La Nuova Bussola quotidiana
16 ottobre 2016
di Stefano Magni
Il contingente italiano che verrà schierato in Lettonia, sarà inviato nel paese baltico per partecipare al rafforzamento del fianco orientale della Nato, un programma stabilito al vertice di Varsavia lo scorso luglio. Mosca reagisce con toni e dichiarazioni molto forti, come se la Nato avesse deciso di punto in bianco di minacciare i suoi confini nordoccidentali. Ma i paesi baltici e la Polonia, che hanno chiesto a gran voce il rafforzamento delle loro difese con contingenti Nato, hanno i loro bravi motivi per essere preoccupati.
In primo luogo, Estonia, Lettonia e Lituania hanno chiesto e ottenuto l’accesso all’Alleanza, non solo per ragioni storiche. Tutti e tre i paesi vennero invasi da Stalin nel 1940, poi occupati nuovamente nel 1944 dopo la liberazione dal nazismo e sottoposti all’occupazione sovietica per mezzo secolo. Con tutto ciò che ne è seguito: deportazioni di massa, persecuzione dei religiosi e del dissenso politico, cancellazione sistematica della storia e della cultura locali. Ma la paura di Vilnius, Tallinn e Riga, dopo la dissoluzione dell’Urss, si basava su fatti molto più attuali: per timore che la Russia potesse fare con loro quel che aveva già fatto in Georgia e in Moldova.
In quei due paesi, le minoranze russe e russofone di Transnistria, Abkhazia e Ossezia meridionale, protette dall’esercito mandato da Mosca in veste di “forza di pace”, hanno ottenuto una loro indipendenza di fatto, riconosciuta solo dal Cremlino. Questo accadeva nei due anni successivi alla dissoluzione dell’Urss, ma tuttora in Moldova e in Georgia persiste una destabilizzante condizione di guerra “congelata” e di divisione del loro territorio. Situazioni dove l’unico arbitro è e resta la Russia (in base al principio del divide et impera).
In Georgia questa condizione è ulteriormente peggiorata a seguito del secondo intervento russo, nell’agosto del 2008, che ha consolidato la separazione delle regioni di Abkhazia e Ossezia meridionale dal resto del paese. In Estonia e in Lettonia, la situazione è analoga. Nella prima è presente una forte minoranza russa che, nella provincia che fa capo a Narva, è maggioranza assoluta, in Lettonia una regione ancora più ampia, quella della Latgalia, è a maggioranza russa. In Lituania non sono presenti forti minoranze russofone, ma il Sud del paese è quasi completamente separato dal resto d’Europa dall’exclave russa di Kaliningrad, una delle aree più militarizzate dell’intera Federazione Russa. Se i paesi baltici non hanno mai conosciuto separatismi violenti e situazioni di conflitto congelato, lo devono soprattutto al loro attivismo diplomatico, al riavvicinamento immediato all’Europa e infine al negoziato che si è concluso con l’approvazione della loro adesione alla Nato, completato nel 1999.
L’adesione alla Nato ha garantito più sicurezza, ma non ha segnato la fine delle azioni aggressive russe. L’Estonia è stata vittima, nel 2007, della prima grande offensiva hacker della storia. Benché i russi neghino tuttora ufficialmente di essere loro gli autori, tutti gli indizi e le prove portano a gruppi di hacker russi legati al governo. Con lo scoppio della crisi ucraina, sono occorsi più di 100 incidenti militari fra la Nato e la Russia, 66 solo nel primo anno di crisi (dal marzo del 2014 al marzo successivo), la stragrande maggioranza dei quali è avvenuta proprio nel Baltico. L’episodio più grave è del settembre 2014, quando unità dell’FSB russo (il discendente diretto del KGB) hanno rapito l’agente di polizia estone Eston Kohver, per poi farlo processare in Russia e condannare a 15 anni di carcere per spionaggio.
Il processo, avvenuto a porte chiuse, non è stato equo e il rapimento di Kohver è avvenuto in territorio estone. Solo pochi mesi dopo si è capito il perché di quell’operazione: l’agente estone è stato scambiato con Aleksei Dressen, altro poliziotto estone arrestato per spionaggio (a favore della Russia, in questo caso) su un ponte sul fiume Piusa. Gli incidenti più numerosi sono comunque quelli aerei. Le violazioni dello spazio aereo dei paesi Nato sono rare (e sono casi puntualmente denunciati da Bruxelles), ma quel che preoccupa è la modalità dei voli d’esercitazione dei bombardieri russi: nessuna comunicazione preliminare, transponder spenti (con gran rischio per gli aerei civili, come dimostra la quasi-collisione con un volo di linea svedese il 12 dicembre 2014) e manovre estremamente aggressive, che simulano azioni di bombardamento anche nucleare su obiettivi Nato e neutrali.
L’isola danese di Bornholm, ad esempio, è stata oggetto di uno di questi attacchi simulati, proprio mentre era in corso, sul suo territorio, un’edizione del festival della politica. I vertici del paese scandinavo avrebbero potuto essere uccisi tutti in un colpo solo, se fosse stata un’azione di guerra reale.
Da un punto di vista politico, nel 2015 la Duma russa ha “revocato” il diritto di Estonia, Lettonia e Lituania a secedere dall’Urss. Si tratta di una legge priva di ogni fondamento giuridico, che negherebbe l’indipendenza della stessa Russia, ma è stata approvata e regolarmente depositata in attesa di firma presidenziale, come fosse un monito: “possiamo riprendervi quando vogliamo”, è il chiaro messaggio. La mossa più grave, anche da un punto di vista strategico, è però di questo mese, l’8 ottobre: l’annuncio dello schieramento di missili Iskander russi nella exclave di Kaliningrad.
Anche questa è una mossa che la Russia vende al pubblico come “reazione” alla prevista installazione di una base anti-missile della Nato in Polonia (che avverrà per il 2018, salvo ritardi) e l’avvenuta attivazione di un’analoga base in Romania, alla fine dell’anno scorso. Ma le basi Nato sono, a mala pena, sufficienti a coprire l’Europa da eventuali attacchi missilistici provenienti dal Medio Oriente. Non sono intesi come una difesa dai missili russi, per intercettare i quali occorrerebbe ben altro (solo un sistema basato in orbita, che non esiste neppure sulla carta, sarebbe in grado di intercettare efficacemente un lancio di missili dalla Russia). Al contrario, gli Iskander russi possono, già da subito, porre sotto tiro l’intero territorio delle repubbliche baltiche, l’intero territorio polacco e parte di Finlandia e Svezia.
Mosca, così come la stampa a lei favorevole, ha sempre individuato nella cosiddetta “espansione” della Nato ai paesi baltici il peccato originale della crisi. Non solo: l’adesione (votata democraticamente) dei tre paesi ex sovietici all’Alleanza viene descritta come fosse una sorta di occupazione militare americana volta a minacciare da vicino i centri nevralgici della Russia (Mosca e soprattutto San Pietroburgo). Ma questa tesi non regge di fronte all’aggressività della Russia anche nei confronti dei paesi tuttora neutrali della stessa regione: Finlandia e Svezia. La manifestazione di ostilità più impressionante si è avuta nelle manovre Ladoga 2009, nei confronti della Finlandia.
In quell’occasione, i russi hanno simulato un’invasione del Paese neutrale, nell’ambito di operazioni militari contro i Paesi baltici. In quella stessa occasione, nel corso delle manovre in Bielorussia, l’aviazione russa ha anche simulato un attacco nucleare sulla Polonia. Nelle manovre Zapad 2013, la Finlandia è stata oggetto di una delle esercitazioni più grandi mai condotte da Mosca dopo la fine della Guerra Fredda. Nell’ambito della riforma dell’esercito russo, avviata cinque anni fa, al confine finlandese sono stati posizionati depositi in grado di equipaggiare 6 brigate rapidamente mobilitabili, più 2 nuove brigate specializzate nel combattimento artico.
La Finlandia guarda al vicino russo con crescente preoccupazione e la sua lenta marcia di avvicinamento alla NATO e alla Svezia non è affatto una novità di quest’anno, anche se la crisi militare in Ucraina ha contribuito ad accelerarla. Quanto alla Svezia, è stata particolarmente inquietante un’esercitazione aerea del marzo 2013, quando bombardieri della marina russa Tu-22M3 Backfire, hanno simulato un attacco notturno su Stoccolma e altri bersagli della Svezia meridionale. I Backfire possono anche portare missili a testata nucleare ed è questo dettaglio che ha particolarmente impressionato l’opinione pubblica svedese.
Non è per provocare una reazione russa, dunque, che Svezia e Finlandia, da neutrali che sono, si stanno gradualmente avvicinando alla Nato. La Svezia, da questo autunno, ha iniziato anche a rafforzare la sua isola più esposta, quella di Gotland, in mezzo al Baltico, a causa di un rapporto segreto di intelligence sulla minaccia russa che ha, a quanto pare, allarmato anche il governo più pacifista d’Europa.
Dunque non è per paranoia, o per la memoria del tragico passato sovietico, che i paesi baltici, oltre che le neutrali Svezia e Finlandia, si sono mosse in ambito Nato. Che poi l’Italia debba partecipare o meno alla protezione del fianco orientale è un altro paio di maniche. Si tratta di una decisione politica e il governo Renzi potrebbe anche pensare che il fianco orientale non sia una crisi che interessa il nostro paese, esposto ad altre minacce di altra natura sul fianco Sud. Tuttavia, finché l’Italia è un membro della Nato, deve condividere gli oneri (partecipazione a missioni congiunte) oltre che gli onori. E, almeno finora, nessun governo italiano ha mai pensato seriamente di uscire dall’Alleanza.