3 Dicembre 2022
Dire il contrario è una bugia per giustificare una volta in più l’aborto. Lo spiega Carlo Bellieni, eccellenza italiana della neonatologia
di Andrea Bartelloni
Il bambino nel grembo materno percepisce il dolore? Come e da quando? Recentemente è tornato a porsi la domanda il quotidiano economico Il Sole-24Ore (23 ottobre 2022), riflettendo sulla vita intrauterina vista dalla parte del bambino che sta crescendo e che, specialmente dopo la metà del periodo gestatorio, diventa un soggetto attivo. Carlo Bellieni, pediatra e neonatologo nell’Università di Siena, tra i maggiori esperti mondiali proprio del dolore prenatale, ha risposto a domande importanti sul tema.
C’è un momento a partire dal quale si può dire con certezza che il feto percepisca sensazioni di tipo doloroso, qualora sia stimolato in tal senso? Esiste una prova di questo?
Esistono studi effettuati su feti nati molto precocemente che mostrano la presenza di reazioni. Ma anche sui feti ancora non nati si è constatata la percezione del dolore, e non solo di quello: anche la capacità di recepire suoni, odori, sapori compare dopo la metà della gravidanza. Una gravidanza umana dura di norma 40 settimane. È nelle settimane 20-22 che inizia la capacità di percepire dolore.
I primi a osservare il fenomeno sono stati degli specialisti, John Fisk e Vivette Glover, operanti in un gruppo di lavoro dell’Imperial College di Londra: constatarono come, durante delle trasfusioni effettuate in utero, il feto mostrava reazioni. Una iniezione praticata attorno alla 20a settimana della sua vita intrauterina provoca nel feto un aumento degli ormoni dello stress.
Fisk e la Glover hanno anche provato a somministrare anestetici (morfina) al feto prima di praticare l’iniezione osservando in questo caso che gli ormoni non si muovevano. La reazione osservata era pertanto una reazione di dolore. Per questo si è riusciti a effettuare interventi chirurgici sul feto somministrando anestetici e analgesici antidolore. E non tanto per motivi etici o religiosi, ma perché è buona norma della medicina usare l’anestetico.
Gli avvocati dello Stato nordamericano del Mississipi hanno chiesto l’intervento della Corte Suprema federale perché il feto, dopo le 12 settimane di vita intrauterina, è in grado di provare dolore.
Questo fatto non è ancora completamente documentato. È difficile parlare di dolore prima delle 20 settimana di vita del bimbo perché non ha ancora sviluppato completamente il talamo, ovvero la struttura che si trova alla base del cervello, e che serve proprio per percepire e per organizzare il dolore. Per percepire il dolore, tuttavia, non serve avere una corteccia cerebrale ben sviluppata, e questo per tre motivi.
Primo, anche i bambini nati anencefali percepiscono comunque le sensazioni dolorose. Secondo, le sensazioni dolorose vengono percepite anche da bambini che manifestino danni cerebrali gravi alla corteccia. Terzo, la corteccia è una struttura che si forma un po’ alla volta. Inizia a formarsi prima della ventiquattresima settimana e continuerà a formarsi per tutto il resto della gravidanza, e persino dopo.
Purtroppo, qualcuno continua erroneamente ad affermare che i neonati non provino dolore perché non hanno ancora sviluppato la corteccia cerebrale. Così può darsi che non ricevano gli analgesici dovuti, il che è inaccettabile. Negli anni 1990 si praticavano spesso interventi chirurgici sui neonati senza l’anestesia doverosa e dovuta.
La letteratura scientifica registra i casi frequenti di anestesisti per i quali la mancanza di una corteccia cerebrale sviluppata avrebbe impedito la percezione del dolore, così che ai neonati veniva somministrato solo il curaro affinché stessero fermi prima e durante l’intervento. Uno dei più importanti studiosi del dolore infantile, Sunny Anand, ha documentato i gravi danni cerebrali causati in questo modo ai bambini che sono stati operati senza anestesia. Il dolore provoca infatti sbalzi di pressione arteriosa e stimola la produzione di sostanze tossiche che causano danni al cervello.
Il feto ricorda quanto avviene intorno a lui?
Certo che esiste una memoria del feto. Avviene sempre nella seconda metà della sua vita intrauterina, quando le strutture deputate alla recezione degli stimoli esterni si sono sviluppate e il feto può registrarli, portandone memoria dopo la nascita. È noto che i gusti alimentari di una persona si formino prima della nascita, a seconda dei cibi che la mamma assume, passandoli al piccolo nel proprio grembo attraverso il liquido amniotico che il bimbo succhia avidamente. Così ci si abitua a determinati sapori, buoni o cattivi che siano. Cattivi, se per esempio la mamma è una fumatrice. Il bambino ricorderà questi dati come ricorderà la voce della mamma.
Insistere sulla percezione o meno del dolore da parte del feto ha implicazioni importanti in un Paese federale, come gli Stati Uniti, dove in alcuni casi è possibile abortire fino al momento del parto naturale…
È chiaro che sopprimere una vita che non prova dolore è percepito come meno sgradevole del contrario; quindi, c’è chi non ama sottolineare la capacità del bimbo nel ventre materno di percepire il dolore. La legge statunitense stabilisce che anche la pena di morte deve essere somministrata evitando di generare sofferenza nel condannato. Una consolazione magra, certo. E però il bimbo dentro la propria mamma il dolore lo percepisce eccome. In quale modo, non lo si sa ancora con precisione: sarà forse una sensazione diversa da quella di un adulto nato, ma è sempre dolore
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