I medici si ribellano ai dogmi sul gender  

La Verità domenica 9 Giugno 2024

Cresce il numero di professionisti che si dicono contrari ai farmaci che bloccano la pubertà: «Approccio superficiale e pericoloso» E un comitato di psicologi ha scritto al ministero della Salute per chiedere di sospendere i trattamenti sui ragazzi minorenni

di Francesco Borgonovo

Una delle principali caratteristiche del pensiero attualmente dominante è il cosiddetto antinomismo, cioè l’avversione alle norme e il desiderio di sovvertirle. Ha radici antiche, come spiega persino l’Enciclopedia Treccani, e viene utilizzato dagli studiosi per descrivere «l’avversione di numerosi gruppi cristiani (gnostici e marcioniti nella Chiesa antica; varie sette medievali) contro non solo le prescrizioni rituali, ma l’intero Antico Testamento, sentito come mera costrizione e vincolo, in antitesi al Nuovo Testamento, cioè alla nuova economia della Grazia e della libertà».

Alla base dell’antinomismo c’è anche qualcosa di più: il rifiuto totale della creazione, l’idea che sia sbagliata e si possa e debba in qualche modo correggere. Questa idea antica, per vie traverse, è giunta fino a noi e innerva il pensiero progressista, in particolare l’enorme e confuso territorio delle teorie del genere.

Woke, la dittatura che unisce femminismo ecologia e LgbtPer quanto possano essere varie e contraddittorie, si sviluppano tutte a partire da alcuni fondamentali presupposti: la natura (ammesso che esista) commette clamorosi sbagli che l’uomo, tramite la tecnica, può correggere. L’individuo è in grado di autodeterminarsi, parte della sua libertà sta proprio nella capacità di ribellarsi alla norma naturalmente stabilita e sovvertirla. Egli può crearsi da sé, e in base alle proprie percezioni. La convinzione che il genere sia «uno spettro» in cui ciascuno si può collocare potrebbe anche non creare danni se si limitasse a influire sul modo in cui ciascuno si presenta al modo, su come si abbiglia e sui partner sessuali che sceglie.

Ma quando si inizia a pensare di poter modificare il corpo per «rettificarlo» e adattare la realtà alla percezione, ecco che iniziano i disastri. Che sono particolarmente gravi nei casi in cui a essere coinvolti sono i minorenni.

Ecco perché un numero crescente di professionisti della salute (medici, psicologi e psichiatri) ha iniziato a opporsi alla principale dimostrazione di antinomismo sulla piazza, ovvero l’approccio affermativo. Definito come «l’approccio clinico che richiede al terapeuta un assetto mentale esente da pregiudizi eteronormativi», in sostanza comporta che l’individuo possa semplicemente «affermare» in totale autonomia la propria identità, e che tutti gli altri siano tenuti non solo ad accettarla, ma pure a rafforzarla.

In questo modo si esclude completamente la relazione con l’altro, che è alla base dell’identità, e si rischiano clamorosi abbagli, dai quali però è molto difficile tornare indietro. Che il problema sia grave e in aumento lo notano i professionisti che fanno parte del Comitato nazionale psicologi Edsu.

Alla fine di maggio hanno inviato al ministero della Salute e a quello della famiglia un documento con cui chiedono alle istituzioni di «interrompere ogni forma di blocco della pubertà (come l’impiego di Triptorelina); sospendere l’approccio farmacologico o di altra natura e di vietare l’uso dei trattamenti ormonali, almeno fino al raggiungimento della maggiore età; di promuovere politiche che supportino le famiglie e le mettano in grado di occuparsi più adeguatamente dei loro figli; di cessare le politiche che depotenziano il ruolo genitoriale; che i corsi specifici di formazione rivolti a insegnanti e genitori facciano preciso riferimento alle tappe di sviluppo, con particolare attenzione alla sfera emozionale individuale, ai meccanismi relazionali, ai bisogni educativi e affettivi; che i suddetti corsi non siano ideologicamente orientati».

Secondo questi psicologi, «il modo superficiale, avventato, pericoloso, ideologizzato, in cui viene trattata la disforia di genere sta producendo un impatto allarmante sul sociale, sula cultura e in particolare sul l’infanzia e l’adolescenza. L’intervento troppo precoce e artificioso nel processo di definizione dell’identità di genere viene meno al principio di precauzione e contribuisce a creare confusione nel periodo prepuberale e adolescenziale, quando ancora tale identità non è delineata chiaramente».

«Non sono soltanto il trattamento farmacologico e quello chirurgico a condizionare pesantemente lo sviluppo psicofisico del soggetto in crescita, con un impatto che si ripercuote sulla sua intera esistenza», continuano i professionisti della salute psichica. «Anche i semplici interventi psico-educativi anticipatori sono fortemente condizionanti sia per i soggetti che per le loro famiglie.

Infatti oltre alla irreversibilità degli interventi fisici, anche i “semplici” interventi di “indirizzo” alla transizione (suggerimenti psicoeducativi) sono non reversibili in quanto deprivano il bambino o l’adolescente di fondamentali tappe dello sviluppo»ù

Il Comitato nazionale psicologi Edsu contestano con forza l’approccio affermativo. «Dal punto di vista epistemologico l’approccio affermativo sembra amplificare l’importanza della percezione che l’individuo ha di sé stesso, privilegiando l’immaginario anziché la realtà biologica della persona; ovvero accetta in maniera acritica l’ideazione del momento senza verificare se essa possa essere un sintomo di immaturità nello sviluppo del sé, il che va a discapito del soggetto stesso e della sua integrità.

Tale approccio rinuncia ad ogni seria anamnesi volta a individuare l’eziologia dell’incongruenza di genere, arrivando a postulare, più o meno implicitamente, che una qualunque idea si manifesti in un soggetto possa prescindere dal contesto e dalle relazioni implicate, attuali e pregresse.

Sia l’apprendimento del linguaggio e il suo utilizzo e sia il processo ideativo sono frutto dell’interazione sociale e familiare, esattamente il contesto che la psicologia affermativa rifiuta di analizzare. Pertanto una diagnosi di disforia di genere senza la dovuta anamnesi si trasforma potenzialmente in un rinforzo psicologico, anche laddove l’adolescente e i familiari avessero dubbi non espressi».

Non sono le parole di un gruppo di bigotti o di esaltati tradizionalisti, ma di persone formate che hanno una notevole conoscenza della materia e che quindi sono ben consapevoli delle problematiche emergenti. Gli psicologi italiani, per altro, sono in ottima compagnia, perché più o meno nello stesso momento in cui pubblicavano il loro manifesto negli Stati Uniti usciva una dichiarazione (disponibile integralmente sul sito doctors protectingchildren.com) di un folto gruppo di associazioni mediche riunite sotto la sigla The American college of pediatrician dedicata proprio alla disforia di genere.

«Come medici, insieme a infermieri, psicoterapeuti e medici comportamentali, altri professionisti sanitari, scienziati, ricercatori e professionisti della sanità, nutriamo serie preoccupazioni circa gli effetti sulla salute fisica e mentale degli attuali protocolli promossi negli Stati Uniti per la cura dei bambini e dei bambini adolescenti che esprimono disagio nei confronti del loro sesso biologico», si legge nella dichiarazione.

Secondo questi pediatri, «l’ideologia di genere, la visione secondo cui il sesso (maschile e femminile) è inadeguato e che gli esseri umani necessitano di essere ulteriormente classificati in base ai pensieri e ai sentimenti di un individuo descritti come identità di genere o espressione di genere, non tiene conto della realtà delle differenze sessuali innate. Ciò porta alla visione imprecisa secondo cui i bambini possono nascere nel corpo sbagliato. L’ideologia di genere cerca di affermare pensieri, sentimenti e credenze, con bloccanti della pubertà, ormoni e interventi chirurgici che danneggiano i corpi sani, piuttosto che affermare la realtà biologica».

In conclusione, i pediatri statunitensi chiedono alle istituzioni pubbliche e ai veri ordini dei medici di «seguire la scienza e i loro colleghi professionisti europei e di fermare immediatamente la promozione dell’affermazione sociale, dei bloccanti della pubertà, degli ormoni cross sex e degli interventi chirurgici per bambini e adolescenti che sperimentano disagio per il loro sesso biologico».

Invece della medicalizzazione, le istituzioni sanitarie dovrebbero «raccomandare valutazioni e terapie complete volte a identificare e affrontare le comorbilità psicologiche sottostanti e le neurodiversità che spesso predispongono e accompagnano la disforia di genere». Da una parte all’altra dell’oceano, i professionisti della salute mandano lo stesso messaggio: non si può sostituire la percezione alla realtà. Perché la realtà, prima o poi, presenta il conto.

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