di Elena Dundovich
Fu nella seconda metà degli anni ’30 che comparvero in Occidente le prime testimonianze di sopravvissuti ai campi staliniani. In Francia videro la luce prima il libro di Ante Ciliga Au pays du grand mensonge del 1936. Poi, tre anni più tardi, quello di Victor Serge S’il est minuti dans le siècle.
Le due opere avevano nel tipo di esperienza politica e personale dei due autori una radice in parte comune: prima l’adesione appassionata all’esperienza del comunismo, poi la persecuzione e l’arresto, infine l’espulsione dall’Unione Sovietica verso la libertà e la denuncia degli errori dello stalinismo: Ante Ciliga era stato membro del Partito Comunista jugoslavo sin dal 1918, di quello sovietico dal 1926 e poi dello stesso Komintern.
Nel 1930 era stato arrestato e condannato atre anni di reclusione. Liberato nel 1936, si stabili a Parigi dove decise di pubblicare le sue memorie, primo vero atto di accusa verso l’Urss di Stalin e di denuncia da parte di un militante comunista della macchina repressiva sovietica.
Tre anni dopo avrebbe visto la luce il libro di Victor Serge, giornalista, saggista, storico e romanziere, sicuramente una delle figure più affascinanti del movimento rivoluzionario della prima metà del Novecento. Inizialmente anarchico, in seguito bolscevico e, infine, schierato con Trotzkij, Serge venne per questo arrestato nel marzo del 1928.
Liberato dopo soli due mesi grazie allo scalpore che il suo arresto aveva provocato in Francia data la sua notorietà, Serge visse isolato, resistendo alla miseria, all’ostracismo dei vecchi compagni, alla quotidiana lotta per la sopravvivenza. Personaggio troppo scomodo per il regime, Serge venne però presto nuovamente arrestato e condannato a tre anni di deportazione in Siberia.
Nonostante la forte campagna che si sviluppò in Francia a suo favore anche a opera di intellettuali conosciuti per la propria adesione allo stalinismo come Romain Rolland o André Gide, Serge fu liberato ed espulso dall’Urss solo alla fine della sua pena, nel 1936.
Dopo il 1933 tre fenomeni incisero molto sulla memorialistica da un lato l’organizzazione del sistema concentrazionario si fece con gli anni più efficiente è le fughe dai campi divennero sempre più difficili; in secondo luogo, il ricorso su larga scala al “terrore di Stalin” indusse anche la pratica di condannare chi era già detenuto a nuove pene riducendo in tal modo il già esiguo numero delle liberazioni; infine, la decisione del governo di chiudere le frontiere rese impossibile agli ex detenuti uscire dal Paese.
Negli anni che seguirono la seconda guerra mondiale, la letteratura di denuncia del Gulag divenne più ricca. Comparvero in quegli anni alcuni volumi scritti da polacchi che, dopo il 1939, erano stati deportati in Unione Sovietica e le memorie degli anni della detenzione in Urss di due francesi, Francois Bornet e Jean Rounault.
Ma il momento sicuramente più noto di quel periodo fu la vicenda del processo che si svolse tra David Rousset e il giornale Lettres francaises pubblicamente accusato di menzogna, Rousset chiamò a testimoniare al processo alcuni personaggi che avevano conosciuto in prima persona gli orrori dei campi staliniani è che ne avrebbero poi lasciato denuncia e memoria nei loro libri: Eleanor Lipper, Margaret Buber Neumann che, dopo essere stata arrestata e deportata a Karaganda, era stata poi consegnata da Stalin a Hitler dopo la firma del patto Ribbentrop-Molotov e rinchiusa nel lager tedesco di Ravensbrtick dove rimase sino al 1945; il polacco Julii Margoline, l’austriaco Alexander Weissberg e, infine, Valentin Gonzales, detto El Campesino, un generale dell’esercito repubblicano spagnolo, prima nominato maresciallo da Stalin e poi deportato.
Una vera e propria fioritura di opere di denuncia del sistema concentrazionario sovietico si ebbe dopo il 1953-1956 quando i campi cominciarono ad essere smantellati. In Italia , in particolar modo, videro la luce in quegli anni le memorie di due preti giunti in Urss come cappellani militari dell’Armata italiana che aveva combattuto sul Don nell’inverno tra il 1942 e il 1943: padre Gbvanni Brevi, che fu tra l’altro fra gli ultimi militari italiani rimpatriati in Italia dopo la seconda guerra mondiale, e padre Pietro Leoni. Furono le prime testimonianze di italiani che avevano conosciuto in prima persona i lager sovietici.
Con la pubblicazione di Arcipelago Gulag nel 1973, la campagna di denuncia del sistema concentrazionario sovietico sembrò raggiungere il suo acme e, in un certo senso, non lasciar posto che a poche altre storie. In Italia le opere di denuncia del Gulag non sono molte e, rispetto alla letteratura qui esaminata, la periodizzazione è contro tendenza nel senso che la maggior parte delle memorie sono uscite proprio a partire dagli anni Settanta.
La storia dell’emigrazione italiana in Unione Sovietica e della sua repressione tra gli anni Venti e la Seconda Guerra mondiale è rimasta a lungo in parte sconosciuta. Fu negli anni Sessanta che questo tema fu per la prima volta affrontato ma si dovettero ancora attendere quasi dieci anni prima che Dante Corneli uno dei pochi sopravvissuti italiani ai lager sovietici che fece rientro in Italia, cominciasse a raccontare la sua storia e quella di tanti altri italiani scomparsi in Unione Sovietica.