di Anna Bono
«Gli ambientalisti spesso sono incoerenti. Ad esempio, a volte sostengono che l’uomo fa parte della natura e non ha più diritti di un gorilla o di un rinoceronte; altre volte invece ne fanno un caso a sé: l’unica specie vivente a cui si rimprovera di modificare l’ecosistema e di servirsene per vivere. Così se una famiglia di elefanti inquina una pozza d’acqua bevendo e sguazzandoci dentro fino a trasformarla in un pantano, poi spoglia e abbatte una macchia di alberi per mangiare e per sfregarsi contro la corteccia e alla fine se ne va, lasciando dietro di sé un disastro, nessuno trova niente da ridire: è il mondo naturale con le sue dinamiche e le sue leggi.
Per gli ambientalisti preoccupati ogni attività umana costa energia e sottrae qualcosa alla natura e dunque, alla fine, seppure volta a risanare l’ambiente, si risolve in un danno. Per loro ogni spostamento, ogni pasto, ogni abito che indossiamo, ogni mattone, ogni tegola, ogni singolo scaffale della nostra libreria e tutti i libri che contiene comportano un consumo di energia e un’alterazione dell’ecosistema che avvicinano il momento in cui la Terra diventerà una roccia sterile, senza vita.
Non deve stupire perciò se il Global Footprint Network, l’istituto fondato nel 2003 per misurare l’impronta ecologica di individui e stati e per proporre nuovi stili di vita a salvaguardia della natura, considera l’«autosufficienza» della poverissima Corea del Nord un «esempio positivo da imitare per sanare il deficit ecologico e rientrare dentro un uso sostenibile delle risorse».
Qui, tra l’altro, gli ecologisti mostrano di essere non soltanto incoerenti, ma anche male informati perché la Corea del Nord riceve costantemente aiuti alimentari e sanitari dal resto del mondo, se no i suoi abitanti morirebbero di fame e stenti più di quanto già non accada. Inoltre costituisce uno dei casi più gravi di deterioramento ambientale e di sfruttamento selvaggio delle risorse naturali: le foreste nordcoreane si stanno rapidamente riducendo e impoverendo in termini di biodiversità, l’inquinamento idrico e quello atmosferico peggiorano di anno in anno, numerose specie animali tra cui la tigre siberiana e il leopardo dell’Amur rischiano l’estinzione.
Di questo e altro si parla nel nuovo libro di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, già autori di altri volumi dedicati a smascherare le bugie degli ambientalisti e l’ideologia che le produce. In I padroni del pianeta Cascioli e Gaspari demoliscono per prima la teoria dei «limiti dello sviluppo» sostenuta fin dagli anni 60 del secolo scorso dal Club di Roma, i cui scienziati previdero l’esaurimento del petrolio e di tutti i metalli entro il 1992 (l’oro, ad esempio, nel 1981, l’argento e il mercurio nel 1985, lo zinco nel 1990). Non si tratta soltanto di evidenti errori di calcolo, dal momento che le previsioni degli anni 60 non si sono avverate.
Secondo Cascioli e Gaspari, il fatto è che le risorse non sono limitate: innanzi tutto perché le «risorse» non sono le materie di cui il nostro pianeta è composto né gli esseri viventi vegetali e animali che lo popolano, bensì i mezzi e gli strumenti che l’umanità via via inventa per soddisfare i propri bisogni servendosi di minerali, piante e animali. In secondo luogo non sono limitate perché, al contrario di quanto affermano molti ambientalisti, la Terra non è un sistema chiuso e quindi ad essa non si applica la legge dell’entropia come sostiene il Global Footprint Network.
Ma l’abbaglio fondamentale – spiegano gli autori – è non rendersi conto che «non c’è un limite alle risorse perché non c’è un limite alla potenzialità e alla creatività dell’uomo, la vera, grande risorsa». In quest’ottica l’errore davvero fatale sarebbe diradare l’umanità e costringerla a vivere al minimo come i nostri antenati cacciatori raccoglitori o come, appunto, i nordcoreani portati a modello per l’impronta così lieve che imprimono al mondo.
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Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, I padroni del pianeta ed.Piemme