il Timone n.170 Febbraio 2018
Dall’846 a Napoleone, i successi e le sconfitte delle flotte pontífice. Nate soprattutto per la difesa della cristianità dai musulmani
di Rino Cammilleri
Furono i soliti musulmani a costringere i papi a dotarsi di una flotta. E ben presto. Tutto cominciò nell’anno 846: i saraceni, partiti dalle loro basi in Sardegna, risalirono il Tevere e attaccarono Roma. Depredarono le basiliche di San Pietro e San Paolo, che stavano fuori dalle mura aureliane. Poi devastarono Fondi, Gaeta e si spinsero fino a Montecassino. Il papa Leone IV chiese allora aiuto a Napoli, Gaeta e Amalfi, unite in lega. Nel frattempo cominciò a costruire ulteriori mura, poi dette «leonine». Tre anni dopo, i saraceni si ripresentarono, ma questa volta trovarono a Ostia la flotta della lega guidata da Cesario, figlio del duca di Napoli, Sergio.
“Un vento mai visto”
Le navi si scontrarono e, scrive Mauro Tranquillo (in «La tradizione cattolica» 1, 2017), «si alzò un vento mai visto» che se la prese soprattutto coi saraceni (eh, Leone IV è santo…): quelli sopravvissuti, catturati, vennero messi a lavorare alle nuove mura. Tutto bene per un po’ di tempo, finché si scoprì che il duca Sergio aveva cominciato a tenere ì piedi in due staffe. Allora il papa Giovanni VIII lo scomunicò e mise al suo posto il di lui fratello Atanasio, fatto all’uopo vescovo di Napoli.
Nell’877 ci fu battaglia a Capo Circeo. Vinsero i cristiani, ma il papa dovette guidarli personalmente. Nel 1016 i saraceni distrussero Luni, scambiata per Roma. Il papa Benedetto Vili li attese in mare mentre tornavano in Sardegna e sbarrò loro il passo. I saraceni fecero dietrofront verso la costa toscana, ma qui trovarono un’armata cristiana che in tre giorni li debellò. In quegli stessi anni le Repubbliche Marinare, Pisa e Genova, effettuarono spedizioni in Sardegna che eliminarono la minaccia fin lì costante delle incursioni saracene.
In soccorso dei cristiani
Il papa san Gregorio VII chiese proprio a giuristi pisani di elaborare nel 1075 un abbozzo di codice nautico che ebbe forma definitiva con Onorio II nel 1130. Le navi del papa soccorsero i Cavalieri dj Rodi attaccati dai turchi nel 1434, sotto Euge IV. Nel 1453 i turchi di Maometto II conquistarono Costantinopoli e tardi arrivò la flotta guidai dall’arcivescovo Jacopo Veniero e inviata al soccorso dal papa Niccolò V.
Due anni dopo, Callisto III mandò le navi in aiuto dei cristiani delle isole dell’Egeo. Al comando di Pedro Urrea, arcivescovo di Tarragona, la flotta deviò dal suo scopo e, in combutta col re d’Aragona, attaccò i genovesi. Il papa volle la testa di Urrea e lo sostituì col cardinale Lodovico Scarampo. Questi riorganizzò i cantieri navali e potenziò la flotta, poi riprese la spedizione. Ma il re di Napoli, rimangiandosi la parola, non fornì navi. Scarampo proseguì e riuscì a liberare alcune isole dai turchi, portando fattivo aiuto a Rodi. Il fatto è che in questa circostanza i regni cristiani erano rimasti alla finestra. Ci riprovò il nuovo papa, Pio II, che riunì tutti i re cristiani a Mantova per la crociata definitiva.
La flotta papale, comandata dal cardinale Niccolò Forteguerri, si piazzò nel porto di Ancona e attese le navi con le truppe promesse. Ma nessuno venne. Il papa morì proprio ad Ancona nel 1464, mentre Venezia riusciva ad accaparrarsi le imbarcazioni alla fonda nel porto. Il re di Napoli rinsavì quando la minaccia turca toccò le sue terre: nel 1480 i musulmani attaccarono Otranto, sterminarono metà degli abitanti e fecero schiavi gli altri. Ferrante di Napoli chiese aiuto al papa Sisto IV, che rispose subito all’appello: istituì un’imposta straordinaria, coinvolse la repubblica fiorentina (con cui era in lite), pacificò alla svelta le fazioni genovesi e mandò denaro al re ungherese che fronteggiava i turchi via terra.
La flotta partì da Genova e si portò a Roma via Tevere. Poi si unì alle navi di Napoli e raggiunse Otranto, stringendola d’assedio. Liberata la città, si doveva proseguire per Valona, onde portare aiuto agli albanesi. Ma scoppiò la peste a bordo e si dovette rientrare a Civitavecchia.
Qualche tempo dopo, la flotta prese parte alla liberazione di Smirne (che però durò poco): le catene che chiudevano il porto, infrante dai cristiani, «sono ancora oggi conservate come trofeo nella basilica vaticana» (Mauro Tranquillo). Perso ormai completamente l’Oriente (e mezza Europa grazie a Lutero), i marinai del papa combatterono a fianco dell’imperatore Carlo V nel 1521 contro la Francia di Francesco I (il quale, quando fu fatto prigioniero a Madrid, non esitò a chiedere – invano – aiuto al sultano). Nel 1545, sulla scia dei toscani Cavalieri di Santo Stefano, nati contro i pirati barbareschi, il papa Paolo III creò i Cavalieri Lauretani per la difesa delle coste delle Marche e quelli di San Giorgio per le coste romagnole.
La disfatta e la rinascita a Lepanto
Nel 1560 la flotta di Pio IV e quella del viceré agnolo di Sicilia presero l’isola di Djerba, base barbaresca di fronte alla Tunisia. Ma arrivò il socorso del sultano e, comandata da Uluk Ali (che I cristiani chiamavano Occhiali: era un rinnegato calabrese di nome Giovanni Galeni), la flotta turca annientò quella cristiana. Fu un disastro che lasciò le coste del papa sguarnite.
La ripresa venne organizzata nel 1567 da san Pio V, il cui capolavoro fu l’essere riuscito a coalizzare in lega le potenze cristiane, soprattutto la Spagna e Venezia. La nuova, grande, flotta cristiana fu comandata da don Giovanni d’Austria, fratellastro dell’imperatore spagnolo. Le navi pontificie erano agli ordini di Marcantonio Colonna, Sebastiano venier guidava i veneziani e Andrea Doria i genovesi. E fu la gloriosa giornata di Lepanto, il 7 ottobre 1571. Con quella epica battaglia navale, la potenza marinara turca fu molto ridimensionata e, praticamente, non diede più preoccupazioni.
Rimaneva il problema dei corsari africani, ma questi non poterono più contare sul potente aiuto del sultano. Comunque, contro di loro il papa Sisto V nel 1587 creò un’apposita congregazione cardinalizia, mentre i suoi successori Innocenzo X e Alessandro VII impiantarono a Civitavecchia un grande arsenale navale. Scorrendo l’interessante articolo di Mauro Tranquillo si passa al 1669, anno in cui la flotta di Clemente IX raggiunse l’isola di Zante per unirsi alle navi francesi e a quelle dell’Ordine di Malta, onde portare aiuto ai veneziani di Creta.
Ancora, al tempo di Clemente XI, la flotta prese il mare nel 1709 per portare aiuto questa volta a Malta. L’epilogo di questa lunga e gloriosa storia lo scrisse il solito Napoleone, che arraffò l’intera flotta pontificia e se la portò in Egitto (dove fu distrutta nella battaglia di Abukir contro gli inglesi). Da allora il papa ebbe a disposizione solo qualche nave, contata sulle dita di una sola mano. Poi vennero i piemontesi e, naturalmente, di navi non si parlò più.