I nuovi fideisti

Melloni_Ferrara

Alberto Melloni e Giuliano Ferrara

Il Foglio 30 giugno 2005

Laici e cattolici antiratzinger si appellano alla pura fede e all’umanità di Cristo. Perché?

Giuliano Ferrara

Non sono mai stato così lontano dalla fede, almeno come capacità di proferire in pubblico una confessione di fede cristiana, eppure mai sono stato così vicino alla Chiesa. Infatti la Chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI non mi chiede necessariamente la conversione, non mi impone l’adesione ideologica a un credo fondato su “valori” (parola equivoca), come esigono invece i laicisti chiesastici più pomposi e conformisti; mi sollecita invece a usare quella che Joseph Ratzinger chiama “l’etica della ragione”, soprattutto in tema di vita e libertà, e valorizza con Giovanni Paolo II l’elemento culturale (profondo e radicale) della novità cristiana, si dispone a battaglie sensate e razionali intorno al destino di irrazionalismo e nichilismo della parte di mondo, l’occidente, in cui penso di avere le mie radici e la mia identità (parole di cui i laicisti diffidano, senza spiegarsi).

Sarebbe questo il paradigma dell’ateo devoto, sebbene le parole ateo e devoto non mi riguardino e siano solo uno scherzo polemistico ritorsivo nel quale chi doveva cadere è bellamente caduto (le varianti ancora più insipide sono laico devoto o teocon o cristianista). Accade così che alcuni uomini di fede, fedeli e fors’anche fideisti, trovino insopportabili le nostre posizioni.

Prendete Alberto Melloni, intelligente e qualche volta spericolato storico del cristianesimo alla scuola di Bologna (Giuseppe Alberigo, lo spirito giovanneo, il Concilio tradito eccetera), cattolico e militante, antiromano e antipapista, banditore di una Chiesa deistituzionalizzata, aerea, pneumatica, mondo tra i mondi che ascolta l’uomo contemporaneo e i segni dei tempi, e che confessa la verità di fede attraverso esperienza e solidarietà, mettendo da un canto la fredda dottrina, lo spettro “veritativo” rimesso in auge dal papato giovanpaolino e dal cardinale Ratzinger nel mezzo secolo circa che ci divide dal ciclo del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Nel Corriere dell’altroieri Melloni sostiene, recensendo un gran libro di storia del cristianesimo, che la Chiesa sta rimuovendo l’umanità di Cristo per trasformarsi in un’agenzia di “valori morali semidurevoli”; che questa rimozione è la ripresa inconsapevole dell’eresia monofisita, che chi “si tiene cara la divinità di Cristo” lo fa perché la Chiesa mantenga l’ultima parola in fatto di comando dottrinario e morale invece di ascoltare la parola del tempo e dell’uomo concreto; e tutto questo nella Chiesa procede, secondo Melloni, attraverso la istituzionalizzazione rigida dei suoi protocolli e della sua stessa immagine, sottratta alla dimensione della storia anche nella gestione dei funerali del Papa, che hanno ridimensionato la Chiesa a materia inerte sulla quale svettano i pontefici, detentori dell’aborrito “comando morale”.

Di tutto questo i cattolici e i cristiani devono liberarsi, per lo storico conciliarista, allo scopo, in verità piuttosto tautologico, di “permettere alla fede cristiana di essere se stessa”.

Il costo è forse una trasparenza del divino fino all’illegibilità, una rinuncia al catechismo per una protestante “pedagogia di Dio” che parla solo attraverso la coscienza dell’individuo, ma soprattutto lo spregio in cui ha da tenersi la convergenza tendenziale, mai formalmente definibile ma operante per vie provvidenziali e culturali (a seconda si creda o non si creda), tra fede e ragione.

Un’eresia, per lui. Il risultato è che Ratzinger “dona” lo splendore del catechismo anche ai non credenti, e Melloni invece brandisce la storicità del cristianesimo, cioè la sua completa relativizzazione temporale, contro gli infedeli. Il Papa è a suo modo razionalista, e si spinge fino a offrire un Dio che è pura ipotesi (fate come se Dio esistesse) per progredire verso una bona vita eticamente fondata, mentre il Conciliarista è fideista in nome della storia. Infatti la ragione è un calco o un riflesso della realtà naturale, la Storia un notorio idolo. Fideisti e idolatri.

Anche Massimo Cacciari, tra una predica filosofica e l’altra all’ombra delle cattedrali, si dà da fare. Non si batte per il riconoscimento della realtà fisica e razionale dell’embrione, al contrario, e non fa pellegrinaggi alla Frate Indovino in compagnia dei movimenti cattolici e dei fedeli che resistono alle crociate laiciste in nome della ragione laica e della vera scienza. Disprezza le pretese kantiane di un Buttiglione di distinguere tra morale e diritto, e di usare la parola “peccato” in un contesto pubblico. Disprezza anche lui ogni forma di dottrinarismo catechistico e, uscito dalla cattedrale mediatica Raiextra, rimprovera alla Chiesa ratzingeriana (in un’intervista a Repubblica) mancanza d’amore.

Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano che per Cacciari doveva essere senz’altro eletto Papa, aveva detto che il cristianesimo è prima di tutto un “complesso d’amore”. E l’amore è sempre un bel fiore in ogni eloquio. Così, all’ombra dell’amore, il filosofo che voleva eleggere il Papa si spinge, ora che le cose sono andate altrimenti, a spiegare al Papa che cosa deve fare, invece di “donare” il catechismo a credenti e non credenti: “Penso che queste forme siano le meno adatte a predicare il verbo”, dice il brillante nichilista che assimila il “Dio è morto” di Nietzsche alla Pasqua cristiana.

Che però si chiama Pasqua di resurrezione, perché secondo loro è risorto. La differenza è tutta lì, ma non è piccola.