Hitler era un comunista?

Tradizione Famiglia Proprietà newsletter 15 gennaio 2025

di Julio Loredo

La scorsa settimana, in un podcast su X con Elon Musk, la leader di Alternative für Deutschland Alice Weidel ha fatto una dichiarazione che ha suscitato non poco stupore, soprattutto a sinistra. Interpellata su cosa pensasse di Hitler (viste le accuse rivolte ad AfD di essere nazista), la Weidel ha affermato: “Hitler era un nazional-socialista; solo dopo la guerra gli hanno affibbiato la falsa etichetta di uomo di destra, di conservatore. (…) Hitler era un comunista, si vedeva come un socialista”.

Apriti cielo! I servizi del Corriere della Sera hanno parlato di un “rovesciamento della prospettiva”, di un “ribaltamento della storia” e di una “confusione dei piani e dei significati” (1).

In realtà, l’unica cosa che la leader tedesca ha ribaltato è la propaganda sinistrorsa. Un’analisi obiettiva – cioè non propagandistica – rivela profonde affinità tra i due movimenti, a cominciare dal nome del partito del dittatore bavarese: Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP), ossia Partito Nazional-Socialista Tedesco dei Lavoratori. Oggi questa affinità dottrinale è un dato ampiamente acquisito.

Il tentativo del nazismo di conciliare l’ideologia nazionalista con una dottrina socialista radicale faceva di esso un movimento profondamente rivoluzionario, lontano anni luce da ciò che sarebbe stata una sana reazione tradizionalista o contro-rivoluzionaria, e piuttosto affine alle altre tendenze che cercavano di scardinare il vecchio Ordine, come l’internazionalismo socialista, ovvero il comunismo.

“Bolscevismo e fascismo – spiega lo storico Roberto de Mattei – entrarono quasi contemporaneamente sulla scena”. E cita François Furet: “Quel che rende inevitabile un’analisi comparata di fascismo e comunismo non è solo la data di nascita e l’apparizione simultanea, oltreché meteoritica sul piano storico, ma la loro reciproca dipendenza” (2).

Fra coloro che, già all’epoca, percepirono questa affinità, vi era Plinio Corrêa de Oliveira, allora giovane leader del Movimento cattolico in Brasile. Continua de Mattei: “Questo intimo rapporto di dipendenza, che oggi si avvia a diventare un dato storiografico acquisito, fu intuito da Plinio Corrêa de Oliveira, che, in assoluta fedeltà al modello cristiano della società, rifiutò di schierarsi con l’uno o l’altro dei contendenti che occupavano il proscenio. Nel comunismo egli vide una concezione diametralmente opposta a quella cattolica, ma considerò il nazismo una falsa alternativa altrettanto pericolosa”.

Bolscevismo e nazismo irruppero così quasi contemporaneamente sulla scena, nel ruolo di acerrimi nemici reciproci. La loro simultanea apparizione, la dipendenza l’uno dall’altro e, soprattutto, la loro comune matrice neo-pagana, avrebbero dovuto insospettire più di qualcuno sull’autenticità del loro antagonismo. Purtroppo, la vulgata politicamente corretta dell’epoca li considerava avversari, e qualunque tentativo di accostarli veniva immediatamente rigettato.

In evidente contrasto con la suddetta vulgata, Plinio Corrêa de Oliveira percepì subito l’intimo rapporto di dipendenza che legava comunismo e nazismo, tanto da dedicare a questo tema ben 447 articoli. Nel denunciare le profonde affinità che univano i due movimenti, a prescindere dalla loro lotta fratricida per l’egemonia mondiale, Plinio Corrêa de Oliveira li considerava come i bracci di una stessa mostruosa tenaglia, la Rivoluzione, rigettandone ugualmente gli errori in nome della fede cattolica: “I cattolici devono essere anticomunisti, antinazisti, antiliberali, antisocialisti, antimassoni… appunto perché cattolici” (3).

“È incontestabile che il comunismo sia l’antitesi del cattolicesimo – scriveva il pensatore cattolico brasiliano – ma il nazismo, da parte sua, costituisce un’altra antitesi della dottrina cattolica, che lo rende vicino al comunismo. (…) Forse, un giorno, la storia dirà in quali antri tenebrosi fu forgiato. Ma il fatto è che, per corrispondere ai desideri di innumerevoli persone assetate dei valori della Civiltà Cristiana, apparve in Germania un partito che fu imitato altrove e che si proponeva l’insediamento di un nuovo mondo cristiano. A prima vista, nulla di più simpatico.

“Tuttavia, riflettendo attentamente sul lato concreto di questa ideologia – un lato che la machiavellica propaganda rivelava solo a piccoli passi agli iniziati – che terribile delusione si sarebbe subita! Un’ideologia confusa, impregnata di evoluzionismo e materialismo storico, satura di influenze filosofiche e ideologiche pagane; un programma politico ed economico radicale e tipicamente socialista, intollerabili pregiudizi razzisti. Insomma, dietro ai proclami anticomunisti del nazismo, era proprio il comunismo che si voleva instaurare. Un comunismo insidioso, mascherato da cristiano. Un comunismo mille volte peggiore, perché mobilitava contro la Chiesa le armi sataniche dell’astuzia invece delle deboli e impotenti armi della forza bruta.

“Cominciava con l’esaltare gli animi per mezzo di alcune verità, quindi li metteva in delirio con il pretesto dell’entusiasmo per tali verità e, infine, li attirava verso i più terribili errori. Dunque, un comunismo che non significava la neutralizzazione dei cattivi, bensì dei buoni; la più terribile macchina di perdizione e falsificazione che il demonio abbia generato nel corso della storia” (4).

Il 14 marzo 1937 apparve l’Enciclica Mit brennender Sorge, con la quale Pio XI condannò gli errori del nazionalsocialismo. La mossa mandò Hitler su tutte le furie, ma aprì gli occhi dell’opinione pubblica mondiale. L’enciclica, come avrebbe ricordato Pio XII, “svelò agli sguardi del mondo quel che il nazionalsocialismo era in realtà: l’apostasia orgogliosa da Gesù Cristo, la negazione della sua dottrina e della sua opera redentrice, il culto della forza; l’idolatria della razza e del sangue, l’oppressione della libertà e della dignità umana” (5).

Appena cinque giorni dopo, proprio per sottolineare l’intima connessione fra i due movimenti, Pio XI pubblicò l’enciclica Divini Redemptoris, con la quale condannò l’altra faccia della medaglia: il comunismo.

Nazismo e comunismo condividevano ancora un altro tratto: la persecuzione della Chiesa cattolica. Nella persecuzione antireligiosa del nazismo, il dottor Plinio non vide un aspetto accidentale ed estrinseco della politica del Terzo Reich, ma la logica conseguenza di una visione del mondo antitetica a quella cattolica.

“La realtà è che la politica antireligiosa del Terzo Reich ne è un carattere essenziale, un tratto fondamentale del suo contenuto ideologico o, meglio ancora, il significato profondo e la stessa ragion d’essere del nazismo” (6).

E ancora: “Il nazismo è il risultato di un processo profondo; la sua politica antireligiosa è parte integrante del suo pensiero; questo pensiero è così visceralmente antireligioso che, se il partito nazista si trasformasse in baluardo del cattolicesimo nell’Europa orientale, resterei non meno sconcertato che se la massoneria si convertisse in una pia confraternita” (7).

Solo dopo la guerra la sinistra, propagandisticamente vittoriosa e bisognosa di costruirsi uno spauracchio da biasimare e calpestare, fomentò il mito del nazismo come movimento di destra. Calpestare un cadavere morto da quasi ottant’anni è comodo. Il problema era affrontare il mostro quando esso marciava al passo d’oca sotto le finestre. Proprio come fece Plinio Corrêa de Oliveira.

Note

(1) Mara Gergolet, “Hitler? Era un comunista. Lo show tra Weidel e Musk”, Corriere della Sera, 10 gennaio 2025; id. “Remigrazione, Dexit e quello slogan che ricorda i nazisti: le parole di Alice”, id., 11 gennaio 2025.

(2) Roberto de Mattei, Il crociato del secolo XX. Plinio Corrêa de Oliveira, Piemme, 1997, p. 75.

(3) Plinio Corrêa de Oliveira, “Pela grandeza e liberdade da Ação Católica”, O Legionário, 13 gennaio 1939.

(4) “A margem da crisi”, Ibid., 25 settembre 1938.

(5) Pio XII, discorso 2 giugno 1945.

(6) Plinio Corrêa de Oliveira, “Falsificação”, O Legionário, 21 aprile 1940.

(7) “Genealogia de monstros”, O Legionário, 29 giugno 1938