Alleanza Cattolica 24 Gennaio 2021
Un anniversario su cui riflettere, senza complessi d’inferiorità
di Vincenzo Pitotti
Il 21 gennaio 1921 è una data da ricordare, perché quel lontano giorno, in seguito alla scissione verificatasi durante il XVII° congresso del Partito Socialista Italiano a Livorno, venne fondato il Partito Comunista d’Italia poi Partito Comunista Italiano.
Per ricordare i cento anni di quell’evento e i fatti storici che riguardano il comunismo italiano, sono stati pubblicati nei mesi scorsi libri, articoli e saggi, caratterizzati da giudizi positivi e da toni retorici, nonché documentari televisivi che hanno fatto rivedere immagini ormai non più nitide di cortei, comizi e affollate manifestazioni del PCI, con le immancabili bandiere rosse e i pugni alzati dei manifestanti, gli scioperi generali, le occupazioni di fabbriche e università.
Ma al di là della retorica e dell’enfasi con la quale ancora oggi si riparla di quegli eventi, occorre spiegare ai giovani, che probabilmente ignorano questa storia, che su di essa c’è molto da capire e nulla da festeggiare, perché fin dai suoi primordi il Partito Comunista Italiano si legò a doppio filo con il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, di quello che fu l’impero socialcomunista, il più grande impero ideocratico della storia, durato oltre settant’anni.
Ma chi ricorda oggi ciò che realmente fu l’URSS? Non un paradiso in terra, come la propaganda marxista per molto tempo ha sempre cercato di far credere, ma un enorme Stato-partito fondato, fin dalla sua violenta conquista del potere nell’ottobre 1917, sulla totale mancanza di libertà, sulla sistematica violazione dei diritti umani, dall’eliminazione fisica di interi gruppi sociali, a iniziare dallo sterminio di milioni di Kulaki russi (piccoli proprietari terrieri), per ordine di Lenin e successivamente di Stalin, alla sanguinaria repressione del dissenso, con il sistematico internamento e conseguente annientamento di milioni di oppositori reali o presunti del regime, nei famigerati gulag o campi di sterminio, disseminati un po’ dappertutto nei vasti territori dell’Unione Sovietica.
Inoltre, per decenni i prigionieri dei gulag furono utilizzati dal regime per la realizzazione di opere pubbliche, quali strade, ferrovie e canali di navigazione, costretti a lavorare in condizioni proibitive, ovvero fino a sedici ore al giorno, con una temperatura, nei lunghi mesi invernali, di quaranta gradi sotto lo zero e con cibo pessimo e insufficiente. Morirono per stenti milioni di persone e i cadaveri furono gettati in fosse comuni.
Di tutta questa orribile storia fatta di repressioni, crimini e atrocità e di cui purtroppo ancora oggi se ne parla poco, il Partito Comunista Italiano è stato moralmente complice, proprio per la sua scelta fatta ab origine di sudditanza agli interessi e alle direttive di Mosca, la quale ricambiò i compagni italiani con generosi finanziamenti.
Qualche storico di parte ancora oggi esalta i tanti personaggi che hanno fatto la storia del PCI e tra questi Antonio Gramsci (1891-1937), filosofo, politico e ideologo tra i fondatori del PCI, omettendo però di ricordare che nel settimanale L’Ordine Nuovo (6-13 dicembre 1919), agli inizi degli anni 1920, Gramsci esaltava la violenza rivoluzionaria.
Riferendosi al ruolo della piccola e media borghesia italiana, la definì «la peggiore, la più vile la più inutile, la più parassitaria», che non doveva essere solo combattuta politicamente, bensì annientata fisicamente, «bisogna espellerla», scrisse, «dal campo sociale, come si espelle una volata di locuste da un campo semidistrutto, col ferro e col fuoco!».
Non di meno fu il suo successore Palmiro Togliatti (1893-1964), il quale nel discorso pronunciato al Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica il 26 giugno 1930 si vantava di aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano si sentiva «miserabile mandolinista», mentre «come cittadino sovietico» si sentiva di «valere dieci volte più del migliore italiano» (sic!).
Per l’anniversario della fondazione del Partito Comunista, dunque, non c’è nulla da festeggiare o celebrare, ma soltanto rileggere la storia di questo partito in modo sereno e non fazioso, per comprendere bene tutto ciò che ha realmente rappresentato e fatto, mettendo in guardia le giovani generazioni, affinché non cedano al fascino ideologico dell’ideologia comunista e di nessuna altra ideologia.