Agenzia Stampa Italia 2 Luglio 2020
di Giuliano Mignini
L’argomento merita un particolare approfondimento sotto molteplici profili (autonomia e separatismi, problema del postconcilio, rapporti tra le diverse anime del cattolicesimo, genesi del più antico partito democristiano, quello nazionalista basco e rapporti tra il carlismo basco e il movimento nazionalista di Sabino Arana y Goiri) perché, normalmente, quando si parla di “Baschi”, ci si riferisce ad una parte, più o meno, alla metà di questo popolo, che, dopo molte esitazioni (questo non lo si ammette), ritenne di doversi schierare con la Repubblica contro la cospirazione “militare – carlista” e falangista che aveva il suo epicentro “direttivo” a Pamplona, in Navarra, nel quartier generale del governatore militare Emilio Mola Vidal che operava altresì con l’appoggio entusiastico di circa diecimila Requetés navarresi, i paramilitari carlisti dal caratteristico basco rosso e della stragrande maggioranza delle popolazioni di Navarra e Álava.
I Requetés navarresi erano baschi quanto e più degli altri. Le forze militari della Navarra erano inquadrate nella VI divisione organica di Burgos.
Ma non è solo questo l’equivoco e la lettura deformata e deformante degli avvenimenti del 1936. Sempre prendendo la “parte” per il tutto, cioè i Baschi “atlantici” della Vizcaya e, in minor misura, della Guipuzcoa, dai caratteristici baschi verdi o neri, questa volta ed enfatizzando il loro cattolicesimo, di stampo “democristiano”, certi intellettuali francesi, esperti dal punto di vista teologico ma singolarmente sprovveduti dal pungo di vista storico e politico, come Jacques Maritain, cercavano di negare l’aperta azione anticattolica delle formazioni comuniste ed anarchiche e la persecuzione della Chiesa nella zona repubblicana, invocando, in sostanza, l’esiguo e strumentale cattolicesimo dei nazionalisti baschi, come se questo potesse controbilanciare l’appoggio unanime della Chiesa all’Alzamiento nacional e, soprattutto, il profondo e onnipervadente cattolicesimo (tradizionalista) dell’Esercito e soprattutto della Comunion Tradicionalista cioè dei carlisti.
Dopo la guerra civile, il nazionalismo basco scivolo’ in un’incredibile deriva rivoluzionaria, sfociando nel separatismo e poi nel terrorismo dell’ETA (Euzkadi ta Askatasuna, cioè Patria basca e libertà), giungendo addirittura quasi a rinnegare il tradizionale retaggio cattolico.
La Navarra invece è rimasta sostanzialmente estranea a questa deriva tanto che, mentre le tre province basche di Vizcaya, Guipúzcoa e anche Álava formano la Comunidad Autónoma de Euzkadi, la Navarra costituisce la Comunidad Foral de Navarra e resiste tenacemente e risolutamente a tutti i tentativi della prima di inglobarla.
Prima di affrontare l’argomento della guerra civile, sono indispensabili alcune brevi considerazioni sui baschi e sulle loro origini e storia
Il basco (detto euskera in basco) è un concetto etnolinguistico che caratterizza una certa area della Spagna (e della Francia) e che si collega alle popolazioni cromagnonoidi, all’origine dei gruppi umani che popolarono l’Europa grosso modo attorno al 30.000 a. C. Sotto il profilo linguistico, l’euskera è una lingua preindoeuropea e rappresenta il più antico sostrato delle lingue che precedettero l’espansione e l’affermazione delle lingue indoeuropee. I baschi sono una sorta di relitto preistorico, un fossile sia dal punto di vista etnico che linguistico.
Mentre la Navarra si costituì in Regno che è un po’ all’origine anche degli altri Regni spagnoli e rimase per molti secoli indipendente, gli altri territori baschi, dopo un periodo iniziale in cui furono incorporati dalla Navarra, se ne staccarono e furono assoggettati per lo più dalla Castiglia.
Se si esamina la bandiera del Regno di Spagna, si noterà, su campo giallorosso, uno scudo racchiudente altri quattro scudi e in fondo, in basso, un melograno. Lo scudo in alto a sinistra presenta un castello che esprime il Regno di Castiglia. Quello in alto a destra, con l’effigie di un leone, rappresenta il Regno del León, in basso a sinistra, a strisce giallorosse, è lo scudo del Regno di Aragona, mentre quello in basso a destra, con una catena gialla in campo rosso, è lo scudo del Regno di Navarra. Il melograno, in fondo, sotto tutti gli altri, è il Regno di Granada, l’ultima ridotta islamica rimasta dopo la vittoriosa Crociata iberica dei quattro Regni cristiani del Nord chiamata Reconquista.
Nella vittoria sui Mori, un ruolo decisivo lo giocarono proprio i Navarri di Sancho VII che, alla battaglia fondamentale di Las Navas de Tolosa, di martedi’ 17 luglio 1212, con un’audace manovra aggirante, riuscirono a penetrare nei pressi della tenda che ospitava il califfo Al Nasir che, vestito di verde, fece appena in tempo a darsela alla fuga, abbandonando i suoi uomini. Robuste catene proteggevano quella tenda e tenevano fermi gli uomini della “guardia negra” del califfo ma le catene furono spezzate dalla furia dei navarri e ora esse ornano lo scudo di Navarra insieme ad un’altra preda bellica, uno smeraldo verde, posto al centro, in ricordo di quello che il califfo portava sul turbante e che, nella fretta di fuggire, lascio’ ai navarri di Santxo (o Sancho) VII.
I simboli della bandiera spagnola indicano anche, con estrema chiarezza, quello che fu il fine dei quattro regni cristiani del nord e che costituisce anche il fine particolare della Spagna (o, meglio, delle Spagne), la sua missione storica e cioè proprio la Reconquista e l’affermazione di un cristianesimo cavalleresco e combattivo.
Il momento centrale e unificante della storia della Navarra e delle altre terre basche fu il Carlismo il cui elemento scatenante fu una disputa dinastica scoppiata nel 1833, alla morte senza eredi maschi del Re Ferdinando VII.
In ossequio alla riforma della legge successoria, era stata incoronata l’infanta Isabella che avrebbe governato attraverso la reggenza della madre Maria Cristina di Borbone Due Sicilie. Il fratello del Re, il principe Don Carlos Maria Isidro, ritenendo valido il precedente sistema successorio, rivendicò la corona di Spagna e considerò illegittima la decisione del fratello.
Dal 1833 e sino al 1876, i carlisti scatenarono tre guerre civili contro la monarchia liberale, rivoluzionaria e centralistica di Madrid, guerre che li videro sempre soccombenti. Poi, col progredire del processo rivoluzionario verso il radicalismo, l’anarchismo e il social comunismo, i carlisti, organizzati nella Comunión Tradicionalista, si prepararono all’insurrezione armata contro la Repubblica anticattolica che prese il posto della monarchia liberale.
Il Carlismo come reazione cattolica e controrivoluzionaria
Vi è nella storia un movimento di adesione al messaggio evangelico non solo degli uomini singolarmente presi ma anche della società. Questa risposta positiva ha portato alla nascita della civiltà occidentale col suo caratteristico connubio di annuncio del Vangelo di Cristo, diritto romano, filosofia greca e retaggio “eroico” del mondo germanico. Era un mondo perfettibile come tutte le cose umane purché fosse rimasto fedele alle sue origini. Finché ciò è accaduto, l’Europa e le sue propaggini nel resto del mondo sono rimaste unite ma, ad un certo punto della storia, ha preso il sopravvento uno spirito di divisione e di confusione, una tendenza di “aversio a Deo et conversio ad creaturas”. Questa tendenza è un male ingravescente, un processo in cui questo fenomeno si è via via aggravato percorrendo un iter con una scansione in tappe di sovvertimento.
Dalla rottura dell’unità religiosa, provocata dalla riforma protestante, si è passati alla rivoluzione francese con l’espulsione di ogni riferimento a Dio nella società civile e politica. E poi, al socialcomunismo e poi all’ultima fase, quella che stiamo vivendo, quella della “rivoluzione” “in interiore homine”.
Quando si produssero gli aspetti più gravi e pericolosi del fenomeno rivoluzionario “giacobino”, cioè il “Terrore”, iniziò la reazione del popolo della Vandea e dell’ovest francese, sotto il segno del Sacro Cuore, della devozione mariana e dei frutti della predicazione di San Luigi Maria Grignion de Montfort. Il fenomeno raggiunse anche l’Italia e anche le nostre campagne del Trasimeno, di Castel Rigone e Città di Castello e, più tardi, Arezzo e la Toscana, con i “viva Maria”.
Un secolo dopo, come reazione alla pressione liberale e accentratrice della Corona di Madrid e alla recezione del modello illuministico che gli ambienti “infrancesati” volevano imporre alla Spagna e sfruttando l’occasione della disputa dinastica, si affermò il Carlismo il cui programma si può sintetizzare in queste quattro parole : “Dios, Patria, Fueros, Rey”.
Dio e la Sua Chiesa cattolica sono alla base di tutta la visione del mondo carlista e i membri della Comunion tradicionalista sono impegnati nell’attiva difesa della Chiesa nella società.
La Patria come comunità di destino delle Spagne. Nessun nazionalismo e nessun centralismo. Il contesto culturale carlista è medioevale, non assolutista.
Fueros. Sono le consuetudini delle comunità locali formatesi nel corso dei secoli a cui il Re, sotto la quercia di Gernika, riconosceva la sua protezione e la sanzione contro il comportamento “contrafuero”. Re, che era tale se asceso al trono secondo la legittimita’ forale, era il “difensore del povero” e il “custode della giustizia”. Esercitava un potere di governo limitato dal deposito della fede, dai consigli e dai corpi intermedi (si veda la voce “Carlismo” in wikipedia, “Dios, Patria, Fueros e Rey”).
Il Carlismo non era un fenomeno esclusivamente basco – navarro ma era esteso a tutta la Spagna. È innegabile però che le sue terre d’elezione fossero proprio la Navarra e le Province basche oltre alla Catalogna, cioè le aree della Spagna che oggi presentano i più forti sentimenti autonomistici.
Il Partito Nazionalista basco.
Sabino Arana Goiri, proveniente da una ricca famiglia carlista, costitui nel 1894 il Partito Nazionalista basco o PNV (Eusko Alderdi Jeltzalea). Si trattava e si tratta di un partito democristiano conservatore, il più antico della storia ma con una forte venatura razzista contro i “maketos” castigliani e comunque non baschi.
Il PNV era una sorta di derivazione e deviazione del carlismo: anche il PNV aveva il suo motto religioso e “tradizionalista” che si rende in basco col termine “Jaungoikoa Eta Lagi – Zara” cioè “Dio e la vecchia legge”, in altri termini i “fueros”. Due dei quattro termini del programma carlista c’erano nel PNV ma solo quelli. Mancavano e mancano la “Patria” e il “Rey”.
In altri termini, che il PNV sia “figlio” del Carlismo è innegabile ma è altrettanto vero che la sua fisionomia, sin dall’inizio, lo avrebbe distanziato con forza progressiva dalla matrice carlista fino ad arrivare allo scontro armato che sarebbe esploso nel 1936.
Fino all’avvento della Repubblica, i due movimenti avrebbero comunque convissuto con alterne vicende nel Paese basco e Navarra e anzi avrebbero poi collaborato a livello elettorale tanto che nelle elezioni successive alla proclamazione della Repubblica, nel 1931, il futuro Lehendakari (capo del governo basco) Aguirre, che avrebbe durante la guerra civile, governato l’Euzkadi, fu eletto deputato alle Cortes, col voto determinante dei carlisti navarresi.
La guerra civile del 1936 – 1939
La situazione della Spagna, almeno dall’avvento della Repubblica in poi, era caratterizzata da un’estrema conflittivita’ e soprattutto da una una crescente violenza contro le espressioni del cattolicesimo in Spagna soprattutto da parte delle formazioni anarchiche e anche da parte di quelle più o meno legate ai comunisti, sia a quelli staliniani che trotskisti.
Dal 16 febbraio al 17 giugno 1936 la violenza politica provocò 269 morti, 1287 feriti, 160 chiese distrutte e 251 saccheggiate (si veda Arrigo Petacco nell’opera “Viva la muerte ! Mito e realtà della guerra civile spagnola”, le Scie Mondadori, 2006, p. 16). Questo dà un quadro del precipitare della Spagna verso la guerra civile. E gli attacchi alle chiese e agli uomini di Chiesa erano triste ed esclusivo retaggio delle formazioni anarchiche e, in misura più contenuta, per la maggiore disciplina, di quelle social comuniste. Se questa era la situazione a un mese dall’Alzamiento, pensiamo a quale fosse nell’imminenza di quel 17 – 18 luglio 1936, dopo la sequenza di omicidi che culmino’ con l’assassinio del deputato monarchico Calvo Sotelo il 14 luglio.
Tra il 18 luglio 1936 e il primo aprile 1939 i repubblicani distrussero il 70 % delle chiese, uccisero quasi diecimila persone tra cui 13 vescovi, 4.184 sscerdoti e seminaristi, 2.365 religiosi e 283 religiose (vedi “Archivio generale Suore Cappuccine di Madre Rubatto. La persecuzione dei religiosi nella guerra civile spagnola”. https://wew.archiviomrubatto.it )
Tutto spingeva verso un violento scontro tra una parte delle Forze Armate e in particolare dell’Esercito guidata dal generale José Sanjurjo, navarrese e carlista, che stava per tornare dall’esilio di Lisbona dopo il fallito golpe del 1932 per unirsi al generale di brigata Emilio Mola Vidal, “el Director” che coordinava l’azione dal suo quartier generale di Pamplona, la ” Iruña” basca, con l’appoggio dei leggendari Requetés, dalla caratteristica “boina roja”.
La cospirazione si svolse con la copertura della festa di San Fermín che si svolge tutti gli anni a Pamplona dal 7 al 14 luglio e che quell’anno termino’ cosi’ tre giorni prima della data scelta per il colpo di stato.
A proposito dei Requetés, dirà Arrigo Petacco nell’opera “Viva la muerte ! Mito e realtà della guerra civile spagnola 1936 – 39”, che : “I Requetés offriranno agli insorti il più combativo e spietato corpo volontario della futura guerra civile” (si veda l’ opera citata, ed. Le scie. Mondadori, 2006, p. 28).
Allo scoppio della sollevazione, mentre la Navarra e l’altra provincia basca di Álava si schierarono essenzialmente in difesa della Chiesa e dell’ordine sociale e, quindi, con gli insorti, le altre due province basche, cioè la Vizcaya e la Guipúzcoa, pure con forti esitazioni e non del tutto convinte, fecero una scelta strumentale e non in sintonia con il loro cattolicesimo. Scelsero la Repubblica sperando che questa avrebbe loro garantito l’autonomia. Combatterono cosi’ contro l’Alzamiento e in favore della Repubblica che non mostrò mai piena fiducia in loro perché considerava i baschi una enclave “vaticanista” in Spagna. Furono una specie di corpo estraneo all’interno della Repubblica e crollarono, la Guipúzcoa nei primissimi mesi e la Vizcaya un anno dopo l’Alzamiento. È la solita storia del piatto di lenticchie a causa del quale Esau’ cedette la sua primogenitura.
E così i cattolicissimi e “tradizionali” baschi di Vizcaya e di Guipúzcoa preferirono un’alleanza strumentale con la Repubblica per ottenere l’autonomia e combattere contro i baschi di Navarra e di Álava”, della loro stessa stirpe e del loro stesso patrimonio di fede cattolica.
È un paradosso che colpì all’epoca e colpisce ancora oggi.
L’anomalia della scelta di questi baschi fu colta immediatamente proprio dai Vescovi delle due capitali delle province basche insorte contro la Repubblica. Il 6 agosto 1936 venne diffusa la pastorale con cui i Vescovi di Pamplona e di Vitoria (Gasteiz in basco) condannarono la posizione assunta dal PNV.
Nel frattempo però era morto in un incidente aereo proprio il generale Sanjurjo, il 20 luglio. Quando, l’anno dopo, il 3 giugno 1937, un analogo incidente provocò la morte anche del generale Mola, i carlisti non ebbero più appoggi diretti nell’alta gerarchia militare e questo spianò la strada al generale Franco che solo all’ultimo si era unito alla sollevazione.
Nel frattempo, il 20 novembre 1936, nella prigione di Alicante, Jose’ Antonio Primo de Rivera, marchese di Estella e Grande di Spagna, fondatore della Falange, il movimento che si ispirava al Fascismo italiano, fu fucilato dai repubblicani insieme a due falangisti e a due requetés carlisti.
Il 19 marzo 1937 il Pontefice Pio XI emano’ l’Enciclica “Divini Redemptoris” contro il comunismo ateo, nella quale denunciava gli orrori del comunismo in terra di Spagna. Il 19 aprile 1937 Franco emano’ il Decreto di unificazione. I carlisti e i falangisti vennero unificati nel partito unico franchista, il Movimiento nacional e dovettero indossare il basco rosso carlista e la “camisa azul” falangista.
Questa unione coatta di due forze che combattevano insieme ma erano profondamente diverse avrebbe alla lunga inaridito gli uni e gli altri in una struttura burocratica soffocante.
Eppure i carlisti e anche i falangisti continuarono a combattere. Ai carlisti soprattutto interessava immolarsi in quell’ultima crociata.
Il 13 settembre 1936 le truppe nazionali erano entrate subito a San Sebastián e liberato la Guipúzcoa, dopo solo due mesi dall’Alzamiento. Rimaneva la Vizcaya. Il 12 giugno 1937 la I e la IV Brigadas de Navarra, appoggiate dalle truppe fasciste italiane e dall’aviazione italo tedesca, sfondarono la fortificazione che proteggeva Bilbao, il “cinturon de hierro” e il 19 entrarono nella città. Il primo luglio 1937 i vescovi spagnoli sottoscrissero una lettera collettiva ai vescovi di tutto il mondo in cui presero ufficialmente posizione in favore dell’Alzamiento e degli insorti.
Intanto, i resti dell’Eusko Gudarostea, l’esercito nazionalista basco, si ritirarono verso Santander dove i dirigenti del PNV si rivolsero al Vaticano per trovare un accordo col governo italiano. I baschi del PNV intendevano ora sganciarsi dall’alleanza con la Repubblica spagnola ed erano addirittura disposti a concedere al Re d’Italia la corona di Euzkadi. Coinvolto nell’iniziativa era ovviamente il futuro Papa, Pio XII (si veda Arrigo Petacco, op. cit., pp.154 – 155). Ma i servizi segreti della Repubblica spagnola intercettarono la corrispondenza tra il cardinale Pacelli e i dirigenti baschi.
Mentre infuriava la battaglia per Santander, i dirigenti del PNV, il 22 agosto 1937, offrirono al CTV, il Corpo Truppe Volontarie, inviato in Spagna da Mussolini, la resa delle truppe basche concentrate nei pressi di Santander.
I baschi si arresero così ai fascisti italiani del generale Bastico il giorno prima della presa di Santander, il 26 agosto. Il 27 le truppe navarresi e italiane entrarono in Santander. Franco, informato dell’accordo tra i fascisti e i nazionalisti baschi, ebbe un violento scontro col generale Bastico ma non pote’ impedire che 11.000 prigionieri baschi venissero liberati. Grazie alla protezione italiana e al colonnello Gastone Gambara, capo di Stato maggiore del CTV e futuro capo di Stato maggiore dell’Esercito della Repubblica di Salò, solo 57 finirono davanti ai plotoni di esecuzione (si veda, Arrigo Petacco, op. cit., pp. 157 – 160). Ed è facile immaginare che quei plotoni d’esecuzione fossero formati da reparti delle Brigadas de Navarra.
La guerra civile basca, all’interno della più vasta guerra civile, era così finita.
Le Brigate di Navarra, riunite ora nel Cuerpo de Armada de Navarra, uno dei quattro grandi Corpi d’Armata costituiti nella fase finale della guerra, dovettero attendere e continuare a combattere e a coprirsi di gloria fino al 28 marzo 1939 quando i “nazionali” entrarono in Madrid. La guerra era finita.
I carlisti avevano vinto la guerra e avevano dato un contributo impareggiabile al trionfo dei “nazionali”. Pochi vantaggi in cambio: un contenuto regime forale per le due province leali, la Navarra e Àlava e il ministero della Giustizia e quindi il sistema giudiziario spagnolo
La Vizcaya e la Guipúzcoa furono punite perché considerate province traditrici della causa nazionale e in particolare della Chiesa cattolica. Persero ogni parvenza di autonomia, proprio quella per cui erano scese in campo a favore della Repubblica, per poi pentirsene amaramente, dissociandosi clamorosamente dai combattenti asturiani davanti a Santander e a Santoña e chiedendo la pace separata ai più disponibili (rispetto a Franco e agli stessi carlisti) fascisti italiani. Fu un “ritorno all’ovile” tardivo che non evito’ la rappresaglia di Franco ma certamente la contenne.
Il 16 aprile 1939, il nuovo Papa Pio XII che aveva cercato di proteggere i baschi filorepubblicani inviava agli spagnoli un radiomessaggio di felicitazione per la vittoria dei nazionali che iniziava con le parole :”Con immensa gioia.. ” (da www.vatican.va > documents >).