Per contrastare le utopie tecno-scientifiche
di Lucetta Scaraffia
Il suo libro, appena tradotto in Italia, Frontiere della vita, frontiere della tecnica (il Mulino) aiuta a comprendere i problemi che viviamo non solo in una prospettiva filosofica, ma anche con uno sguardo storico che ci permette di cogliere la profondità del cambiamento che la cultura umana ha vissuto nel rapporto con la scienza e la tecnica.
Una vera e propria rivoluzione, cominciata con Copernico, continuata con Galileo e completata con Newton, i quali, spiegando il funzionamento della natura, hanno eliminato ogni idea che a esso sovrintenda un volere morale: «Nella natura non esistono bene o male». Da questo deriva l’atteggiamento umano attuale: «Se la natura non ha valori, allora permette tutto»; e ancora: l’uomo è «unico soggetto e unica volontà».
Ecco perché oggi il problema non sta nell’affrontare il valore etico di una o dell’altra innovazione, di una o dell’altra possibilità di intervento tecno-scientifico. La questione è più profonda e ampia, «è il destino dell’uomo».
Nessuna etica dei periodi storici che ci hanno preceduto, infatti, doveva tenere conto della condizione globale della vita umana e del lontano futuro, addirittura della sopravvivenza della specie. È una condizione che va quindi affrontata in questi termini più vasti, elaborando una nuova concezione dei diritti e dei doveri.
La denuncia di Jonas non si limita però a individuare questo pericolo. Egli intravvede nella nuova immagine dell’essere umano — non solo potente, ma in grado di stabilire senza limiti cosa può fare — una nuova forma di deriva utopistica, simile a quelle che tanti danni hanno provocato nel secolo scorso: l’utopia di governare l’evoluzione, di migliorare il genere umano.
Per evitare questi pericoli, Jonas propone un’etica della responsabilità caratterizzata in senso deontologico e dotata di validità universale, come spiega bene Paolo Becchi nella sua biografia intellettuale del filosofo (Hans Jonas. Un profilo, Morcelliana). Un’etica quindi aliena da ogni forma di relativismo, nemica cioè delle etiche che valutano sulla base della somma delle utilità che gli interventi tecno-scientifici possono realizzare, ma favorevole invece a valutare le nuove pratiche in base alla loro compatibilità con la continuazione di una vita umanamente accettabile su questa terra, fondata su principi universalmente vincolanti.
Jonas è del tutto consapevole che, per contrastare la deriva delle nuove biotecnologie — in particolare quelle che tendono a creare una nuova specie, priva di difetti — c’è bisogno di qualcosa di più alto, che sorpassi anche il pensiero filosofico metafisico. Apre così le porte alla necessità della trascendenza.
Il suo pensiero, quindi, profondo e acuto per quanto riguarda la rivoluzione che stiamo vivendo, è di grande aiuto al pensiero bioetico cattolico per trovare fondamenti comuni a un pensiero laico libero. Libero dai condizionamenti che nascono e si diffondono in un clima di utopia tecno-scientifica che illude gli esseri umani di potersi liberare dalla sofferenza, e persino, magari, dalla morte.