Parrocchia di Santa Rita – Viareggio (Lu)
I PADRONI DEL PIANETA
Le bugie degli ambientalisti su incremento demografico,
sviluppo globale e risorse disponibili
Antonio Gaspari
(scrittore e giornalista)
(trascrizione non rivista dal relatore)
Può sembrare che temi del genere, di tipo tecnico, come l’ambiente, le risorse o lo sviluppo abbiano poco a che fare con i temi cari ai cattolici, invece, al di là del fatto che i cattolici vivono la realtà e devono acquisire criteri di giudizio che gli permettano di riflettere su tutto, vedremo che si scontrano due visioni dell’uomo. Gli ambientalisti hanno una visione dell’uomo estremamente negativa e pessimista: non si considera più l’uomo, come è per i cattolici, il vertice della creazione ma addirittura un cancro per il pianeta.
Non c’è più la visione dell’uomo come risorsa fondamentale per la soluzione dei problemi ma come problema in se stesso, quindi secondo questa ideologia – e tutti ne siamo stati influenzati nel tempo – continuiamo a sorbirci da decenni allarmismi sul mondo che starebbe per scoppiare perché sovrappopolato, di un mondo al tracollo a causa dell’inquinamento o perché le risorse stanno esaurendosi.
Facendo leva su questi allarmismi gli ambientalisti e gli adepti di ideologie affini non fanno che proporre e predicare una regressione dello sviluppo economico e tecnologico e soprattutto premono sulla necessità di ridurre la popolazione attraverso l’aborto o la sterilizzazione forzata.
Non mi dilungo oltre per lasciare spazio all’autore, soltanto due notizie su Antonio Gaspari, giornalista e scrittore, coordinatore del master in scienze ambientali dell’Università europea di Roma, presidente dell’associazione Cristiani per l’ambiente e collaboratore del settimanale Tempi, del quotidiano Avvenire, della rivista Il Timone e di molte altre pubblicazioni; inoltre collabora con l’Agenzia di informazione on line Zenit. Infine ha scritto diversi libri, soprattutto su questi temi, e gli ultimi insieme ad un altro scrittore, Riccardo Calcioli.
Anche questi hanno titoli emblematici: due sono dedicati a Le bugie degli ambientalisti, un altro, Che tempo farà, riguarda un altro tema controverso come il presunto riscaldamento globale e i cambiamenti climatici.
Antonio Gaspari: Sono un po’ imbarazzato a parlare con le spalle al crocifisso. Non sono abituato, ma don Luigi questa sera ci ha autorizzato… Capisco che ci sia una grande delusione su quelle che erano le utopie ambientaliste, a forza di predicare catastrofi questo non è più un tema piacevole ma dovete capire che soprattutto per noi cattolici la rivoluzione sociale che la Dottrina sociale della Chiesa vuole presentare ha una visione completamente differente dei problemi ambientali e si identifica con una grammatica che si chiama “ecologia umana”.
Se andiamo a vedere la realtà dei fatti ci rendiamo conto che il rapporto con l’ambiente solleva una serie di misteri, che sono decisivi non solo per capire l’esistenza della vita, il perché della vita e come deve essere la vita. Non so se ci avete mai pensato ma nel nostro sistema solare, e in altri duecento sistemi solari che sono riusciti a vedere, ad eccezione della Terra vita non ce n’è. Il nostro pianeta è unico e solo col calcolo delle probabilità immaginiamo che nell’Universo, che ha milioni di sistemi solari, ci sia qualche altro pianeta con le stesse condizioni o, secondo la teoria evoluzionista, con condizioni simili e che pertanto ci possa essere la vita.
Di recente ho letto il libro di John Babel, astrofisico della Royal Society, il quale ha provato a mettere insieme tutte le conoscenze di base del nostro pianeta: scientifiche, fisiche e matematiche, rimanendo colpito dal fatto che c’è una unicità di condizioni che hanno permesso la vita da essere impensabile che tutto possa essere avvenuto in maniera probabilistica. Ci sono tutta una serie di fenomeni su questo pianeta da far pensare che sia qualcosa di speciale, di particolare.
Per forza deve esserci un Creatore, di una intelligenza incredibile. Faccio alcuni esempi. Tutto il sistema vitale si basa sul fatto che respiriamo ossigeno e che la nostra atmosfera contiene ossigeno, la cui percentuale media è del 21%, rimando stabile indipendentemente dal fatto se ci sono più o meno piante. Se questo 21% diventasse il 23% il pianeta rischierebbe di bruciare, perché con tanto ossigeno alla prima fiamma andrebbe tutto in fumo. Se invece scendesse sotto il 21% per molte specie diventerebbe difficile respirare. E’ una condizione unica e particolare, che varia continuamente.
Lo stesso per l’acqua. Se in questi giorni leggete i commenti delle persone che per prime sono andate sulla Luna troverete che alcune sono commoventi. Armstrong dice: «Io ho sempre amato il nostro pianeta ma vederlo da fuori è una esperienza straordinaria. Sono tornato con un amore per l’umanità e questo pianeta che non avrei mai immaginato». Perché è un pianeta bello, pieno d’acqua e a vederlo da fuori è una gemma, una cosa fantastica. Qui c’è una vita – flora e fauna – colorata, il cielo poi è blu ma solo da qui sulla Terra, perché fuori il cielo è nero.
E poi questo pianeta è grandioso perché c’è l’umanità. E’ vero che siamo delle formichine, dei batteri se pensiamo alle nostre dimensioni rispetto all’Universo. Siamo su una cosa che gira, sospesa abbastanza vicino al Sole per riceverne il calore, con una atmosfera che ci protegge dalle radiazioni negative e un campo magnetico che ci impedisce di assorbire le radiazioni nucleari prodotte dalle esplosioni solari, ma non siamo neppure lontani dal Sole, come Marte, da essere un gelido deserto. Noi esserini, ciascuno con mille problemi, siamo veramente, come dice la Genesi, fatti a immagine e somiglianza di Dio, perché noi, così piccoli, siamo anche così grandi: gli unici in grado di comprendere le leggi che regolano l’Universo.
Siamo così capaci di guardare e immaginare nella nostra mente l’intero Universo da comprendere anche le leggi che lo regolano e costruire macchine che si muovono seguendo quelle leggi. Non siamo uccelli e non sappiamo volare, eppure abbiamo costruito macchine che volano; sappiamo nuotare ma per attraversare gli oceani ci vuole ben più che qualche bracciata. Siamo insomma qualcosa di terreno ma destinato al cielo e la nostra aspirazione al bene, verso l’altro, verso il Creatore è evidente anche in azioni come l’andar a conoscere come è fatta la Luna.
Rileggevo in questi giorni l’avventura straordinaria di questi uomini che sono atterrati sulla Luna, il cui progetto era certamente militare ma li ha portati fin lassù e chiamarli temerari è dire poco. Per almeno cinque volte la missione è stata cancellata ma questi hanno continuato, hanno pensato che non si potevano fermare a costo di rischiare la morite nel nulla dell’Universo. L’uomo dunque non è il cancro del pianeta ma è portatore di vita e noi oggi abbiamo la tecnologia per andare a colonizzare altri pianeti.
Quello che voglio dire è che riflettere sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente significa anche in un certo senso considerare il mistero della nostra esistenza e cominciare a guardare le relazioni che garantiscono tutto questo. La questione ambientale è la questione sociale di questo inizio di terzo millennio. Non c’è attività economica che non possa non tener conto degli aspetti ambientali: l’uso delle risorse, l’efficienza, i costi sociali legati all’utilizzo delle risorse.
Tutti i progetti di sviluppo, il 60% delle nuove ricerche in ambito europeo e internazionale sono per il miglioramento ambientale, quindi l’ambiente è sicuramente un tema centrale e basta aprire un qualsiasi giornale per trovare non uno ma quattro o cinque articoli che parlano di ambiente.
E’ evidente quindi che il rapporto uomo-ambiente in questa società post industriale è centrale ma il problema è che negli ultimi venti, trent’anni di dibattito culturale la grammatica, il modo in cui è stato visto questo rapporto è il peggiore di tutta la storia, perché l’ambiente è stato contrapposto alle attività umane, perché l’uomo non sarebbe per questo mondo ma contro, perché l’idea di un Creatore è stata cancellata e quello che la Genesi considera fatto a immagine e somiglianza di Dio è diventato un rapace inquinatore che sfrutta tutte le risorse del pianeta. E’ questo è il punto.
Quarant’anni fa c’era un’associazione molto forte, il Club di Roma, composto da gruppi dirigenti e guidato da un signore che si chiamava Aurelio Peccei, quello che ha creato appunto il termine “uomo cancro del pianeta”. Era un uomo potente – il Partito radicale lo candidò alla presidenza della Repubblica italiana – che riusciva a riunire i più potenti della terra i quali condividevano il suo punto di vista, ovvero che l’uomo stava crescendo troppo in fretta, sia in numero che in consumi.
Da alcuni scienziati del Massachusetts Institute of Technology, l’università più prestigiosa del mondo che ancora oggi produce più del 40% dei brevetti tecnologici, fecero scrivere alcuni libri il cui titolo era già emblematico: i limiti dello sviluppo. In essi si diceva che l’uomo cresce troppo in fretta, fa troppi figli e i bambini sono un problema, quindi occorre limitare le nascite.
Ma limitare le nascite è una follia, è il male, non è nella storia dell’uomo ma si deve fare perché stiamo inquinando e divorando il pianeta. E’ la tesi maltusiana secondo cui la crescita della popolazione è troppo rapida e di ordine geometrico mentre la crescita dei beni è matematica, quindi si crea una forbice secondo la quale non ci sono abbastanza beni per tutta la popolazione.
Inoltre le attività industriali stavano, secondo loro, esaurendo le risorse del pianeta. Questo modo così folle di vedere le cose è diventato la parola d’ordine non solo nei governi nazionali ma anche nelle istituzioni internazionali, tanto che queste ultime anziché dedicare fondi per favorire lo sviluppo, combattere la povertà, portare i mezzi necessari a vincere il sottosviluppo li hanno dirottati per favorire aborti, sterilizzazioni, riduzione delle nascite e riduzione delle famiglie. I risultati sono stati devastanti.
Secondo le Nazioni Unite negli ultimi vent’anni ogni anno ci sono stati quarantacinque milioni di aborti legali, una cifra spaventosa e sottostimata. In vent’anni sono state novecento milioni le persone a cui è stato impedito di nascere, per non parlare dei trentasei milioni di donne sterilizzate solo in Brasile o delle duecentomila sterilizzate in Perù e così via. Una serie di orrori che sono stati presentati come il prezzo necessario da pagare a Gaia, la dea pagana che nella mitologia greca rappresentava la Terra, per salvare il pianeta.
Questo modo di pensare si è rivelato pure manicheo. Il pianeta è stato paragonato ad una torta in cui ci sono risorse limitate ma dove le bocche che mangiano questa torta crescono e più si avvicina il momento in cui la torta finirà, più la gente farà le guerre per accaparrarsi le ultime materie prime. Dunque una idea di Universo come sistema chiuso.
Da qui sono derivate una serie di considerazioni che ci hanno portato a scenari tutti dell’orrore. Se andate a leggere gli articoli di questi ultimi trent’anni frutto di questo pensiero e di questa ideologia vedrete che sono tutti scenari catastrofici: l’acqua finirà, non avremo più materie prime, siamo troppi sulla terra, i ghiacci si sciolgono, aumentano le malattie, la carne non si può mangiare perché fa venire il cancro…
Un giornalista americano ha provato a mettere insieme tutte le argomentazioni catastrofiche dei Verdi e credo abbia superato il numero di novemila grandi “minacce”. In generale tutto ciò ha avuto tremende conseguenze, perché da una parte sono state impedite tutta una serie di attività – in Italia non si potevano fare neppure più i parcheggi – e sopratutto nel Terzo mondo è stato impedito lo sviluppo. In termini di risultati è stato un disastro e nel nostro Paese siamo indietro di vent’anni in termini di infrastrutture ma soprattutto ha prodotto questa mentalità così pessimista e credo nella storia non ci sia mai stata una filosofia capace di convincere tutti quanti che l’uomo è un cancro del pianeta.
Negli Stati Uniti c’è un movimento che si chiama Human Voluntary Extinction, estinzione volontaria dell’umano, il quale sostiene che se si vuole salvare Gaia dobbiamo eliminare gli uomini e meno uomini ci saranno sul pianeta più Gaia vivrà. A loro non va bene neppure la politica del figlio unico in Cina ma vorrebbero la sterilizzazione volontaria.
Ho incontrato un rappresentante di questo movimento in un dibattito su Raitre e devo dire che era veramente di una tristezza infinita: all’età di venticinque anni si è autosterilizzato per salvare il pianeta e ancora adesso predica questa cosa, ciò gli ha impedito di farsi una famiglia, di avere relazioni sociali, dei figli però continua a predicare questo verbo.
Ma non si tratta solo di questo. Per decenni la decrescita demografica è stata considerata un qualcosa di necessario ma possiamo oggi toccare con mano che è la principale causa della crisi, non soltanto economica ma anche morale del nostro tempo. L’Enciclica Caritas in veritate è stata presentata in Vaticano il 7 luglio ed è stata firmata da Papa Benedetto XVI il 29 giugno e nel capitolo dedicato all’ecologia dice chiaramente che la causa della crisi è il crollo demografico.
Avere accettato di impedire la nascita di centinaia di milioni di bambini e bambine non solo ha impoverito umanamente tutti, non solo ha creato una crisi morale, oggi che mai siamo stati così ricchi ma ha alterato tutta l’economia, perché i prezzi sono aumentati, le tasse sono aumentate, le infrastrutture non sono state costruite.
Tanto che Ettore Gotti Tedeschi, un banchiere italiano abbastanza noto nel mondo della finanza e di cui si parla come prossimo direttore dello Ior vaticano, ha rilasciato una intervista al Corriere della Sera subito dopo la pubblicazione dell’enciclica proponendo il premio nobel per l’economia al Papa. Quando l’intervistatore ha chiesto come mai voleva proporre per il Nobel il Papa, Gotti Tedeschi ha risposto che l’enciclica aveva tutta una serie di qualità; l’intervistatore ha allora obiettato che per avere il Nobel occorrono argomenti forti e non solo delle buone considerazioni. La sua risposta è stata che il Papa ha avuto il coraggio di dire ciò che molti economisti sanno già e cioè che la causa della crisi è il crollo demografico.
Se la base sociale si riduce tutto il processo dinamico dell’economia crolla, se poi nella società la proporzione tra anziani e giovani si inverte – ci sono più anziani che giovani – tutto il sistema pensionistico ne soffre. Si avvia insomma un processo di suicidio che in economia – dice Tedeschi – si misura con l’aumento della speculazione, l’aumento dei prezzi e la riduzione dello sviluppo e dei benefici.
L’osservazione dell’intervistatore allora è stata: perché non l’avete detto? Qualcuno lo ha detto, ha replicato Gotti Tedeschi, ma le questioni riguardanti la crescita demografica, e ciò che la Chiesa ha sempre detto su questo, sono state considerate non scientifiche e razionali ma questioni di fede e quindi fuori dalla realtà. In questo modo la Chiesa, che pure denunciava questo stato di cose, è stata messa a margine e non è stata presa sul serio. Questo è il punto.
Giustamente l’enciclica spiega e ribadisce che per uscire fuori dalla crisi occorre operare una rivoluzione sociale in cui l’umanità, vilipesa e attaccata, faccia una svolta totale tornando a suscitare e costruire quella speranza per cui si torni ad una crescita demografica, alla quale seguirà anche una crescita economica. L’enciclica dice che non ci sarà nessuno sviluppo senza crescita demografica.
I danni che una certa ideologia ambientalista ha fatto sono evidenti e ci sono due capitoli che parlano di questo. Credo non ci sia stato documento pontificio e magisteriale più chiaro. L’ideologia è condannata per i suoi effetti e per le sue argomentazioni. Quello che noi abbiamo fatto nel libro è far vedere come tutta l’argomentazione sia sulla questione della crescita della popolazione ma soprattutto sulla questione delle risorse non risponde alla realtà; perché secondo i malthusiani le risorse sono fisse e dato che aumentano i consumi prima o poi finiranno. Ma questa è una argomentazione del tutto erronea, perché è erroneo il concetto di risorsa.
Moltissime delle cose che noi oggi chiamiamo risorse in realtà non lo erano e non lo sono mai state. E’ l’uomo e la sua tecnologia, la sua crescita come società che trasforma dei materiali in risorse e posso farvi esempi infiniti. Cominciamo dal petrolio. Il petrolio sappiamo per certo che era già conosciuto nel 1200, ne parla marco Polo ne Il Milione. In uno dei suoi viaggi verso la Cina Marco Polo passa in Iran e vede delle pietre che bruciano, erano gas e petrolio che bruciavano. Ma cos’è il petrolio? Una sostanza facilmente infiammabile, inquinante, puzzolente, appiccicosa. A Napoli direbbero che è ‘na munnezza’, e in effetti è così.
E’ il risultato di millenni di decadimento vegetale e animale, è un combustibile fossile che se cade in mare fa morire tutto quello che c’è, lo stesso se si versa in un campo. Allora perché è diventato una materia prima? Perché nel momento in cui abbiamo sviluppato la tecnologia che raffina quella sostanza e la utilizza per produrre materie plastiche, la utilizza come combustibile per produrre energia, per scaldarsi e per la locomozione è diventata una risorsa. Siamo noi uomini che abbiamo fatto diventare il petrolio una risorsa.
Faccio un esempio ancora più avanzato: qual è l’industria oggi più grande nel mondo? E’ quella dei computer e non c’è attività economica o ludica che non utilizzi il computer per trasmettere dati. Ma da dove nasce la tecnologia e l’innovazione del computer? Certo, è fatto di plastica, un po’ di rame, ha bisogno di elettricità ma non tanta e di un collegamento alla rete telefonica ma tutto viene dall’intuizione di qualche persona che ha trasformato il silicio – che è nella sabbia – ovvero l’elemento più comune nel nostro pianeta dopo l’ossigeno, in un microprocessore, in un chip, in una memoria.
La sabbia è una risorsa? Si, forse per l’edilizia ma non è certo un gran che; eppure chi ha fatto questo? L’uomo, che ha fatto diventare un granello di sabbia l’attività e l’industria più importante al mondo. Voi direte: si va bene, ma l’acqua… prima o poi l’acqua dolce finirà perché la stiamo usando poco e male. Tutto giusto e vero, la potremmo usare in maniera molto più efficiente ed è giusto educare i bambini a chiudere il rubinetto e ad avere una vita sobria ma non mi si venga a dire che questo pianeta non ha l’acqua e che è una risorsa finita.
Noi siamo il pianeta di tutto il sistema solare, e non solo, che ha più acqua di tutti, i due Poli da soli hanno una tale montagna d’acqua che voi non immaginate neanche. Il ciclo dell’acqua del nostro pianeta è una cosa straordinaria e se noi raccogliessimo tutte le piogge che cadono tutte le terre emerse sarebbero sommerse da un metro e mezzo d’acqua. Di acqua insomma ce n’è , poi sicuramente – e qui interviene il peccato dell’uomo – ci sono persone che anziché pensare all’acqua come a un bene universale la considerano un bene personale e possono fare speculazioni: prendere l’acqua a poco e rivenderla al massimo.
Il problema è questo e non che manca l’acqua; è un problema di cattiva gestione, di speculazione, di cattivo utilizzo e di inefficienza. Il 70% dell’acqua dolce è usata per l’irrigazione e possiamo anche farci meno docce ma non è questo il problema. Semmai dobbiamo rendere più efficiente l’irrigazione perché non possiamo ridurla, dato che la produzione di cibo, diventata molto forte, dipende dal fatto che riusciamo a dare abbastanza acqua alle piante.
Se noi usassimo il sistema che usano già gli israeliani – l’irrigazione a goccia – potremmo moltiplicare la disponibilità di questa risorsa. La questione quindi non è: è colpa dell’uomo che è cattivo e che usa male l’acqua, ma che il Creatore ci ha messo a disposizione una risorsa enorme e sta a noi saperla usare al meglio. Inoltre quando parliamo d’acqua intendiamo l’acqua potabile, ma per farla diventare tale la trattiamo, anche se è vero che l’acqua delle piogge è potabile. Voglio dire: anche l’acqua potabile in un certo senso è qualcosa che noi produciamo.
A questo proposito voglio raccontare una esperienza personale. Lo scorso anno sono stato in Terra Santa e sono partito dal Sinai, che è veramente un deserto desolato, dove per chilometri e chilometri non si vede una piantina di acacia ma soltanto rocce erose che si sgretolano, con temperature infernali: cinquanta gradi di giorno, un po’ più fresco la notte.
Camminando sull’autostrada verso la valle del Giordano ogni tanto, in questo tremendo deserto, si incontrano kibbutz israeliani che sembrano miraggi: foreste di palme piene zeppe di datteri, fontane, allevamenti; piante di un verde esagerato. Mi sono fermato incredulo e gli israeliani hanno detto: non è così difficile, usiamo l’escursione termica per raccogliere l’acqua. Hanno insomma delle tecniche avanzatissime e poi non è vero che in quei posti non piove, solo che nel deserto quando piove l’acqua scompare quasi subito; loro invece la raccolgono.
Quando ho osservato che in questo modo si può fare verde tutto il deserto hanno detto: certo! Allora tutta questa storia che manca l’acqua… Israele è in una delle zone più aride del mondo e ha acqua in abbondanza, là potete fare la doccia ogni giorno, allora cosa manca per fare verde il deserto? I soldi da investire? La tecnologia? No. Mancano le persone. I giovani non vanno più a lavorare nei kibbutz, nonostante gli offrano buoni stipendi e la possibilità di non fare il militare, che là dura tre anni. Tutto ciò cosa dimostra? Che noi abbiamo la possibilità di far fiorire i deserti ma ci mancano le persone e questa è una realtà, un fatto vero.
Di sicuro è il contrario di quanto ci hanno detto fino ad ora e cioè che per salvare l’ambiente dobbiamo impedire di far nascere bambini. Vi renderete conto che questo cambia il senso della discussione: le risorse sono funzionali alla nostra capacità di usare la conoscenza scientifica e applicarla a nuove tecnologie. E noi abbiamo già questa capacità ma c’è un dramma di ordine morale. Giovanni Paolo II e oggi Benedetto XVI hanno più volte detto che oggi viviamo in un periodo che è il più ricco di tutta la storia dell’umanità e mai l’umanità è riuscita a produrre tante merci come oggi. Tante volte non ce ne rendiamo conto ma viviamo in una epoca di Rinascimento tecnologico e scientifico.
Se accendiamo il nostro computer e vogliamo fare anche una piccola ricerca abbiamo a disposizione una biblioteca mondiale; oppure pensiamo alla comunicazione: possiamo parlare con persone che stanno dall’altra parte del globo in tempo reale e con pochissimo denaro. Tutto questo con un impatto ambientale assolutamente ridotto.
Pensate alla lettera e a quale impatto aveva il vecchio sistema postale. Scrivere una lettera ad un amico in Cile significa avere a disposizione l’inchiostro, la carta, la penna; poi si porta alla cassetta della posta dove un mezzo a motore la preleva e la porta al centro di smistamento, da lì all’aeroporto, poi alla ferrovia e all’arrivo stessa trafila.
Pensate a questa lettera e a quante persone, quanti mezzi – e dunque impatto ambientale – occorrono per recapitarla. Riguardo l’efficienza, se scriviamo una lettera qui a Viareggio e la spediamo al nostro amico in Cile, più o meno la riceve tra sette giorni. Con i computer al mio amico cileno non scrivo lettere ma mando in un secondo libri, l’enciclopedia se voglio; e lui risponde dopo un attimo con impatto ambientale ridicolo: un po’ di energia elettrica e pochi secondi di linea telefonica.
Come si vede l’innovazione tecnologica riduce l’impatto ambientale e migliora il servizio. Col normale servizio postale io avrei potuto scrivere a dieci o venti persone al giorno, con il computer ricevo due o trecento messaggi al giorno e corrispondo con altre cinquanta o sessanta persone in tempo reale. Come si vede tutte le richieste di fermare lo sviluppo, l’industria, l’innovazione tecnologica perché inquina sono esattamente il contrario della realtà; infatti anche su questo l’enciclica Caritas in veritate è straordinaria e tutti i capitoli dedicati allo sviluppo sono una meraviglia, perché spiegano che lo sviluppo non è una opinione: una cosa che si può fare o non si può fare, ma una vocazione dell’umanità.
Spiegano inoltre che c’è un senso nella nostra vita, che certamente siamo fatti per il bene e che questo bene passa per il progresso, lo sviluppo. Tutto ciò fa parte del disegno di Dio e non farlo è un peccato, perché significa fare meno bene di quello che si può.
Certamente si deve trattare di uno sviluppo fatto nel pieno interesse dell’umanità, nel perseguimento del bene comune ed evitando il peccato di farlo per sé e per i propri interessi privati. In molti giornali cattolici ci sono autori come Serge Latouche o Vandana Shiva secondo i quali lo sviluppo è il peggior nemico dell’umanità. Latouche in particolare ha scritto che lo sviluppo è la prima base dell’inquinamento.
Parlano anche di decrescita felice: impedire lo sviluppo. Ma d’altro canto loro hanno imposto una ideologia che ha ridotto ai minimi termini la capacità riproduttiva dell’umanità e quindi devono gestire questa situazione drammatica di mancanza di braccia e quindi propongono la decrescita: peccato su peccato.
Il punto qual è? L’ideologia che ha dominato fino ad ora il mondo ambientale è antiumana, ha addirittura individuato l’uomo come nemico e ha commesso una serie di gravi errori, costati vite umane, sofferenze e promosso un modello etico-morale che ha strappato e disintegrato il tessuto sociale. L’ideologia verde e ambientalista è favorevole all’aborto, all’eutanasia, alla contraccezione di emergenza [la cosiddetta pillola del giorno dopo n.d.r.]; le stesse persone che fanno campagne per salvare alberi ultracentenari, nei consigli regionali, comunali o al Parlamento propongono l’eutanasia. Noi però non dobbiamo essere manichei e rifiutando questa ideologia rifiutiamo anche l’attenzione sull’ambiente.
Al contrario l’ambiente e lo sviluppo dell’ambiente sono una grande opportunità e per noi cristiani è un impegno, poiché nella Genesi sta scritto che Dio creò il giorno e la notte, il sole e la luna, l’acqua e la terra e poi li donò all’uomo perché ne fosse guardiano e responsabile, continuando l’opera del Signore. Quindi noi abbiamo una responsabilità rispetto a questo dono, che è appunto lo sviluppo e continuare l’opera nel bene.
Perciò dobbiamo leggere questa opportunità secondo questa nuova concezione che è l’”ecologia umana”, della quale ha parlato per primo Giovanni Paolo II nel 1991 nella enciclica Cantesimus annus e che poi è stata sviluppata fino a questa ultima enciclica. I principi dell’ecologia umana sono fondamentalmente tre.
Per una sana ecologia umana, dice Giovanni Paolo II, bisogna difendere e sostenere la dignità di ogni persona, indipendentemente dalle sue condizioni fisiche, dalla sua religione, dalla sua età, ecc. Dunque difesa della vita ad oltranza, senza se e senza ma: i concepiti vanno difesi in maniera assoluta. Inoltre sostegno e sviluppo della famiglia, base da cui si sviluppa la civiltà. Terzo punto è lo sviluppo. Giovanni Paolo II ha indicato lo sviluppo e soprattutto i processi educativi – proprio perché lo sviluppo dipende dal capitale umano – come condizione di crescita dell’umanità in termini di scienze e di applicazioni.
Questi tre principi dell’ecologia umana sono le stesse tre priorità che Benedetto XVI ha indicato tra i valori non negoziabili e non perché lo dice la Chiesa ma perché ogni civiltà si basa su questi tre punti. Ma mettiamo un attimo da parte la Chiesa e prendiamo l’attuale discussione tra i premi Nobel dell’economia degli ultimi vent’anni; dal 1992, quando Gary S. Becker, ebreo della scuola di Chicago e membro della pontificia Accademia delle scienze sociali, vinse il Nobel con la tesi sul capitale umano.
L’ analisi di Becker è che la ricchezza e lo sviluppo del pianeta non dipendono dal fatto che ci sia più denaro, più controllo delle materie prime, più proprietà ma dal capitale umano, ovvero dalla capacità di una società o di un gruppo sociale di confrontarsi con l’economia, la scienza, con la realtà, e attraverso il lavoro moltiplicare le risorse e le tecnologie perché ciò che l’uomo fa fin da quando ha iniziato con l’agricoltura è proprio moltiplicare le risorse.
Oggi siamo sei miliardi e mezzo, con problemi di alimentazione e problemi politici, ma di fatto nel mondo la fame l’abbiamo vinta, perché un nostro agricoltore da solo è ormai capace di produrre in media cibo per centodieci persone, grazie alle sementi qualificate e all’irrigazione. Insomma abbiamo tutte le capacità per alimentare il mondo a livelli di un consumatore americano; lo scandalo vero è che ci sono ancora persone che non hanno questi livelli tecnologici e scientifici e non sono capaci di produrre cibo neppure per sé stessi. Su questo lo scandalo è l’Africa, il continente più ricco di materie prime del pianeta, che ha i deserti ma anche i fiumi più lunghi eppure è anche il più povero. Perché?
Perché l’Africa è il continente con la più bassa densità demografica del pianeta; ha poche persone e quelle poche persone sono poco secolarizzate e non hanno tecnologie avanzate. Un agricoltore africano non riesce a produrre cibo neppure per la propria famiglia e la distanza tra lui e un agricoltore americano o europeo è quella che c’è tra il neolitico e il terzo millennio. Per sviluppare l’Africa non c’è solo bisogno di aiuti alimentari – che pure vanno dati perché giustamente la gente non può morire di fame – ma bisogna permettergli di sviluppare le conoscenze e assisterli durante questo processo di educazione; allora produrranno più di noi.
Becker si chiede anche: chi produce capitale umano? La famiglia naturale, tradizionale, perché è nella famiglia che i bambini vengono educati al rapporto con la realtà e la scienza ma soprattutto ad un processo morale per cui delle persone compiono azioni gratuite verso l’altro senza chiedere niente in cambio. Ci sono una serie di azioni che si fanno in famiglia e che uno non farebbe se fosse da solo: lavorare di più, trovare denaro, investire; e tutto ciò perché si è impegnati con un atto d’amore: il marito per la moglie e i figli.
La famiglia è la più grossa sfida all’egoismo che esiste su questo pianeta, migliora l’individuo e gli economisti adesso la chiamano “capitale civile”, perché è una condizione di processi di miglioramento. Le persone che vivono in famiglia si migliorano l’un l’altro. Non credete a questo? Gary Becker dice di guardare a quanto ci costa in termini di sofferenza e costi sociali la distruzione delle famiglie. Oggi viviamo in un mondo un po’ paradossale. Siamo tecnologicamente avanzati ma umanamente viviamo un periodo tristissimo.
La nostra forza come esseri umani è la relazione: se volete uccidere qualcuno spaventatelo e isolatelo, ma se invece accogliete una persona, anche la più debole, la mettete in relazione con altri e gli date fiducia è capace di compiere azioni incredibili. L’uomo non è un’isola. Siamo molto più deboli delle altre specie ma quello che riusciamo a fare è molto di più, perché ci mettiamo assieme, ci aiutiamo l’uno con l’altro, ci trasmettiamo le conoscenze. Se prendiamo i discorsi dei premi Nobel per l’economia e i testi di sociologia di mezzo mondo tutti stanno discutendo proprio questo e si tratta di un insegnamento che la Chiesa ha sempre dato. In questa ultima enciclica è tutto spiegato.
Vogliamo un mondo che si sviluppa? Un mondo migliore? Ripartiamo dall’uomo e dalla famiglia. In Europa oggi c’è un divorzio ogni 27 secondi, un aborto ogni 25 secondi, in Italia ci sono duecento divorzi al giorno. Una volta spaccata la famiglia si procura solo sofferenza e odio, per questo la Chiesa dice: tutto ciò che Dio unisce l’uomo non divida. Io credo che il principio dell’ecologia umana sia questo: se vogliamo migliorare il pianeta dobbiamo ripartire dalla cura dell’uomo e della famiglia; ripartiamo da questo e vedremo che miglioreremo anche l’ambiente.
L’enciclica Caritas in veritate contiene anche un altro passaggio secondo me fondamentale: dalla solidarietà alla fraternità. L’enciclica propone una rivoluzione sociale, dicendo che la solidarietà va bene ma è troppo poco; un cristiano non si può accontentare della solidarietà, perché non coinvolge; un cristiano deve prendersi cura dell’altro e diventare suo fratello, il che significa che solidarietà non è solo donargli il denaro ma in qualche modo aiutarlo a svilupparsi, a migliorare la sua condizione, ad avere un futuro. L’enciclica riparte da quella che fu la rivoluzione francescana, la quale fu anche rivoluzione economica.
Oggi si pensa che San Francesco fosse una specie di no global ma il cambiamento sociale che innescò diede vita a banche, ad attività produttive, a lavoro proprio perché partiva dalla cura della persona e dalla sua integrità e sobrietà. Detto questo capite bene che stiamo entrando in un mondo in cui ciò che fino ad adesso è stata paura e disperazione diventa speranza e sviluppo.
Possiamo ribaltare la situazione, dato che ormai gli errori compiuti nel tempo sono evidenti ai più e possiamo uscire dalla nostra decadenza migliorando noi stessi, la società e anche l’ambiente attraverso quella rivoluzione sociale che la Chiesa chiama appunto ecologia umana e che si muove secondo le direttive dell’umanesimo cristiano, il che significa battere la strada della ricerca della verità, della giustizia e della bellezza.
Perché l’altro aspetto fondamentale della questione ambientale è la bellezza della vita. C’è qualcosa di più bello del nostro pianeta? C’è qualcosa di più bello dell’umanità?
prosegue con le domande dal pubblico e le repliche del relatore