La Croce quotidiano 22 aprile 2017
Uno studio di Philippe Hoffmann presenta la concezione educativa del capofila del neoplatonismo classico
di Giuseppe Brienza
Anche al filosofo Plotino (205-270) deve pur qualcosa la tradizione pedagogica cristiana. Sebbene il neoplatonismo, che è «una sintesi di platonismo e aristotelismo, con anche elementi stoici» (p. 18), si origini «nel contesto della polemica contro le diverse forme di cristianesimo», le tecniche pedagogiche che da esso derivano portano al realizzarsi «della forma perfetta della Scuola nello stesso momento in cui si sviluppa un pensiero che può essere già qualificato come “scolastico”, senza la conoscenza del quale non è possibile comprendere il Medioevo» (p. 18).
È questa la tesi essenziale dell’ultimo saggio di Philippe Hoffmann “Vita quotidiana di un maestro neoplatonico. Le radici tardoantiche dell’educazione” (trad. dal francese a cura di Stefano Suozzi, Edizioni Dehoniane, Bologna 2017, pp.70, euro 9,50), che presenta appunto la concezione educativa dell’“inventore” del neoplatonismo, Plotino.
A questo pensatore egiziano, attivo a Roma nel III secolo, si deve principalmente «la filosofia degli ultimi secoli dell’antichità» (p. 18), nella quale sono anticipati temi di fondamentale importanza per l’evoluzione della cultura occidentale classica: dall’unicità del sapere, all’importanza della cultura generale e del suo rapporto propedeutico con i saperi specializzati, per finire con la necessità dei discenti di conformarsi a un programma rigoroso. In particolare, nelle scuole neoplatoniche si studiavano soprattutto le materie che nel mondo latino saranno chiamate del “trivium”, vale a dire grammatica, dialettica e retorica.
A seguire, poi, in accordo alla teoria dei “cerchi concentrici”, venivano proposti i saperi del “quadrivium”: musica, geometria, astronomia e aritmetica. L’insieme di trivium e quadrivium formava un ciclo propedeutico allo studio della filosofia, che includeva la teologia come sua parte conclusiva. Una struttura complessa, dunque, che illustra come nella scuola neoplatonica l’insegnamento contenutistico, l’esegesi dei testi e la cura per la formazione spirituale costituissero un tutt’uno, nella consapevolezza che compito del maestro non fosse solo quello di istruire, ma anche formare sul piano morale e interiore.
Philippe Hoffmann è direttore di studi all’Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, dove coordina l’area di ricerca «Filosofie e teologie antiche, medievali e moderne» e dirige il Laboratorio di Storia e antropologia dei saperi, delle tecniche e delle credenze. Co-direttore della Revue de philologie, de littérature et d’histoire anciennes, è membro di redazione delle riviste Academia, Philosophie antique e Dionysius. Oltre alla traduzione francese del Commentario alle Categorie di Aristotele di Simplicio, ha curato Le rire des anciens (1998); Recherches de codicologie comparée. La composition du codex au Moyen Âge (1998) e Pluralisme religieux. Une comparaison franco-vietnamienne (2013).
Nel suo ultimo libro Hoffmann tratta due temi sulla visione educativa della filosofia tardoantica tra loro intimamente connessi: da un lato, come recita il titolo, la vita quotidiana di un maestro neoplatonico che, per ragioni diverse, è sempre una guida spirituale o un direttore di coscienze; dall’altro, la struttura e il funzionamento delle scuole filosofiche con le quali si sono gettate le basi di un modo di concepire l’insegnamento che ha influenzato la Chiesa e che, per diversi aspetti, influenza ancora oggi il sistema “laico” dell’istruzione pubblica.
Tutto è avvenuto, come spiega l’Autore, tra il IV e il VI secolo dopo Cristo, all’interno di un triangolo che congiungeva Atene, Alessandria d’Egitto e le regioni della Siria e dell’Alta Mesopotamia, un mondo completamente diverso dall’antichità classica. Al centro di questo mondo sta il rapporto duale, e personale, del maestro col discepolo, una struttura relazionale fondamentalmente d’autorità, ma che ha anche un correlato affettivo nell’amicizia fra docente e discenti. Questa vita scolare, ritmata da un preciso programma, era organizzata come una “liturgia”, con le ore della giornata che scandivano l’impiego del tempo, in un susseguirsi ininterrotto, dal sorgere fino al calare del sole, di preghiere, lezioni, conversazioni e seminari.
Dopo l’Introduzione del pedagogista Carlo Altini (pp. 5-11), che evidenzia l’interesse dello studio di Hoffman perché riguarda «uno dei movimenti filosofici più complessi e insieme più affascinanti dell’antichità» (p. 5) come il neoplatonismo, il saggio si compone di 5 capitoli più la Conclusione (pp. 59-61) ed una aggiornata Bibliografia (pp. 63-70). Si parte da un inquadramento generale sul “clima” della cultura ellenica tardoantica (cap. 1, Dall’antichità classica alla tarda antichità, pp. 13-18), per poi illustrare la visione platonica di “scuola”, intesa come modo complessivo di rapportarsi alla vita e al tempo (cap. 2, Scholé: la scuola come scelta di vita, pp. 19-22).
Segue quindi la presentazione delle tecniche di formazione della Grecia classica e che possono essere considerate costanti durante tutta l’antichità (cap. 3, La formazione in epoca classica: natura, dottrina, esercizio, pp. 23-30), per passare quindi al tratto essenziale della concezione educativa neoplatonica, il quale risiede nel carattere fondamentalmente “asimmetrico” e fondato nella trascendenza della relazione pedagogica (cap. 4, Insegnare la virtù, pp. 30-40).
Altra caratteristica che fa apprezzare la visione pedagogica neoplatonica è quella che Hofmann definisce l’attenzione alla “azione psicologica” sul discente, vale a dire la «straordinaria cura per lo stato di “progresso” constatabile nell’anima dell’allievo» (p. 41, cfr. il cap. 5, Il progresso psicologico e spirituale dell’allievo, pp. 41-49). Il libro si conclude quindi con la presentazione del tipico “cursus” di studi neoplatonico, costituito dalle lezioni quotidiane di spiegazione dei testi, «conformi al programma rigoroso codificato a partire da Giamblico» (p. 51), che è un altro filosofo tardoantico fondamentale per la ricostruzione del pensiero neoplatonico sull’educazione (cfr. cap. 6, Il programma nella scuola neoplatonica, pp. 51-58).
Penso che, nella misura in cui si voglia ancora oggi riproporre, come architrave del sistema educativo-scolastico, l’antica definizione che, da Plotino, ci è giunta con nuovo significato da sant’Agostino, ovvero che «il bello è la luce del vero», si potrà davvero ripartire come Civiltà. La contemplazione della bellezza del creato e dell’umano, infatti, non può non coincidere con l’ammirazione della metafisica e delle impronte di Dio nel mondo.
Non l’adorazione di sé, o di ciò che è effimero, di ciò che passa e che ha una valenza solo materiale, come ci è proposto nell’età dell’attuale scuola “post-illuminista”. C’è da riscoprire, insomma, quel rapporto intimo tra virtù e bellezza per cui, con Plotino appunto, si può dire che la virtù sia la bellezza dell’anima (Enneadi 1,6).