Quando il cinema racconta la verità
Carlo Bellieni
Invece in “Due Cuori e una Provetta”, con Jennifer Aniston, il “donatore” è un amico della futura mamma, che furtivamente senza che lei lo sappia ha messo il suo “seme” al posto di quello prescelto: il film mostra il rammarico di quest’uomo per ciò che ha fatto, per non poter dire al bambino che lui è suo padre, mentre il piccolo tristemente colleziona foto di sconosciuti per immaginare un genitore che non ha.
Nella popolarissima serie “dr House”, poi, il protagonista – nell’episodio intitolato “Chi è Tuo Padre?” – sconsiglia in tutti i modi la collega Lisa Cuddy dal ricorrere alla fecondazione in vitro eterologa, fino a violare il segreto professionale per mostrarle chi è il “donatore” segreto, rivelandole che si tratta di una persona ridicola e odiosa. “Non mi importa se lo sposi o se ci vai a cena” dice Gregory House a Lisa, “ma dovresti sapere chi è! I geni contano e conta chi siamo. Cerca uno più evoluto; uno che ti piace.”
Piccoli segni indicano quindi un disagio verso una pratica che non pochi politici vorrebbero introdurre diversi Paesi. Ma perché questo disagio? Può essere dovuto all’assenza del padre o alla presenza di un padre diverso dal padre biologico; ma si può restare senza padre per cause naturali, e in caso di adozione il padre con cui si vive e da cui si è amati è diverso da quello che ha concepito, senza che questo ci turbi.
Il fatto è che nella fecondazione eterologa, del padre compare solo il seme, lasciando un vuoto, ma un vuoto pianificato, voluto, “normale”, tanto che al figlio viene sottratto anche il diritto di piangerne l’assenza. Il padre eterologo è diverso dal padre fuggiasco: il secondo è più colpevole, ma il primo ferisce di più perché, a differenza dell’altro, non ha voluto avere a che fare neanche con il concepimento; non ha mai amato, neanche in maniera sbagliata; è un padre per il quale il figlio è solo una fonte di reddito.
C’è anche il disagio legato alla consapevolezza che il seme usato per la fecondazione eterologa è ultra-manipolato, dato che oltre alle solite manovre passa attraverso un lungo inverno di congelamento; la manipolazione che assimila il concepire umano alla riproduzione animale – come accenna Jennifer Lopez nel film The Backup Plan – ovviamente lascia molti perplessi.
Sono operazioni che sollevano perplessità anche tra gli studiosi, consci che l’ambiente e i trattamenti possono cambiare il modo in cui il DNA si esprime. Pochi studi esistono per mostrare se nei bambini concepiti dopo passaggi a varie temperature dello spermatozoo ci siano conseguenze: una revisione dei soli due studi disponibili fatta nel 2001 sembra rassicurare; ma recenti studi fatti su animali mostrano che nel seme congelato si producono radicali liberi che alterano la motilità degli spermatozoi (Oxidative Medicine and Cellular Longevity, luglio 2009) e che la motilità e la qualità degli spermatozoi scongelati è bassa per un’azione anche sui loro mitocondri (Theriogenology, ottobre 2010).
Massima cautela dunque: già nel 2004 la rivista Obstetrics and Gynecology, commentando i rischi fisici dei bimbi concepiti con tecniche medicalmente assistite, metteva in guardia dalla disinvoltura di chi suole “prima sparare e solo dopo farsi domande” in campo riproduttivo. Insomma, l’ingresso della medicina nella sfera delicata e segreta della fecondazione desta perplessità; sopratutto quando si esce dal rapporto di coppia con le gravidanze delle single. I film USA raccontano questo spaccato di vita, e spesso sono davvero eloquenti.
Ma le criticità non interessano solo il campo della fecondazione eterologa. La serie “dr House” aveva mostrato perplessità sul tema generale della fecondazione in vitro, mostrandone in modo drammatico alcune possibili conseguenze, nell’episodio in cui descriveva gli incubi cui un bambino andava incontro per via del riassorbimento nel suo corpo dell’embrione concepito ed impiantato nell’utero insieme a lui.
E nel film “La custode di mia sorella”, con Cameron Diaz, in cui una bambina selezionata in vitro per donare il suo midollo alla sorella malata, si ribella al suo destino di “donatore su misura” e denuncia i genitori, ribellandosi al suo ruolo di bimbo nato per curarne un altro.
E’ una cinematografia che non condanna, ma rappresenta con efficacia il disagio su un tema che in genere viene invece esaltato dai media. Racconta un mondo in cui i bambini sono un optional, racconta i rischi delle scelte procreative alla moda, e soprattutto la solitudine e la paura, che sono la principale causa di tante scelte eticamente sbagliate. E’ uno spaccato di vita che fa riflettere, e di cui c’era bisogno: la verità non ha sempre bisogno di essere “spiegata”: spesso basta raccontarla.