Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân
sulla Dottrina sociale della Chiesa
Newsletter n.1130 del 2 Dicembre 2020
di Stefano Fontana
Molti si interrogano se ci sia continuità tra la Dottrina sociale della Chiesa insegnata da papa Francesco e quella insegnata fino a Benedetto XVI. La Laudato si’ e la Fratelli tutti (ma anche l’esortazione Evangelii Gaudium) sono in linea con la Centesimus annus e la Caritas in veritate?
La tendenza prevalente nei commentatori è di pensarle in continuità, sia perché spiace dover constatare che quanto i papi dicevano ieri oggi venga detto in modo diverso o addirittura negato, sia perché il criterio della “riforma nella continuità”, suggerito da Benedetto XVI nel 2005, viene adoperato spesso in modo largo.
Così si sostiene che le eventuali discontinuità sono di ordine pastorale e non dottrinale e che come tali non impegnano l’autorità magisteriale del papa. Spesso però questa via altro non è che una scappatoia per aggirare il problema, dato che oggi i principali cambianti dottrinali avvengono proprio per via pastorale.
Pur se la questione che sto ponendo è ampia e richiederebbe uno spazio ben maggiore di un articolo, vorrei proporre, in modo estremamente sintetico, alcuni elementi nei quali la continuità non sembra essere molto presente. Essi riguardano sia elementi di contenuto che di metodo.
La Dottrina sociale della Chiesa è “annuncio di Cristo nelle realtà temporali” e “strumento di evangelizzazione”. Queste due caratteristiche essenziali non sembrano assumere nei documenti sociali di papa Francesco il posto che avevano in precedenza. Lo spazio è ora riservato più all’umanità, alla fratellanza esistenziale, alla categoria di popolo, al dialogo inter-culturale e inter-religioso, alla collaborazione con tutti … più che all’annuncio di Cristo.
In secondo luogo l’approccio non è più, nemmeno alla lontana, di ordine metafisico, ma esistenziale e storico. Molto scarsi i riferimenti ad un ordine naturale, al diritto naturale, all’essenza dell’uomo, alle finalità inscritte nella natura umana e perfino ai concetti di natura e di sopra-natura. L’accento è posto più sul camminare insieme lungo le strade della vita piuttosto che lavorare dentro un ordine del reale per i suo ordinamento in base a retta ragione e vera religione.
Questo impianto di tipo storico più che naturale spinge poi a concentrarsi sul nuovo, sul tempo, sul coraggio di cambiare, sul rischio, sull’andare avanti, sul sogno, sulla speranza esistenzialmente intesa, sulla sperimentazione di nuovi percorsi, sull’avvio di processi inediti. Ciò comporta un notevole avventurismo delle proposte che talvolta esulano dal contesto della Dottrina sociale della Chiesa e anche dal compito del magistero petrino e assumono la veste di opinioni nel pubblico dibattito.
Sta cambiando non solo l’insegnamento sociale del papa ma anche il ruolo del papa nell’insegnamento sociale. Accade così che alcuni principi della Dottrina sociale della Chesa vengano deformati. L’enciclica Fratelli tutti propone visioni del principio di sussidiarietà e di quello del diritto naturale alla proprietà privata molto discutibili, se valutati alla luce della tradizionale Dottrina sociale della Chiesa.
Ciò vale per lo stesso concetto di “fratellanza”. Del resto, una volta abbandonato il concetto metafisico di “natura”, è logico che il diritto “naturale” alla proprietà privata venga inteso in modo diverso, come pure la fraternità non più fondata sulla comune “natura” degli uomini. Il nuovo approccio di tipo esistenziale e storico induce a calarsi dentro i meandri delle scienze umane, delle letture empiriche dei fenomeni sociali, prendendo qualche granchio o accogliendo acriticamente posizioni ideologiche. Il rischio è di farsi prendere dal naturalismo.
Nelle encicliche di papa Francesco l’elenco di simili situazioni potrebbe essere molto lungo. Possiamo qui ricordarne almeno due. La prima è il caricamento in una enciclica sociale di dati contestabilissimi a proposito del riscaldamento globale antropico, come avvenuto nella Laudato si’. Il secondo è una lettura politicamente corretta e molto “governativa” della pandemia da Covid-19.
Il valore magisteriale di queste osservazioni è nullo, però questo modo di fare non è casuale, ma indica un diverso approccio alle problematiche sociali in discontinuità col passato e “impasta” in modo nuovo tutta la comunicazione sociale pontificia. Uno degli effetti è che diventa impossibile distinguere l’essenziale dal marginale.
Con papa Francesco, come è logico attendersi dalle osservazioni precedenti, cambia anche il linguaggio adoperato. Le parole sono nuove, prese spesso a prestito dai giornali o dai commentatori politici. Si tratta di parole-immagini che, incerte concettualmente, assumono un valore vagamente evocativo, come per esempio “muro” o “scarto”. Esse sono anche ambigue, come è il caso della parola “popolo”, oppure le parole “populismo” e “liberalismo” nel quinto capitolo della Fratelli tutti.
Come scrivevo all’inizio, si tratta di tematiche molto ampie che richiedono approfondimenti ben oltre questi appunti.
Tre aspetti, in ogni caso, non vanno trascurati: il cambiamento c’è; tale cambiamento non può essere liquidato usando in modo approssimativo e liberatorio il criterio della “riforma nella continuità”; è un cambiamento né casuale né accidentale, ma connesso con la nuova prospettiva teologica che vorrebbe imporsi in tutta la Chiesa.