“L’ABORTO NON AGISCE SU UNA MASSA INFORME, MA SU UN ESSERE CHE SOFFRE”.
L’autore dell’articolo, neonatologo presso l’unità di Terapia intensiva neonatale dell’Ospedale di Siena, evidenzia le contraddizioni che caratterizzano la pratica dell’aborto, soprattutto quando l’interruzione della gravidanza avviene in “epoca gestazionale avanzata”.
di Carlo Valerio Bellieni
Primo paradosso: il bambino può nascere vivo
Negli ultimi anni i progressi fatti nel campo della rianimazione neonatale hanno fatto anticipare sempre più l’età gestazionale alla quale si comincia ad avere buone possibilità di far sopravvivere un bambino fuori dall’utero materno. Questo soprattutto in seguito all’introduzione del surfattante esogeno e della terapia alla madre con corticosteroidi prima della nascita prematura. I corticosteroidi dati alla madre promuovono la maturazione cellulare e favoriscono la produzione di surfattante da parte del bambino.
A quest’ultimo, in caso di insufficienza, il medico con un’operazione di alta precisione può inserire una piccolissima cannula nella trachea e somministrare lì il surfattante. A cosa serve questo “surfattante”? È una specie di sapone che diminuisce la “tensione superficiale” all’interno degli alveoli polmonari e impedisce che alla fine di ogni espirazione questi si richiudano del tutto. Inoltre negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti anche nella prevenzione e cura di un’altra insidia del prematuro: le infezioni (non dimentichiamo che il sistema immunitario del prematuro è assolutamente inadeguato).
Dunque, ormai è possibile far sopravvivere fuori dall’utero un bambino di 23-24 settimane di età gestazionale. Ma la legge italiana dice che l’interruzione di gravidanza può essere fatta fino a 180 giorni dal concepimento, dunque fino a 25 settimane e 5 giorni. Conclusione: un feto che venga espulso dall’utero materno a 24 settimane può e deve essere rianimato e può sopravvivere. Cade dunque l’argomento secondo il quale l’aborto può essere fatto perché il feto non è vitale.
Secondo paradosso: sopravvive, ma a che prezzo?
La nascita prematura non è una nascita fisiologica. Il bambino ha bisogno dell’ambiente uterino fino al termine della gravidanza per svilupparsi adeguatamente. Nascendo anticipatamente, entra in un percorso terapeutico in cui si farà di tutto per salvarlo ed evitargli danni. Ma non si fanno miracoli: è ancora alta l’incidenza di mortalità nel caso di nascita prenatale e anche l’incidenza di danni soprattutto a livello cerebrale.
Dunque si potrà avere il risultato che il bambino venga abortito per un problema minimo, ma la nascita prematura gli provoca ulteriori e talora gravissimi danni.. Conclusione: portato a nascere a termine, il bambino sarebbe nato con il problema “x”. Ora sopravvive col problema “x” più quello “y” dato dalla prematurità.
Terzo paradosso: il dolore
Il parto prematuro e la vita prematura non sono fisiologici e sono costellati di esperienze dolorose. Ormai sappiamo senza ombra di dubbio che il neonato anche prematuro sente il dolore. Lo sente in misura anche maggiore rispetto all’adulto o al bambino più grande perché ha minore capacità di decifrare e dunque concettualizzare gli stimoli che gli arrivano e perché ha minori capacità di antagonizzare fisiologicamente il dolore. È carente di beta-endorfine, ma il sistema di fibre che dalla periferia trasporta gli stimoli dolorosi fino alla corteccia cerebrale è ben funzionante. Dunque il destino di questo bambino è doloroso. Come è doloroso l’aborto!
In Francia viene fatta anestesia al feto prima di essere abortito dalle 20 settimane di età gestazionale in su (quali riguardi!) spiegando che “non sappiamo” se il dolore viene avvertito anche prima delle 20 settimane, ma certamente dalle 20 settimane il bambino soffre. Dunque l’aborto non agisce su una massa informe, ma su un essere che soffre.
Persino ai gatti non si può torcere un “pelo” senza anestesia, nemmeno ai topolini di laboratorio. Ed è giusto! Allora… dobbiamo aspettare che sia la società per i diritti degli animali a far valere le ragioni del feto di “essere giustiziato con dignità”? Nel 1874 andò proprio così in Inghilterra: fu la società per la protezione degli animali a far valere i diritti dei bambini maltrattati!
Perché negare l’evidenza?
Ovviamente questi paradossi ci fanno capire come si cerchi di negare l’evidenza: siamo di fronte ad un soggetto (il feto) che più che “diritti” ha “dignità”. Allora si chiamino le cose col loro nome: l’eliminazione di un soggetto con patrimonio cromosomico umano, che sente il dolore, che reagisce, si chiama omicidio. Il neonatologo in tutto questo è preso alla sprovvista. Ovviamente rianima il neonato. Ma si domanda sempre: “Perché succede questo?”. Il feto è un nostro paziente.
Tutte le riviste internazionali di neonatologia sono riviste esplicitamente di patologia feto-neonatale. Può succedere di avere un neonato di 24 settimane e un feto di 30: vale forse l’uno più o meno dell’altro? Ha l’uno meno diritti dell’altro? Veder nascere un piccolo prematuro senza che ce ne sia la necessità è un orrore. Veder morire un feto violentemente è un orrore. O è l’aria che si respira che dà dignità? O è il volere di un altro a dare dignità al figlio? La dignità è inscritta nell’uomo. Questo deve essere riconosciuto e di conseguenza tutelato.
Aborto dopo i tre mesi
L’art. 6 della legge n.194/78 prevede che: “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.”
L’art. 7 della stessa legge stabilisce che: “Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto.”