La fedeltà di coppia, e non i profilattici, hanno abbassato l’aids.lo confermano gli studi scientifici, ignorati dalla grande stampa che continua a fare propaganda ideologica
di Casadei Rodolfo
Cari giornalisti liberal, le vostre campagne di stampa potranno sempre nascondere la verità ma non riusciranno a cancellarla: fedeltà di coppia, astinenza sessuale, riduzione del numero dei part-ner sono molto più importanti nella lotta all’Aids che non la disponibilità e l’uso dei profilattici.
Gli studi scientifici che evidenziano questa verità si accumulano, ma sulle pagine del New York Times, di Le Monde, dell’Economist c’è spazio soltanto per i rapporti di Human Rights Watch e per le dichiarazioni di Stephen Lewis, il canadese rappresentante speciale dell’Onu per l’Aids in Africa, che incolpano il governo ugandese di avere quasi eliminato il condom dalle campagne di prevenzione dell’Aids per fare un piacere al presidente Bush e ai suoi programmi basati sull’astinenza.
I capi di accusa sono: penuria di profilattici distribuiti gratuitamente che avrebbe costretto i consumatori a ricavare condom di fortuna da sacchetti di plastica per l’immondizia (!), caro-prezzi dei profilattici in vendita, negazione delle informazioni sull’utilizzo dei condom ai bambini delle scuole elementari (!), eccessiva pubblicità delle campagne per l’astinenza sessuale promosse da Janet Museveni, la moglie del presidente, una cristiana evangelica molto attiva.
Inutilmente ministri e ambasciatori ugandesi hanno cercato di spiegare che la penuria c’era stata a causa del ritiro dal mercato di un prodotto che presentava seri problemi, che 65 milioni di profilattici erano nel frattempo diventati disponibili e altri 80 milioni sarebbero arrivati.
Avendo fatto l’errore di premettere alle loro dichiarazioni che «sì, noi riconosciamo che i condom riducono il rischio ma riconosciamo anche che non lo eliminano», e avendo dietro di sé un presidente come Yoweri Museveni che al summit dell’Onu sull’Aids a Bangkok nel 2004 aveva detto di preferire «relazioni ottimali basate sull’amore e la fiducia alla diffidenza istituzionalizzata, che è l’ambito del condom», sono stati trattati come mentecatti.
Le Monde ha sentenziato che il successo dell’Uganda nel ridurre il tasso di positività dal 15 per cento degli adulti nel 1992 al 6 per cento di oggi, unico paese africano fino ad oggi a riuscire nell’impresa, «si fonda sull’utilizzo dei preservativi». Ma così non è. Leggere per credere.
PROFILATTICI: NESSUNO È PERFETTO
Una delle accuse formulate nei confronti di Janet Museveni è di aver fatto affiggere manifesti in cui si afferma che i condom riducono il rischio di contrarre l’Aids soltanto dell’80 per cento, mentre il condom sarebbe molto più sicuro di così. In realtà il dato è esatto, esso proviene da uno studio americano (Weller S., Davis K., Condom effectiveness in reducing heterosexual HIV transmission) revisionato dall’autorevole Cochrane Library. Tale studio prende in considerazione l’utilizzo “adeguato” del condom, cioè un utilizzo continuato (tutte le volte che c’è un rapporto sessuale) ma non necessariamente appropriato.
Il profilattico è un metodo di prevenzione dell’Aids abbastanza efficace quando ci si riferisce all’utilizzo “perfetto”, cioè quando lo si utilizza sempre e nel modo migliore: allora il suo tasso di efficacia per quanto riguarda la trasmissione dell’Hiv è del 96 per cento su base annua (che vuol pur sempre dire che ci saranno 4 contagi nel corso di un anno); ma scende all’87 per cento quando si passa all’utilizzo “tipico”, cioè l’utilizzo non continuato (a volte sì, a volte no) e non appropriato (condom danneggiati, entrati in contatto con fluidi corporei, indossati troppo tardi, ecc.); questi sono i numeri che J. Trussell e K. Yost producono in un loro citatissimo studio, fondato sul presupposto di soggetti che abbiano 83 rapporti sessuali all’anno (media americana).
Proiettati su dieci anni, questi numeri sono molto allarmanti: fra gli utilizzatori “tipici” il tasso di infezione raggiungerebbe il 75-78 per cento nell’arco di un decennio. Alla recente conferenza Onu di Rio de Janeiro Ward Cates di Family Health International (una Ong americana favorevole ai condom) ha mostrato le diapositive con queste proiezioni senza che nessuno obiettasse.
Ma, si dirà, tutto il problema sta nell’aiutare la gente a passare dall’utilizzo “tipico” a quello “perfetto”. Più facile a dirsi che a farsi! E inoltre l’accento sul condom può avere risultati opposti a quelli attesi. Lo dimostra uno studio ugandese fresco di stampa, apparso sul numero di settembre della rivista scientifica Journal of Acquired Immune Deficiency Syndromes sotto il titolo Increasing Condom Use Without Reducing Hiv Risk, cioé “Aumentare l’utilizzo del condom senza ridurre il rischio dell’Hiv”.
Gli studiosi hanno selezionato due gruppi di giovani maschi ugandesi; hanno addestrato i primi all’utilizzo perfetto del condom e li hanno forniti di coupon per ritirarli gratis presso strutture di facile accesso; hanno comunicato solo informazioni generali sull’Aids e fornito altrettanti coupon ai secondi. All’inizio e alla fine dell’esperimento ai due gruppi è stato chiesto di compilare un identico questionario sulle loro attività sessuali, per raffrontare i comportamenti prima e dopo l’intervento.
Ci si attendeva che i primi rivelassero comportamenti meno esposti al rischio del contagio che non i secondi. È risultato il contrario. I membri del primo gruppo hanno sì utilizzato i loro coupon in misura maggiore di quelli del secondo, ma nel contempo hanno aumentato l’intensità della loro attività sessuale, incluso il numero dei partner (che sono passati da 2,13 a 2,44 mentre quelli del secondo diminuivano da 2,20 a 2,03) e non hanno diminuito le occasioni di sesso non protetto (31,9 per cento di rispondenti sia prima che dopo l’intervento).
Risultato: «L’astinenza da rapporti con partner occasionali è aumentata nel gruppo “generico” ma è diminuita nel gruppo “istruito”. Il risultato netto è che un numero leggermente maggiore di uomini nel gruppo “istruito” ha dichiarato rapporti sessuali non protetti con partner occasionali nel questionario finale in confronto agli uomini del gruppo “generico”… non c’è dunque nessuna prova statistica di un beneficio dell’intervento in termini di cambiamento di comportamenti sessuali a rischio, come quello rappresentato dal sesso non protetto con partner occasionali».
NON RESTA CHE RIDURRE IL NUMERO DEI PARTNER
Esistono invece lavori scientifici che dimostrano la preminenza di fedeltà di coppia, astinenza sessuale e riduzione del numero dei partner nel successo ugandese contro l’Aids. Vedi per esempio il bel libro di Edward C. Green, Rethinking Aids Prevention: Learning from successes in developing countries (2003).
«Green – spiega Paolo Bonfanti, infettivologo del Luigi Sacco di Milano – descrive, fornendo non opinioni ma dati epidemiologici, come per anni il mondo scientifico e politico abbia ignorato ciò che la realtà dell’Aids in Africa continuava a suggerire: gli unici paesi che hanno mostrato una inversione di tendenza circa la diffusione della malattia sono quelli che hanno adottato programmi di Primary Behavior Change, cioè cambiamento dei comportamenti a rischio, mentre l’applicazione di modelli di prevenzione basati unicamente sull’uso del condom non ha prodotto gli effetti sperati.
Green spiega che campagne di prevenzione basate sull’utilizzo del preservativo sono appropriate laddove la malattia si diffonde prevalentemente in gruppi ad alto rischio, come ad esempio gli omosessuali nei paesi occidentali. Dove invece la diffusione epidemica interessa tutta la popolazione sessualmente attiva, ed è il caso dell’Africa sub-sahariana, tale modello preventivo non può essere efficace». Sulla stessa linea troviamo due importanti articoli scientifici usciti nel 2004.
Il primo, Partner reduction is crucial for balanced “ABC” approach to Hiv prevention, è apparso sul British Medical Journal e spiega, come dice il titolo, che nell’approccio ugandese incentrato sul triplice messaggio “astieniti, oppure sii fedele al tuo partner, oppure usa un condom” i risultati migliori in termini di prevenzione li ha prodotti il secondo dei tre imperativi.
A metà degli anni Novanta in Uganda l’uso sistematico del profilattico era salito al 20 per cento fra le donne e al 30 per cento fra gli uomini, ma «in un’epidemia così capillarmente diffusa questi livelli di utilizzo del condom erano ancora relativamente modesti, e l’uso sistematico non significa l’uso corretto e continuato necessario per prevenire l’infezione da Hiv.
Pertanto, anche se l’uso del condom ha probabilmente contribuito, è improbabile che da esso dipenda la drammatica flessione dei tassi di infezione fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta». Più importante la riduzione del numero dei partner: «Le indagini del Programma globale sull’Aids hanno rilevato che la proporzione di uomini che si sono accompagnati a una o più partner occasionali nell’anno precedente è scesa dal 35 per cento al 15 per cento fra il 1989 e il 1995, e fra le donne dal 16 per cento al 6 per cento».
Il condom non viene affatto demonizzato, ma la sua promozione è analizzata con estremo realismo: «Anche se gli studi di proiezione hanno mostrato che i condom riducono il rischio dell’80-90 per cento circa quando vengono usati sempre, nella vita reale essi sono spesso usati in modo errato e incostante. Pertanto non dovrebbero essere pubblicizzati in una maniera che generi eccessiva sicurezza di sé o comportamenti rischiosi».
COS’HANNO FATTO VERAMENTE IN UGANDA
L’altro articolo di peso che insiste sugli stessi punti è apparso su Science del 30 aprile 2004 sotto il titolo Population-Level Hiv Declines and Behavioral Risk Avoidance in Uganda, autori Rand L. Stoneburner e Daniel Low-Beer. «Un’importante e spesso trascurata misura di cambiamento del comportamento in Uganda fra il 1989 e il 1995 – si legge nell’articolo – è stata una riduzione del 60 per cento delle persone che dichiaravano di aver avuto rapporti occasionali nell’anno precedente, sia fra le popolazioni urbane che fra quelle rurali.
La percentuale di persone che hanno dichiarato rapporti occasionali è stata molto più alta in Malawi e Zambia nel 1996 e in Kenya nel 1998 che in Uganda nel 1995. Benchè fosse aumentato dal 1989, il tasso di utilizzo del condom nei rapporti occasionali nel 1995 in Uganda non era sostanzialmente differente da quello degli altri paesi africani. Invece la percentuale di giovani fra i 15 e i 19 anni che si astenavano dal sesso era più alta, essendo cresciuta sostanzialmente fra il 1989 e il 1995.
Questi dati suggeriscono che la riduzione del numero dei partner sessuali e l’astinenza fra i giovani non sposati (particolarmente maschi delle aree urbane) anziché l’uso dei condom sono stati i fattori rilevanti nella riduzione dell’incidenza dell’Hiv». Per Stoneburner e Low-Beer è appurato che il ruolo del profilattico è stato secondario: «I condom furono una componente minore della strategia originaria…
Il diffuso sostegno alla distribuzione di condom attraverso tecniche di marketing sociale, i test volontari e il counseling, il migliorato trattamento delle infezioni trasmesse per via sessuale sono venute in gran parte dopo che il declino dei tassi di incidenza e di prevalenza dell’Hiv era già iniziato».
Che la riduzione dei tassi di incidenza dell’Hiv in Uganda sia cominciata prima della promozione dei profilattici su larga scala lo ha confermato quest’anno un altro studio, dedicato al distretto di Rakai (il più colpito di tutto il paese), presentato nel febbraio scorso alla XII Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche da Maria Wawer della Columbia University. Allora, chi è l’oscurantista e chi è che si appoggia sull’evidenza scientifica?