I limiti della conoscenza

Aspenia Rivista di Aspen Istitute Italia

n.38-2007

L’attenzione sui possibili cambiamenti del clima può avere fatto nascere, in persone intelligenti e curiose, anche se non professionalmente coinvolte, alcuni interrogativi ai quali cerchiamo di dare risposte. Sappiamo molto, o abbastanza, sugli ultimi 200 anni. Ma allo stato attuale delle conoscenze, rimane una profonda incertezza sugli scenari futuri.

 

di Franco Prodi

(professore ordinario di fisica dell’atmosfera all’Università dr Ferrara e direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR)

È abbastanza intuitivo, parlando di clima, porsi il problema di una griglia spazio-temporale. Possiamo essere interessati al clima di un dato punto (il giardino di casa nostra), di una località (sul mare o nell’entroterra), di una provincia (separando le zone di pianura, collina, montagna) di un’area più estesa (ad esempio la pianura padana), di una regione climatica più ampia (ad esempio sud Europa e Mediterraneo), di un continente e, infine, dell’intero pianeta. La scala temporale sì presenta necessaria per l’esame della variabilità (decenni, secoli, millenni, milioni di anni).

In questa chiave, ci possiamo chiedere come sia stato ottenuto il dato contenuto nel rapporto IPCC sulla temperatura dell’aria in prossimità del suolo (a 2 metri di altezza) su tutto il globo: un aumento medio di 0,7 gradi centigradi per secolo. Pensiamo a lunghe serie di misure in singoli punti, e ci chiediamo di quali aree i singoli punti siano rappresentativi. Oppure, ci chiediamo come si faccia a pesare questa rappresentatività, immaginando che non sarà facile avere molte misure sugli oceani, nei deserti, nelle calotte polari e in altre aree remote. Ci possiamo anche chiedere perché concentrarsi su questo parametro e non puntare su qualcosa di più completo, seguendo ad esempio la temperatura dì tutto il volume dell’atmosfera, misurandola quindi anche in verticale.

Ma se prendiamo questa strada, dobbiamo rassegnarci ad avere meno dati, perché mentre è facile installare una capannina meteorologica, è assai più complicato lanciare una radiosonda (ci vogliono molti fondi e una certa organizzazione).

Cosa è successo negli ultimi 200 anni.

La polemica ha finito per focalizzarsi, com’è giusto, sul ruolo dell’uomo industriale nei cambiamenti — quindi, sugli ultimi 200 anni. Questi 200 anni sono anche gli unici, andando a ritroso nel tempo, per i quali si possano avere misure fisiche di parametri meteorologici (temperatura dell’aria, umidità relativa e quantità di precipitazione, in linea di massima). Sono infatti poche le misure che si riferiscono all’era preindustriale (che si fa iniziare dall’invenzione della macchina a vapore di Watts, 1795).

La stessa nascita della scienza (Galileo, con il suo termometro riprodotto in molti esemplari) precede di poco (in termini temporali-climatici) l’inizio dell’attività industriale su grande scala. È subito evidente quanto sia complicato estrarre, sulla tendenza a lungo termine di una serie storica di misure, informazioni che sono dello stesso ordine degli errori presenti nella misura del singolo dato. Dobbiamo poi considerare la non omogeneità dei dati della serie (cambi di posizione del punto di misura, anche come altezza dal suolo), nonché i vari cambi di caratteristiche del sito (un sito rurale che diventa periferia di grande città, ad esempio).

In Italia, le cose sono state studiate con metodi rigorosi da un gruppo di ricerca, guidato da Teresa Nanni, dell’Istituto di scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR. I dati di 50 stazioni italiane, dopo l’omogeneizzazione, sono ordinati e accorpati secondo aree opportune e mediati, in modo tale da rendere più facile lo studio della variabilità attribuibile ai cambiamenti climatici e da isolare le tendenze nei diversi sottoperiodi.

Passo principale della procedura è calcolare i valori annuali e stagionali in un trentennio di riferimento. Per ora, è stato scelto il periodo 1961-1990. Lo studio mostra che la temperatura dell’aria si mantiene più bassa fino a prima del 1860, con il 1816 identificabile come l’anno più freddo (per il materiale gassoso immesso in stratosfera durante le eruzioni vulcaniche) dell’intero periodo 1803-2003.

Successivamente, si nota una tendenza graduale verso valori leggermente più alti. Dopo il massimo relativo intorno al 1950, si rileva un andamento stazionario fino agli anni Settanta, seguito da un nuovo periodo di forte crescita che culmina nell’anno 2003 — l’anno più caldo dell’intera serie (evidente in primavera/estate). L’evoluzione delle precipitazioni nel corso degli ultimi due secoli, per le regioni del nord Italia, mostra successioni di massimi e di minimi relativi, senza alcuna tendenza evidente né verso un incremento né verso una diminuzione.

Su tutta Italia c’è una leggera diminuzione della quantità totale di precipitazione, distribuita con leggero aumento di fenomeni intensi e convettivi rispetto a quelli stratiformi. Tornando al parametro principale – la temperatura dell’aria – possiamo estrarre il segnale a lungo termine, comune a tutte le regioni italiane, di un aumento di un grado per secolo sull’intera serie. Ciò è in linea con l’aumento globale esaminato dall’lPCC, perché anche il suo rapporto mostra che grandi regioni possono avere un trend (andamento in sottoperiodi) leggermente differente. Va anche ricordato, comunque, che le terre devono contribuire di più della media, poiché gli oceani contribuiscono di meno (anche se i punti di misura su di essi sono pochi per permettere di constatarlo). Quindi, nell’analisi finale un grado per secolo sull’Italia è in linea con l’aumento di 0,7 gradi per secolo sul globo.

Il valore della modestia.

Sui modelli per leggere il presente e azzardare previsioni climatiche per il futuro, un po’ di modestia non guasta. I modelli — perlomeno quelli che ambiscono a una rappresentazione totale dei sottosistemi (atmosfera, oceano, criosfera, vegetazione) e delle loro interazioni – sono nella loro infanzia. Problemi insieme difficili e complicati. Introdurre in maniera corretta aspetti ancora controversi — quali l’interazione oceano-atmosfera, l’effetto dell’aerosol atmosferico diretto (sui flussi di radiazione) e indiretto (nella modifica della microfisica delle nubi), o lo stesso ruolo delle nubi — porterà a una riduzione della grave incertezza di scenario che caratterizza lo stato attuale della conoscenza. Al momento, la situazione è tale da non permettere una vera previsione climatica.

Di fronte a gravi pericoli per la terra si può e si deve procedere in base al principio di precauzione. La scienza non può che procedere con passo lento. Purtroppo, però, i rischi per il pianeta, soprattutto per il drammatico degrado ambientale, aumentano a dismisura. Intanto, guardare in faccia il triangolo ambiente-energia-clima nelle sue strette interrelazioni può guidare l’azione dei governi con una barra del timone non troppo ondeggiante. Soprattutto, può indurre a riflettere fino in fondo sui costi dello sviluppo economico: non è detto che il benessere dei popoli coincida con la massimizzazione del consumo dell’energia.