Il Timone n.167 Novembre 2017
Da Platone allo Stato, si afferma l’ideale utopistico di cittadini orfani della famiglia. Invece i figli sono di Dio e solo la Chiesa e i genitori possono educarli
di Giampaolo Crepaldi (Arcivescovo di Trieste)
Di chi sono i figli? I figli non sono di nessuno perché sono di Dio. C’è stato un tempo in cui l’idea che il figlio fosse un dono era radicata nel cuore e nella mente delle persone, e non solo delle mamme. Un dono che viene da Dio e che bisogna educare perché a Lui ritorni. La procreazione era sentita come appartenente ad un ciclo di senso che toglieva il bimbo dalle mani di ogni potere terreno, perché era “del Signore”.
Questo sentire comune è ancora vivo in molti genitori, ma in generale lo è sempre di meno. Questo da quando la razionalizzazione tecnica e politica ha assunto anche questa forma di dominio, il dominio sui figli. Erano state le utopie politiche a produrre nei secoli scorsi delle serie eccezioni all’idea che i figli appartenessero al Signore, a cominciare dall’antica utopia di Platone secondo cui i bambini appena nati dovevano venire subito allevati in strutture pubbliche, sotto le ali dello Stato, in modo che ogni cittadino, vedendo i giovani per le strade e le piazze potesse dire: “potrebbe essere mio figlio”.
La negazione della famiglia era funzionale alla creazione di una comunità politica di uguali dai saldi legami reciproci. Se i figli avessero continuato ad essere dei genitori – si pensava – l’unità interna alla comunità si sarebbe indebolita e frammentata. L’idea ha una lunga storia, che passa dalla comunione delle donne nei Falansteri del nuovo mondo di Fourier, alle indicazioni del Manifesto di Marx fino ad arrivare agli stati totalitari del secolo scorso.
Obiettivo: recare danno alla Chiesa
L’ideale utopistico di cittadini orfani perché possano meglio sentirsi cellule dell’organismo statale si consolida progressivamente con la formazione dello Stato moderno, che concentra in sé l’istruzione e l’educazione, centralizza la sanità e la cura dell’infanzia, indebolisce le forme familiari di solidarietà e sempre più si sostituisce a genitori e famiglie. Per recare danno alla Chiesa e alla religione che alle famiglie direttamente si riferiva, alle mamme affidava l’educazione anche religiosa dei bambini e insegnava una procreazione che solo nel matrimonio trovava il suo specifico luogo umano.
La Chiesa, con la sua Dottrina sociale, ha sempre insegnato che i bambini sono dei genitori, perché quello era l’unico modo per far sì che fossero di Dio. Ha sempre insegnato che come il luogo umano della procreazione è la coppia degli sposi, così il luogo umano della educazione è la famiglia. L’educazione è infatti un proseguimento e un completamento della procreazione e spetta originariamente ai genitori. La Chiesa, dicendo questo, sapeva sì di enunciare un evidente principio di legge morale naturale, ma sapeva anche che solo così i bambini potevano essere educati alla pietà cristiana, ai rudimenti del catechismo, alle preghiere all’angelo custode.
Tramite i genitori e non tramite lo Stato la Chiesa avrebbe potuto ancora far conoscere ai bambini Gesù Cristo. È il rovescio positivo della medaglia: lo Stato si sostituisce ai genitori per diseducare i futuri cittadini al Vangelo, la Chiesa si allea con i genitori contro lo Stato per educare i futuri cittadini al Vangelo
Una lotta che non si combatte
Era una vera e propria lotta, che oggi la Chiesa non sembra voler combattere più. Oggi, non meno che nella Repubblica di Platone, i figli sembrano essere dello Stato che li assume in carico nelle proprie strutture fin dall’asilo nido, li forma secondo i propri programmi e, come la Chiesa aveva sempre giustamente temuto, li allontana sistematicamente da Gesù Cristo, parlandone male o non parlandone mai affatto. La Chiesa non protesta più per questo e non punta su forme di scuola alternative – come le scuole parentali – che sarebbero l’unico modo perché essa, la Chiesa, ritornasse a educare i bambini, tramite la riappropriazione della funzione educativa dei genitori.
La scuola parentale può essere non solo la scuola dei genitori, ma la scuola della Chiesa tramite i genitori. Sarebbe un modo per ritornare al principio che i figli sono di Dio e non del ministro della pubblica istruzione Le democrazie occidentali non sono da questo punto di vista diverse dai regimi totalitari.
Il bambino viene inserito nel “sistema”: viene educato da insegnanti-funzionari di Stato uniformemente istruiti dall’Università pubblica e dai corsi di formazione ministeriali; viene precocemente psicologizzato da funzionari di Stato ormai presenti in tutte le scuole; viene precocemente sessualizzato da funzionari dì Stato tramite progetti curricolari inderogabili; della sua salute si fa lo screening fin dal ventre materno ed eventualmente viene abortito da parte di funzionari di Stato; viene mandato a fare l’Erasmus in qualche altro Paese dove imparerà stili di vita e valori standardizzati stabiliti da funzionari di quello Stato-non Stato che è l’Unione Europea; nel suo percorso scolastico gli si insegnerà a usare la contraccezione, compresa quella di “emergenza”, e la fecondazione artificiale in modo che procrei a sua volta tri bambini orfani di Stato.
Il bambino “deformato”
Solo che le democrazie questo lo fanno senza darlo a vedere. L’educazione di Stato parla di inclusione e intende uniformità, parla di tolleranza e intende immoralità, parla di pari opportunità e intende indifferentismo sessuale, parla di libertà di scelta e intende sessualizzazione forzata fin dalla scuola materna secondo Linee Guida emanate da qualche ufficio di funzionari di Stato uniformati al pensiero unico e dominante. In questo modo i genitori sono tagliati fuori, e sono pure felici di esserlo.
La Chiesa è tagliata fuori e il bambino è deformato ancor prima che senta per la prima volta la parola “Dio”, se mai la sentirà.
I figli sono di Dio, si pensava. Era il riconoscimento dell’assolutezza del loro valore che si fondava sulla gratuità del dono. Solo quello che non si paga ha veramente valore. La procreazione deve essere un atto gratuito perché poi si possa pensare alla nuova vita come un dono gratuito.
Lo sapeva bene la Humanae vitae di Paolo VI, che proprio su una procreazione veramente umana fondava non solo la moralità dell’atto coniugale ma la moralità dell’intera società. Se non c’è gratuità lì, nell’atto iniziale della vita, come potrà esserci nelle altre successive relazioni sociali? Dalla contraccezione in poi, è stato un progressivo degrado nella percezione pubblica della dignità del bambino.
I bambini vengono concepiti in laboratorio, vengono fabbricati da embrioni scongelati, vengono affidati o adottati da coppie omosessuali, divisi e contesi tra i genitori divorziati, acquistati, venduti e contrattati con l’abominevole uso dell’utero in affitto, la sanità pubblica interviene nei loro confronti davanti a sintomi di “disforia di genere”, clinicizzati o terapeutizzati davanti al primo sintomo di leggera dislessia o di ipercinesia, vengono affidati al sistema dello spettacolo e della pubblicità fin da piccoli e i genitori li vedono alla mattina e li rivedono alla sera.
La Chiesa ha sempre insegnato il diritto del bambino di crescere sotto il cuore della mamma e, prima ancora, il suo diritto a venire concepito in modo umano sotto il cuore dei suoi genitori. Quando essa diceva che la famiglia è una società piccola ma vera o quando invocava il rispetto di sussidiarietà lo faceva tenendo d’occhio i bambini, nel tentativo di sottrarli al Leviatano che li voleva espropriare per sé.
Platone desiderava una forte coesione interna tra i cittadini e per questo lo Stato da lui pensato li toglieva ai genitori fin dalla nascita. Ma la sua era appunto un’utopia. In seguito, i sistemi politici della comunanza delle donne, della pianificazione centralistica della procreazione, dell’eugenetica di Stato, del gender insegnato in tutte le scuole non hanno prodotto e non producono alcuna coesione sociale, anzi fanno dei nostri bambini diventati adulti degli individui deboli, isolati e paurosi.
L’esproprio dei figli li riduce a cose.