del 19 novembre 2014
di Lupo Glori
«Usa internet col cuore: no all’odio, no all’intolleranza sul web». Questo l’ambiguo motto della campagna promossa dal dipartimento della Gioventù e del Servizio civile nazionale della Presidenza del Consiglio dei ministri che aderisce al progetto Young People Combating Hate Speech Ondine (I giovani combattono l’istigazione on line all’odio) lanciato dal Consiglio d’Europa volto a sensibilizzare i giovani contro il cosiddetto cyberbullismo, ossia episodi di intolleranza ed espressioni violente sul web, nei confronti del “diverso” riguardo differenze religiose, di genere e culturali.
L’iniziativa è il risultato di un’ampia e trasversale collaborazione tra diversi organismi istituzionali. Il Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale ha, infatti, istituito unTavolo Interistituzionale per la lotta all’odio e all’intolleranza sul web, al quale hanno preso parte diverse amministrazioni, quali il Ministero dell’Istruzione, il Ministero dell’Interno – Polizia Postale, Dipartimenti ed Uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché Istituzioni, quali l’Agenzia Nazionale Giovani e Forum Nazionale dei Giovani e l’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia, Conferenza delle Regioni.
Nel corso della presentazione del progetto, presso la sala stampa di Palazzo Chigi, Luigi Bobba, sottosegretario con delega alle politiche giovanili, ha illustrato l’importanza di tale campagna di comunicazione, dichiarando: «Internet è uno strumento che ha delle potenzialità formidabili ma cosa ci mettiamo, che obiettivi perseguiamo, lo decidiamo noi. Questa campagna ha l’obiettivo di far sì che i giovani non diventino protagonisti di messaggi di intolleranza ma diventino attivisti dei diritti umani. Questa mobilitazione attraverso gli spot, il concorso e il web speriamo possa essere un importante contributo per diffondere una cultura positiva e non di razzismo».
L’iniziativa prevede anche un concorso dedicato alle scuole secondarie di II grado con l’obiettivo di coinvolgere attivamente anche i giovani studenti. Calogero Mauceri, capo dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale, a tale proposito, ha sottolineato: «L’obiettivo è far in modo che non ci sia più un utilizzo del web per campagne di istigazione all’odio e contro il diverso e dunque sensibilizzare i giovani ad un uso corretto del web e quindi un messaggio di rispetto nei confronti di tutti». In collaborazione con il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria sono stati, inoltre, prodotti spot di 30 e 15” televisivi e radiofonici.
L’espressione «discorsi d’odio» è un concetto molto ampio e variegato che racchiude diverse forme di discriminazione. Come si legge, infatti, sul sito internet ufficiale dell’iniziativa, «l’istigazione all’odio così come definita dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa è espressione di tutte le forme di diffusione ed incitazione all’odio razziale, alla xenofobia, all’antisemitismo e ad altre forme di intolleranza, espressione di nazionalismi, discriminazione nei confronti di minoranze, di migranti. Altre forme di discriminazione sono la misoginia, l’islamofobia, la cristianofobia e tutte le forme di pregiudizio circa l’orientamento sessuale e di genere».
La lotta agli “hate speech” riguardo l’orientamento sessuale e il gender sembra essere uno degli obiettivi principali di tale campagna. Alla lettera g del glossario consultabile sul sito internet “No Hate Speech Movement” la parola gender è declinata in diverse accezioni: Gender, Gender Recognition, Gender Identità e Gender reassignment. Come spiega il glossario curato dall’ILGA Europe (International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex association), il termine gender si riferisce alla percezione interiore delle persone e alla loro soggettiva esperienza di mascolinità e femminilità a prescindere.
Il gender è dunque «una costruzione culturale fortemente dipendente dalle aspettative sociali e non è una questione esclusivamente biologica». Riguardo il concetto di identità di genere il vocabolario sui “discorsi d’odio”, specificando di richiamarsi ai principi di Yogyakarta, spiega che «si riferisce all’interiore ed individuale esperienza di genere di ciascuno che può o non può corrispondere con il sesso assegnato alla nascita».
La studiosa belga Marguerite Peeters, nel suo ultimo saggio tradotto in italiano, Il Gender. Una questione politica e culturale (San Paolo, Cinisello Balsamo 2014, pp.160, 17,50 €), ha definito il gender come un insieme olistico di cerchi concentrici fornito di un nucleo duro radicale. I cerchi esterni, i più visibili e i più lontani dal centro ideologico nascosto, rappresentano i progetti a più alto consenso e capaci di sedurre la maggioranza. Tuttavia il nucleo centrale ideologico attira verso sé e contamina tutti gli altri cerchi, cosicché anche i progetti più esteriori e apparentemente più accettabili finiscono per esserne contagiati.
La rivoluzione gender avanza, infatti, silenziosamente dietro ad una maschera di parole dal sapore altruistico e umanitario. La campagna contro gli “Hate Speech” promossa dal Consiglio d’Europa costituisce un esempio emblematico di tale subdola strategia d’azione. Quello che è un vero e proprio nuovo paradigma etico viene proposto e imposto attraverso una scientifica rivoluzione del linguaggio che si serve di termini intenzionalmente ambigui e ambivalenti, vocaboli all’apparenza condivisibili e lodevoli, ma che nella realtà sottendono l’adesione ad un programma sovversivo radicale.
Il processo di mutazione linguistica del gender richiama alla memoria la neolingua immaginata e descritta da George Orwell nel suo celebre libro 1984. Fine specifico del Newspeak non era solo quello di fornire agli adepti del Socing, un nuovo mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le superate abitudini mentali, ma quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. In tale prospettiva, sono i promotori del diktat etico globale a stabilire, arbitrariamente, che cosa si intende per “discorso d’odio”.
Concetti ideologici come omofobia, gender, diritti sessuali e riproduttivi, omoparentalità, lotta agli stereotipi, orientamento sessuale, identità di genere e cosi via divengono degli imperativi etici ai quali tutti i progetti educativi, le carte etiche e programmi politici dovranno allinearsi pena l’emarginazione e la condanna sociale.
La lotta agli “hate speech”, in nome di malintesi diritti umani, diviene in questo modo una astuta tattica volta a silenziare preventivamente ogni altro punto di vista discordante dal pensiero unico dominante. Come si legge sul sito della campagna, per crimine d’odio si intende: «un atto illecito contro un gruppo o un individuo sulla base di un pregiudizio sulla loro identità percepita negativamente». Una definizione volutamente oscura, funzionale a promuovere i propri progetti rivoluzionari. L’ideologia, che celebra la libertà di scelta assoluta, rivela il suo volto totalitario.