Radici cristiane n.95 Giugno 2014
Si chiama Halal ed è la nuova frontiera dell’jihad islamica. È un mercato in crescita esponenziale e i fatturati sono da capogiro: tremila miliardi l’anno, una crescita annuale del 15% ed un mercato di almeno due miliardi di consumatori, già oggi. Perché l’islamizzazione dal basso avviene anche attraverso il controllo delle imprese legate alla sharia. Comprese quelle alimentari. Ma non è solo questione di menù…
di Davide Greco
Siamo abituati a identificare la jihad, la “guerra santa” islamica, con azioni violente, sanguinose o terroristiche. Spesso non immaginiamo nemmeno che ci possano essere altre vie per conseguire gli stessi risultati ovvero la conquista e la conversione all’islam di quelle terre, che ancora non siano sottomesse alla legge di Allah. Il più delle volte, anzi, queste strategie ci vengono presentate come appartenenti all’islam “moderato”, dal quale non ci sarebbe nulla da temere. Una delle ultime novità in ordine di tempo proviene dal World halal food council e si concentra intorno ad una parola: “halal”, che in arabo significa “conforme”. Conforme a cosa? Alla sharia, ovviamente, la legge islamica che stabilisce cosa vada o non vada bene per un musulmano.
Il termine “halal”, che a molti sembrerà sconosciuto, sta diventando molto frequente in Occidente e si contrappone ad “haram“, ciò che non è lecito al consumo. Sì sta dunque parlando di cibo, di carne, che si distingue non tanto per gli ingredienti, ma per il modo in cui viene macellata. Il mercato dell’hahal è in crescita esponenziale, soprattutto in America e in Europa, dove l’immigrazione in massa dei musulmani ha creato questo tipo di richiesta. E i fatturati, come prevedibile, sono da capogiro.
Un cavallo di troia economico
II nostro sistema capitalistico ha messo già da tempo gli occhi sui possibili guadagni, ma l’islam da un lato promette e dall’altro mette le mani sul profitto. Infatti, solo associazioni musulmane, dirette da musulmani che seguono la sharia, possono abilitare la certificazione halal. Tutti gli altri possono avere l’importante ruolo di favorire questa pratica, consentirla per la gloria di Allah o occupare posizioni liminali. In nessun caso possono intervenire e mettere il naso laddove vige la sharia. Una volta consentita la pratica si entra nella giurisdizione religiosa islamica, luogo dove nessun governo laico può dire alcunché.
Il progetto, indorato come pillola della salvezza economica, è stato presentato in Italia al World halal food council (Whfc) che si è tenuto a Roma dal 26 al 30 marzo 2014. Come riportato da una nota Ansa del 31 marzo scorso, il messaggio è molto chiaro: «La finanza e i capitali islamici sono pronti a portare fuori dalla crisi l’Europa e in “particolare l’Italia”, purché i Paesi seguano, nella produzione, nella logistica e nella commercializzazione, gli standard halal». Lo sceicco Fayez Al Shahri ha aggiunto: «Siamo pronti a investire anche in infrastrutture, ma l’Italia deve garantirci di riconoscere l’ufficialità del mercato halal, prevedendo la certificazione obbligatoria delle imprese interessate».
Le cifre, come dicevamo, sono sorprendenti. Si parla di un fatturato di tremila miliardi l’anno, in crescita annuale del 15%, un mercato che raggiunge due miliardi di musulmani. Nella laicissima Europa, che non vede l’ora di togliere i simboli religiosi cristiani ovunque essi siano, ci sarà sicuramente chi saprà cogliere l’occasione di portare a forza un po’ di islam travestito da economia. Gli sceicchi promettono anche di investire «nelle imprese che stanno fallendo» e dicono, bontà loro, di essere «disposti ad aprire nuove sedi e assumere personale».
Macellazione “verso la Mecca”
L’halal riguarda praticamente tutte le abitudini alimentari dei musulmani, ma per comodità parleremo solo della macellazione rituale. Per fare in modo che questa pratica sia veramente lecita, bisogna seguire alcune procedure ben precise. Dimentichiamoci gli standard a cui siamo abituati in Occidente, fatti di regole di asettica pulizia, di sterilizzazione, di lavaggi degli impianti. Tutto questo per l’islam non comporta l’halal. Invece è importante che il macellaio sia rigorosamente un musulmano adulto e solo in casi eccezionali può essere una donna (se non ci sono altri uomini). Men che mai può essere un cristiano o un ebreo.
L’animale deve essere rivolto verso la Mecca e, prima di sgozzarlo, bisogna pronunciare la formula della basmalah: «Nel nome di Allah, Allah è grande. Allah è il più grande. Signore (questo sacrificio) viene date e a te è destinato». L’addetto deve uccidere l’animale, tagliandogli con una lama affilata e in un unico colpo la trachea, l’esofago, la carotide e la vena giugulare. La morte deve avvenire per dissanguamento.
Su internet sono presenti diverse foto di questa pratica. Ne sconsigliamo la visione, le immagini sono particolarmente crude.
In ogni caso bisogna capire subito una cosa: chi desidera la certificazione halal, deve giocare a pinnacola e prendersi anche le carte che non vuole. Con l’halal ci si porta dietro sempre e comunque dei fedeli musulmani, una o più preghiere musulmane e la memoria continua della Mecca.
Ma l’occidente dorme…
In Italia sono in pochi a protestare. Ma uno di questi l’islam lo conosce molto bene ed è Magdi Allam. Nel suo libro Vincere la Paura, a pagina 95, parla proprio di questo: «Ma la minaccia che proviene da chi non è dichiaratamente ostile è molto più seria, perché ci troviamo di fronte a un nemico più subdolo e strisciante. La libertà e la democrazia vengono strumentalizzate in chiave puramente tattica per conseguire l’obiettivo strategico di imporre un’ideologia integralista islamica. Quest’ideologia e questa strategia appartengono ai Fratelli Musulmani. L’islamizzatone dal basso avviene principalmente tramite il controllo delle moschee e delle scuole coraniche, la gestione di enti e aziende che producano profitto e che siano compatibili con l’etica islamica (macellerie, finanziarie, librerie, ristoranti, ditte di importazione ed esportazione di prodotti alimentari halal e consorzi di certificazione della carne halal»
Non dimentichiamo che per i musulmani è obbligatorio consumare solo cibi halal. Quindi più cresce la popolazione islamica, più sarà necessario distribuire prodotti con questa certificazione. Ma per farlo occorrono altri musulmani, con società aderenti alla sharia, che investiranno solo se anche gli Stati la rispettano. Insomma, è un tipo di capitalismo che porta con sé tutta una serie di precetti obbligatori. Chiunque voglia fare affari con l‘islam, non può scendere a patti, ma deve accettare tutto il pacchetto completo.
E infatti gli sceicchi del Whfc, che conoscono il capitalismo molto meglio di noi perché lo analizzano dall’esterno, utilizzano spesso parole come “opportunità”, “occasione”, “business”, “mercati emergenti”. Tutte paroline allettanti, ma che nascondono l’obiettivo principale: conquistare aree di controllo all’interno dei governi, in cui solo chi è musulmano avrà voce in capitolo e tutti gli altri no. Con il consenso degli Stati Uniti, serve a questo la difesa della tanta decantata “diversità”: a tradurla in dollari.
Il “Nuovo ordine mondiale”
Non è un caso che proprio il sito della Halal Italy, nelle prime quattro righe della sua home page, riporta che l’Halal International Authority (HIA) è una «Autorità indipendente riconosciuta dalle Organizzazioni Governative». Indipendente, chiaro?
Il sito del World halal food council (Whfc) è molto più esplicito. Gli obiettivi di coloro che aderiscono (compresi gli Stati) devono essere: proteggere gli interessi del Whfc, raggiungere a livello mondiale uno standard che aderisca alla sharia islamica, salvaguardare gli interessi della comunità musulmana, adoperarsi per realizzare un unico sistema halal mondiale.
Se qualcuno invece si sbagliasse a digitare “whfc” e immettesse in un motore di ricerca solo WHC ovvero il cugino “World halal Council”, troverà un interessante articolo del 25 febbraio 2014 dal titolo «I non-musulmani non possono mai interferire nel cibo halal musulmano». Con tanto di punti esclamativi il lettore troverà frasi come queste: «L’halal è un termine islamico e appartiene solo ai musulmani!», «L’halal non è solo una norma tecnica che gli europei possono regolare e formulare come vogliono. I musulmani hanno la responsabilità di Allah e Allah ha già istituito tutte le norme e i regolamenti necessari in modo chiaro». Quindi, conclude l’articolo, «ci può essere solo uno standard halal, che abbraccerà la comunità islamica in tutto il mondo e questo standard può essere gestito solo dai musulmani. Musulmani e non-musulmani devono capire che il Nuovo Ordine Mondiale sorgerà solo con l’Halal e il Tayyib!». Dove per Tayyib si intende ciò che buono e legale secondo la sharia.
Qualcuno è ancora convinto che si stia parlando solo di cibo e di come macellare la carne?
Qui sembra esserci una posta in gioco un po’ più alta del menù al ristorante. Qui si parla di “Nuovo Ordine Mondiale”.