Abstract: i nuovi barbari dell’Occidente. Più che di morire, l’Occidente dovrebbe temere di essere già morto. E più che di essere attaccato dall’esterno dovrebbe guardarsi da chi gli sta scavando la fossa dall’interno. Bambine di otto anni che vogliono cambiare sesso, tagliagole presentati come vittime del «razzismo sistemico», «asili arcobaleno», una ragazza che non va più a scuola per profetizzare la morte climatica, professori licenziati per aver usato il «pronome sbagliato»
Newsletter di Giulio Meotti 14 Gennaio 2023
Contro i nuovi barbari d’Occidente,
dove è vietato pensare (e parlare)
In uscita il mio nuovo libro. Più che di morire dovremmo temere di essere già morti. Ripuliremo le stalle di Augia o soccomberemo nella fossa di follia culturale che ci stanno scavando dall’interno?
Giulio Meotti
“Più che di morire, l’Occidente dovrebbe temere di essere già morto. E più che di essere attaccato dall’esterno dovrebbe guardarsi da chi gli sta scavando la fossa dall’interno. Bambine di otto anni che vogliono cambiare sesso, tagliagole presentati come vittime del «razzismo sistemico», «asili arcobaleno», una ragazza che non va più a scuola per profetizzare la morte climatica, roghi di libri accusati di «colonialismo», professori licenziati per aver usato il «pronome sbagliato», ministri europei a processo per aver citato la Bibbia, anche la Chiesa cattolica che parla la Neolingua politicamente corretta… Come ripuliremo le stalle di Augia d’Occidente? Ne usciremo o dovremo percorrere fino in fondo la strada di questo nuovo nichilismo, cercando di sopravvivere a una censura dopo l’altra?”.
Esce oggi il mio nuovo libro per le edizioni Lindau, I nuovi barbari. In Occidente è vietato pensare (e parlare)? In esclusiva per gli abbonati alla newsletter. Un tentativo di raccontare cosa è diventato il nostro «Occidente».
“Che aspettiamo, raccolti nella piazza? Oggi arrivano i barbari” (Kavafis)
Il fatto che la nostra epoca sia decadente (la più libera della storia e la più intollerante) e che ogni giorno ce ne fornisca una ulteriore prova non è sufficiente per gli ottimisti che ci assicurano che va tutto bene, variazione sul saggio e lo stolto, il dito e la luna. Oggi non siamo più nel nichilismo del XX secolo, ma in un nichilismo morbido, seducente, narcotizzante.
Non si può più giudicare nulla in una società senza scala di valori. E così prolifera la censura. In pochissimi anni, tre-quattro, si è instaurato un nuovo ordine intellettuale antidialettico che demonizza tutto ciò che lo minaccia. Liste nere appaiono ovunque. Sul clima, sulla razza, sul sesso, sull’islam, sulla storia. Purifichiamo. Escludiamo. Linciamo. Esiliamo. Ci mettiamo al passo. Siamo vigili. Con tutte le nostre forze. Giorno e notte. Mai abbassare la guardia.
L’onnipotente non-contraddizione consente ai «maestri della parola e del pensiero» di essere allo stesso tempo libertari e sovversivi, ribelli decorati e funzionari censori che decretano costantemente ciò che è discutibile e ciò che non lo è. Si sono dati i nomi più magnifici: progressisti, inclusivi, woke. La cultura si è ridotta ad arredare i salotti buoni. L’era dell’ottimismo panglossiano ha ammutolito ogni critica. Siamo nel postmoderno del relativismo generalizzato e dell’instabilità identitaria. Ci muoviamo da un’utopia debole all’altra. ù
Il nuovo conformismo affonda la lama nel burro di questo corpaccione culturale indefinito (la stessa «destra» oggi non è altro che la sinistra al culmine della sua fase senile). E la nuova superstizione («non esistono maschi e femmine, ma individui fluidi», «l’uomo bianco è razzista», «il velo è libertà»…) passa attraverso l’immensa botola delle banalità che è la nuova variabile progressista.
Intere industrie vivono di questo paradosso infernale. I Grandi Racconti? Ne abbiamo abbastanza. Dio? Morto. La morte? Dio. L’autoalienazione diventa la nostra ultima identità. Le vecchie identità sono pericolose, inutili, discutibili, sessiste, razziste, patriarcali, eurocentriche. L’islam ci atterrisce, così lo esorcizziamo dicendo che è una «religione di pace», e più che la fine della Storia assistiamo alla Storia che riaffiora ovunque, come un’erbaccia, in forme convulse e malefiche, come diceva Freud delle religioni morte che ritornano sempre nelle nuove religioni, ma in forma di demoni.
La società decade in sottoculture abortite. L’individualista postmoderno chiede solo applausi. Libertinismo di massa. Liberalismo di massa. Trasgressioni di massa. Mercato di massa. Migrazione di massa. Inciviltà di massa. Barbarie di massa. Omicidi di massa. La «massa» è l’ultimo aggregatore delle nostre catastrofi culturali.
E minoranze.
Minoranze ovunque. Sessuali, razziali, religiose. I diritti di protezione delle minoranze si trasformano in diritti alla maggioranza e in dovere di conformismo. Il pulsante «mi piace», premuto a ripetizione, diventa un diritto umano. L’aborto? Anche dopo la nascita. L’eutanasia? Per i bambini e per i disabili fisici e mentali. Non ci devono essere padri, madri, figli e figlie, maschi e femmine, culture, storie e nazioni. In cambio avrete solo il divertimento e la «creatività».
La modernità diventa la propria stessa caricatura. Tutti liberali. L’uniformità regna, la libertà si rivela nell’adattabilità a ogni situazione, la diversità porta all’omogeneità di un’ideologia dominante. La giostra dell’autoriflessione narcisistica gira sempre più veloce. Si rende omaggio a una mondana e dolce religione dell’umanità che deve superare tutto.
Siamo nel tempo dell’«umanaio globale» di Alexander Zinov’ev, l’autore di «Cime abissali», un pamphlet antisovietico che sarebbe divenuto un libro-culto della dissidenza. Le società occidentali hanno bisogno di un Supervisore. Tutto è negoziabile. I confini si dissolvono. La natura è una costruzione culturale. L’Occidente, si sente dire, è logocentrico e la storia europea è condannata dal sangue di tutti i popoli fuori dai nostri confini. L’Unione Europea è una impresa supermorale, la civiltà della fine delle civiltà.
L’occidentalismo progressista («siamo la civiltà più libera, democratica, inclusiva e progressista della storia») è la malattia senile dell’Occidente legittimato solo dalla devastazione culturale che provoca e dal risentimento che spera di esacerbare, mentre afferma di lavorare per il Bene. Oggi tutta la società occidentale diventa il laboratorio in cui si lavora all’uomo che agisce per ammaestramenti.
Secondo la vulgata pseudoprogressista l’immigrazione è sempre bene e le frontiere esistono soltanto per essere valicate, l’Occidente deve espiare di esistere, il genere è separato dal sesso ed esiste in infinite varianti, la famiglia naturale è male, il cristianesimo è un relitto da cancellare, la vita umana non inizia mai e finisce quando lo decidiamo noi, il transumanesimo è l’orizzonte dell’uomo contemporaneo… Si potrebbe continuare a lungo con questo campionario di affermazioni grottesche, e a lungo si potrebbe riderne, se le conseguenze non fossero libri proibiti, censurati e al macero; parole e idee vietate; intellettuali processati e accademici allontanati…
Perché la «diversità» è sì la nuova bandiera, ma non vale se a essere diverse sono le opinioni. Come si può continuare nella difesa di una civiltà di cui non ci permettiamo di vedere la straordinaria e mostruosa trasformazione? Una civiltà che, per uno strano paradosso, volendo emancipare l’individuo lo ha reso schiavo?
Restano così, sempre meno, autentici dissidenti. Perché la vita dello spirito in Occidente sta imparando da come si viveva a Est, sotto le meraviglie del «socialismo reale». Philippe d’Iribarne, direttore di ricerca al CNRS francese, su «Le Figaro» del 28 marzo 2021 spiega: «Cosa ci riserva il futuro? Possiamo dubitare che questo confronto ideologico sia meno duraturo di quello che si è sviluppato intorno al sogno comunista».
La demolizione delle statue dei grandi uomini della storia, la censura delle parole «sovversive», l’ammutolimento degli insegnanti che temono di essere percossi con le mazze ferrate dell’ideologia di turno, l’odio per i classici e i capolavori della letteratura con il pretesto che tramandano stereotipi razzisti, sessisti, xenofobi; le quote di colore in televisione, al cinema, nelle orchestre, ovunque; le ricompense ufficiali per i giornalisti che, nel servizio pubblico, forniscono propaganda a buon mercato; la tirannia dei bambini che impartiscono lezioni di morale agli adulti; la distruzione della lingua tramite la «scrittura inclusiva»… Cos’altro è, questa, se non un’epoca decadente? Si fatica a credere che sia reale.
Siamo bombardati ogni giorno da assurdi dogmi, slogan, hashtag, parole d’ordine. Si assiste a un vero e proprio lisenkoismo delle menti. La civiltà occidentale è gravata di tutti i peccati. Si lavora a un uomo senza storia, senza profondità temporale e sedimentazione storica, creatura «naturale» appiattita nel presente, viaggiatore senza valigia, migrante liquido, anche l’islamico ora è woke. Un umanitarismo senza precedenti sostituisce il principio della diversità dei popoli con quello dell’intercambiabilità integrale delle popolazioni. La difesa dei confini diventa non solo impossibile, ma illegittima, perché sulle rovine delle sovranità nazionali dovrebbe emergere un nuovo ordine, post-politico e post-stato.
E così le nostre democrazie sono come metafore cinetiche: c’è sempre qualche altro «balzo in avanti» nella nostra radiosa postmodernità che procede verso l’ominizzazione. Il Club Med mondiale che stiamo costruendo ha messo radici in un limo imbevuto di cultura nichilista, pazzoide, intollerante e tuttavia piena di «amore». Un totalitarismo soft e «aperto», che è poroso e osmotico, e aggrega a sé tutte le tendenze suicide che proliferano nelle società occidentali.
La chiamano «convergenza delle lotte». Complici di questo totalitarismo soffice sono blocchi di paesi, partiti politici, commissioni per i diritti umani, giudici, dirigenti sindacali, organizzazioni umanitarie «non governative», istituzioni internazionali, giornalisti, uomini d’affari, lobbisti, funzionari statali, conduttori televisivi,«artisti».
Anna Krylov, scienziata nata in Unione Sovietica e che oggi insegna all’Università della California (è una delle principali ricercatrici di quantistica molecolare), sul «Journal of Physical Chemistry Letters» del 10 giugno 2021 ha scritto: “Il paese indicato sul mio certificato di nascita e sui miei diplomi universitari, l’URSS, non è più sulla mappa. Ma mi ritrovo a vivere la sua eredità a migliaia di chilometri a Occidente, come se vivessi in una zona d’ombra orwelliana. Sono testimone di tentativi sempre maggiori di sottoporre la scienza e l’educazione al controllo ideologico e alla censura. Proprio come ai tempi dell’Unione Sovietica, la censura è giustificata dal bene superiore”.
Hanno iniziato colpendo chi più in alto non si poteva, il vicario di Cristo. Papa Benedetto XVI doveva andare a parlare alla Sapienza in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. Ratzinger non parteciperà, perché «incongruo» e non in linea con la «laicità della scienza», sentenziarono un centinaio di docenti firmatari di una lettera al rettore, Renato Guarini. Avrebbero voluto un papa meno «retrogrado». Più vicino alle persone. Più «in sintonia con la società».
Con gli incantesimi della contemporaneità e l’innegabile prestigio dei nuovi costumi del secolo. Un papa cittadino. Un papa che lascia la Santa Sede, una volta per tutte, per non tornare mai più. Un papa che fa cancel culture in Vaticano, che prende una posizione ferma a favore della procreazione assistita come per il matrimonio dei preti e l’ordinazione delle donne. Un nuovo papa come ci sono i nuovi padri. Un papa che fa campagna per le piste ciclabili. Un papa preoccupato per il miglioramento della qualità dell’aria. Un papa come noi. Ecco perché Ratzinger dava così fastidio.
L’ex refusenik sovietico Natan Sharansky in un saggio ha spiegato che il politicamente corretto è nato in Unione Sovietica. Il condizionamento ideologico, la proscrizione di un numero di parole, l’obbligo di celebrare l’ideologia anche quando la realtà la sconfessa, la partecipazione a rituali di odio pubblico, la denuncia di chi contraddice i diktat e, pur nell’evidente differenza fra un sistema che uccideva e uno che al massimo ti cancella, gli ex dissidenti sono atterriti dalle somiglianze.
Le speranze di uguaglianza illimitata che la vecchia ideologia aveva dato all’uomo, anche se non viveva sotto un regime comunista, e anche se queste speranze erano state rapidamente disattese, lungi dallo scomparire si ricostituiscono in polvere di neo-soviet che esercitano la loro tirannia su coloro che fanno parte del gruppo, poi trasmettono questa tirannia e la estendono a tutta la società, costretta a inchinarsi così che tutti i diritti alla differenza sommati portano all’unico diritto fondamentale: il diritto alla deferenza.
E le «offerte» comunitarie sono quelle che non si possono rifiutare poiché parlano di giustizia, tolleranza, amore, equità, inclusione e apertura agli altri. Questo si traduce immediatamente in insaziabili richieste di leggi repressive che proliferano ovunque in Occidente.
La storia scompare dietro la lezione che si pretende di trarre da essa. Solo l’individuo senza storia è liberale e progressista. Anche lo scetticismo, la virtù classica degli illuministi, è sospetto per i nuovi senzatetto della cultura. La nostra società tardo-moderna soccombe a una nuova ortodossia. La pressione ad adattarsi continua ad aumentare. Ogni «fobia» va sradicata. Nel momento in cui la lotta di classe ha perso fascino, i «marxisti culturali» hanno usato le leve della società libera contro di essa.
Le élite sono i mandanti di una teleologia della storia che è la vittoria dell’«Occidente», che è la mega civiltà universalista e liberale di sinistra che diverrà una sorta di grande New York multiculturale, inclusiva, tollerante, aperta e diversificata, islamofila e Lgbt (no, le contraddizioni non contano), dove le persone non sono più destinatarie di origine, cultura, religione, tradizione o sesso, ma androgini da progettare. «Siamo come tribù che hanno perso la propria identità», ha detto il grande scrittore americano Cormac McCarthy.
Perché dobbiamo tutti dimostrare di pensare come gli altri, così prendiamo in prestito parole d’ordine che saranno viste come segni di mobilitazione e fedeltà al regime. Anche chi devia discretamente dall’ortodossia deve prima praticare la genuflessione davanti alle parole d’ordine (clima, migrazioni, inclusione, diritti), denunciare ritualmente i nemici del regime. Ciò che ha fatto la nostra civiltà non è più difendibile se non passando per «conservatori» o «reazionari». E più questa «diversità» è conflittuale, più siamo costretti ad amarla. Ci aspetta un Occidente in cui il «cambiamento» sarà l’unica cosa permanente. E guai a mettere in discussione il cambiamento. Chi vuole rimanere indietro?
Un nuovo barbaro ha instaurato in Occidente un clima di paura che porta ad applausi unanimi di cose sempre più strane e detestabili. Disperazione mascherata da pensiero positivo, sorriso da clown su un volto di orrore.
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