il professor Hart ha provocato: la città fu distrutta dai repubblicani, il famoso «bombardamento terroristico» non ebbe mai luogo, la storia di Guernica quale la conosciamo è un mito. Resta da affrontare il problema centrale, al limite l’unico che conti trentasei anni dopo: se Hart ha ragione e gli altri storici torto: se la storia è un mito, perchè il mito ha prevalso finora sulla verità? Qui il discorso dello studioso si fa più romanzesco, più affascinante (e quindi naturalmente più opinabile).

L’«affare Guernica» sarebbe in sostanza il frutto clamoroso di una raffinata e gigantesca operazione di falsificazione ed intossicazione politica organizzata dal partito comunista. Il fine immediato sarebbe stato di distrarre la pubblica opinione del mondo (che seguiva la guerra spagnola fra comunismo e fascismo con tensione isterica) dalla imminente disfatta repubblicana sul fronte di Bilbao attraverso una ondata universale di indignazione antifascista. La centrale propagandistica comunista, con sede a Parigi, avrebbe speso, secondo la testimonianza di un giornalista della Havas, seicentomila sterline solo per la «operazione Guernica». L’uomo che maneggiava queste somme era il principale agente del Comintern per l’Europa occidentale, il tedesco Witti Muenzenberg, che — scrive anche Thomas — era «ferocemente attivo nel legare il conflitto in Spagna alla crociata generale antifascista».

Prestigiatore

Su Muenzenberg ci ha lasciato una testimonianza Arthur Koestler, l’autore di «Buio a mezzogiorno». «Sapeva inventare cause, comizi, indignazioni e comitati come un prestigiatore tira i conigli fuori dal cappello». Koestler, che pure lavorò per l’apparato propagandistico del Comintern, osserva nella sua autobiografia che «la verità è solitamente sulla difensiva di fronte alla brillante menzogna. L’invenzione è libera, mentre la storia è limitata dai fatti. La menzogna ben costruita può essere più attraente della realtà, perchè può riempire vuoti che quest’ultima non è in grado di colmare. Tali menzogne sono la irrealtà, che sovente è emozionalmente più reale della realtà».

La conclusione suggerita da Hart è dunque che l’apparato propagandistico comunista riuscì, nel caso di Guernica, a compiere uno dei suoi capolavori: a costruire una «realtà emozionale», basata su dati totalmente falsi che si impose in breve tempo, e con effetti duraturi, come una verità indiscussa. Tramite un’abile orchestrazione pubblicitaria, tramite il controllo palese o sotterraneo dei mezzi di informazione, e tramite il fascino dell’arte.

Picasso viveva a Parigi, le sue simpatie per il comunismo erano note. Il dipinto gli fu commissionato dal padiglione della Spagna (repubblicana) alla esposizione mondiale nella capitale francese. «Guernica — scrive lo studioso americano — è ritenuta da molti il suo capolavoro: ma è probabile che Picasso non sia stato il solo grande artista, e neppure il più grande, ad aver avuto parte nella mitologizzazione di Guernica. Egli dipinse il quadro, ma Muenzenberg inventò il mito».