La raccolta dei suoi scritti fa riflettere anche sull’Italia, sua seconda patria (ingrata)
di Giancristiano Desiderio
Una prosa che è una cavalcata, una fresca chiarezza, una morale che rinfranca: l’autore di Un mondo a parte, Gustaw Herling, entra a far parte della prestigiosa collana Mondadori i meridiani con il volume Etica e letteratura che raccoglie non solo il romanzo testimonianza che, aprendo la porta dell’inferno dell’universo concentrazionario del comunismo lo ha reso celebre alla pari di Aleksandr Solzenicyn, ma anche altri scritti, racconti , saggi e, in particolare, il Diario scritto di notte che è l’opus magnum dello «scrittore polacco che vive a Napoli», secondo la definizione che lui stesso diede si sé.
Quando morì nella notte del 4 luglio 2000 il suo “connazionale” Giovanni Paolo II, la domenica seguente, dalla finestra da cui i pontefici si affacciano sul mondo disse: «Il nostro scrittore Gustaw Herling-Grudzinski ci ha lasciato». Era triste Woytjla perché sapeva quanto l’opera di quel «pellegrino della libertà» fosse stata decisiva per la sua stessa formazione e per la libertà dei polacchi.
Le opere di Gusaw Herling sono state proibite in Polonia dal 1945 al 1989: non solo era vietato pubblicarle – come ricorda nel saggio che apre il volume Wlodzimierz Bolecki – ma era proibito anche scrivere o citare il nome dello scrittore. E’ sempre stata questa la logica spietata del comunismo: annientare l’uomo.
Ma prima o poi, come ripeteva nella sua Storia d’Europa Benedetto Croce, che il soldato Herling conobbe a Sorrento dopo averlo già conosciuto con le opere e del quale poi sposò l’ultima figlia Lidia, la libertà risorge come il sole e oggi l’opera dello scrittore polacco-napoletano è in fase di pubblicazione in Polonia. Se in Polonia fu censurato, in Italia fu silenziato.
Lo ricordò lui stesso nel 1995 alla giornalista Titti Marrone: «In Italia Un mondo a parte, riedito nel ’94 da Feltrinelli, è stato pubblicato da due editori: prima da Laterza nel 1958, poi, dopo qualche anno, da Rizzoli. Entrambe le edizioni vendettero pochissime copie. Ma io credo che Vito Laterza non abbia nemmeno distribuito il libro».
Purtroppo, per mezzo secolo la qualità della cultura e soprattutto della cultura politica italiana è stata questa: “congiura del silenzio”. Così è stato anche per Herling nonostante – come racconta lui stesso – «durante la guerra ho combattuto per la libertà del vostro Paese da Montecassino fino alla Linea dei Goti».
Invece Herling era uno scrittore, un grande scrittore il riconoscimento della sua grandezza e dell’importanza decisiva della sua opera arrivo. Quando? Dopo – ecco il punto da tener presente – soltanto dopo la fine del comunismo. Non a caso Herling considerava l’edizione del ’94 la prima edizione di Un mondo a parte.
In fondo, Gustaw Herling era uno scrittore in esilio non solo rispetto alla patria polacca, ma anche il classico “esule in patria” rispetto alla sua “seconda patria di adozione”. Questa condizione la si può cogliere in modo palmare proprio nelle pagine del Diario scritto di notte di cui il Meridiano – curato da Krystyna Jaworska, che presenta anche una testimonianza di Goffredo Fofi, mentre la puntuale Cronologia si deve a Marta Herling, figlia dello scrittore – offre corposa selezione di testi.
Il Diario è un’opera singolare a metà strada tra la cronaca e la critica, il racconto e il saggio, fu pubblicato a puntate sulla rivista Kultura tra il 1971 e il 1996. Un testo ricco e potente che il lettore può seguire anche saltando e scegliendo gli argomenti.
Se lo apriamo alla data del 26 aprile 1978 ci imbattiamo nella riflessione di Herling sul sequestro di Aldo Moro. Herling dice con coraggio quanto non si diceva in Italia: «Quando Paolo VI si è “inginocchiato” davanti alle Brigate Rosse assicurandole che, nonostante tutto, le “ama” cristianamente e scongiurandole in nome di questo “amore” di liberare il loro prigioniero la follia del terrorismo ha riportato una parziale vittoria. A una vittoria totale le manca solo il prendere in ostaggio lo stesso Papa, oppure l’adesione di Aldo Moro alle Brigate Rosse».
Come si vede, Herling era andato molto, molto vicino alla verità. Ma non è tutto. Sui terroristi e i comunisti scrive: «Ora si cerca di tracciare una genealogia delle Brigate Rosse e di abborracciare in fretta e furia, con gli elementi a disposizione, un ritratto più o meno credibile. Sono i bastardi della contestazione del 1968. Sono gli orfani del Partito comunista italiano, che oggi, in effetti, si schiera energicamente a difesa dello Stato e rifiuta in modo categorico ogni trattativa con i terroristi, ma che ancora ieri – e per quanti anni!- ha lavorato all’erosione dello “Stato borghese” e alla disgregazione dei suoi organi di autodifesa».
Herling chiede alle classi dirigenti italiane un «esame di coscienza» e in modo implacabile ma giusto continua: «Sono il prodotto secondario di trent’anni di governo e di corruzione della democrazia Cristiana ; sono i tardivi nipotini di Lenin, di Trockij e di Stalin; sono la naturale conseguenza dello sconsiderato affollamento delle università e della crescente disoccupazione giovanile; sono le vittime dello scatenamento mentale e morale dei demoni intellettuali italiani, sostenitori del principio: “Se Dio non esiste, tutto è permesso”».
La forza delle parole di Gustaw Herling va dritta al petto di ogni italiano che ha conservato una storia possibile dell’Italia e l’onestà intellettuale per guardare nello sconquasso intellettuale e morale della stanza e malata democrazia che miracolosamente sopravvive. E solo un assaggio di un’opera sterminata (più di 3mila pagine) di letteratura civile che sarebbe piaciuta a Croce.