Condannato da Castro a una cella senza finestre per aver denunciato il genocidio
“Le condizioni in cui si trova ad affrontare la condanna a 25 anni – conseguente a un processo privo di garanzie giuridiche nel 2003, scaturito dalla sua azione non violenta in difesa dei diritti umani – risultano in progressivo peggioramento”.
Dopo che il dissidente Orlando Zapata è morto in carcere a seguito di un logorante sciopero della fame (a Cuba i dissidenti non morivano dal 1972), è il dottor Biscet adesso a rischiare grosso nelle carceri castriste. Seguace di Martin Luther King e ammiratore del Dalai Lama, medico imbevuto della filosofìa della disobbedienza di Henry David Thoreau, il dottor Biseet è l’uomo che ha gridato al mondo la verità sugli aborti a Cuba. Per questo risiede da anni in un gulag caraibico.
Biscet aveva appena sostenuto pubblicamente Zapata: “Orlando sta cercando la libertà per tutti i cubani”. Figlio di una modesta famiglia operaia, Biscet ha ricevuto la tipica educazione scolastica comunista. Il dottore ha la pelle scura come Mandela. Ma a differenza del leader della lotta all’apartheid, il nome di Biscet non suscita lo stesso entusiasmo. Eppure, con la sua condanna a venticinque anni di carcere, è uno dei massimi “prigionieri di coscienza*’ al mondo. Si trova nella stessa isola dove sorge Guantanamo. ma nella parte sbagliata, lontana dai riflettori dell’opinione pubblica internazionale.
“Rivanol, metodo per distruggere la vita” II dottor Biscet ha iniziato la sua lunga resistenza al regime comunista quando scoprì che a Cuba si praticavano l’infanticidio e una serie di metodi spietati di aborto.
A Cuba nel 1996, ultimo anno per cui sono disponibili dati comparabili, si erano fatti 209.900 aborti, cioè 77.7 aborti per ogni mille donne tra i quindici e i quarantaquattro anni, contro gli 11,4 italiani. Il livello più alto del mondo, dopo gli ottantatré del Vietnam. Significa quindi che a Cuba ci sono più bambini abortiti che nati. Dopo la denuncia di Biscet, Hilda Molina, scienziata di fama internazionale e fondatrice del Centro Internacional de Restauración Neurològica cubano, già deputata all’Assemblea del potere popolare e insignita dal regime di ben undici decorazioni, aveva restituito a Fidel le undici decorazioni. Adesso il regime non le permette di uscire da Cuba.
Le è andata comunque meglio di Biscet, che è diventato dissidente denunciando l’uso del farmaco abortivo Rivanol, di cui diceva che “se faceva cilecca il suo compito era supplito dal rifiuto di assistenza al bambino nato vivo’. Ci ha scritto anche un libro fatto uscire come un samizdat, “Rivanol: A method to destroy life”.
Dopo aver definito il sistema sanitario cubano “questo genocidio fatto legale” (in una lettera aperta a Fidel Castro), il dottor Biscet sta scontando venticinque anni per queste poche righe: “II cordone ombelicale viene tagliato ed essi sono lasciati morire per emorragia, oppure sono avvolti in fogli di carta e asfissiati”. E’ così che si uccidono i nuovi nati nel paradiso castrista.
Gli esuli cubani lo chiamano il “Gandhi del Caribe” e in tanti, soprattutto i repubblicani statunitensi, vorrebbero ora vederlo insignito del Nobel per la pace. “Biscet està loco”, Biscet è pazzo aveva sentenziato il lider màximo. Il medico anticomunista e antiabortista è disposto a pagare fino in fondo per la sua protesta non violenta. Gli hanno spento addosso sigarette accese. L’hanno martoriato per piegarlo al silenzio. Di lui, della sua odissea di figlio della rivoluzione rinnegata, oggi sappiamo soltanto grazie alla moglie, Elsa Morejón, suo unico ponte telefonico con il resto del mondo.
Due anni fa, l’allora presidente americano George W. Bush premiò Biscet con la medaglia della libertà. Alla Casa Bianca, per ritirare la massima onorificenza civile americana, andarono il figlio e la figlia.
Non si contano più le volte in cui Biscet è entrato e uscito dal gulag. Al momento è rinchiuso in una cella senza bagno né luce solare. Come latrina, il dottore utilizza un buco a terra infestato dai vermi.