Corriere della sera 24 luglio 2016
di Antonio Polito
Le élites liberali dell’Occidente (compresi noi che scriviamo sui giornali), hanno l’aria un po’ rassegnata di chi dice «adda passà ’a nuttata». Di fronte alla virulenza della rivolta in corso contro di loro, dalla Cleveland di Trump alla Folkestone della Brexit alla Nizza delle Le Pen, appaiono incapaci di riconoscere la forza e la verità del messaggio dell’avversario.
Dicono che sfrutta le paure della gente; che queste paure sono esagerate; e che tutta questa rabbia popolare non sarebbe altro che un errore di percezione, come quando a causa dell’umidità ci sembra che faccia più caldo di quanto non sia in realtà. Al massimo riconoscono ai populisti di fare le domande giuste, ma con le risposte sbagliate. Non prendono insomma sul serio i loro nemici. Questo potrebbe portarli alla sconfitta.
Non c’è un verso predefinito della storia, una freccia che va dal passato al progresso. Il filosofo Biagio de Giovanni ci ha ricordato che già la prima globalizzazione ebbe una grave crisi, agli inizi del ’900, e finì con la distruzione dell’ordine liberale del vecchio mondo, attraverso due guerre. Non dico che la storia si ripeta (anche se in questo momento è in vigore lo stato di emergenza in due grandi Paesi europei, Francia e Turchia). Ma è francamente puerile sostenere che le paure della gente sono irrazionali. Diceva un altro filosofo: ciò che è reale è razionale. Guardiamo alle cause di questo clima di rivolta: le migrazioni e l’insicurezza che ne deriva, per esempio.
Voi pensate che sia davvero irrazionale, per un giovane disoccupato povero francese, temere la concorrenza per il lavoro di un giovane immigrato povero maghrebino? O per una famiglia che aspira a una casa popolare di Torino? O per una mamma che iscrive il figlio nella graduatoria di un asilo nido a Roma? Che risposte hanno dato le élite liberali, sinistra e destra tradizionali, a queste paure, tranne ripetere che sono esagerate? E chi può essere sicuro che le ricette per la sicurezza di Marine Le Pen siano destinate ad esiti peggiori di quelle seguite dal governo Valls, dopo Charlie Hebdo, il Bataclan, e il 14 luglio di Nizza
Oppure prendiamo la crisi economica. Donald Trump di sicuro mente nel descrivere uno stato prefallimentare dell’America (ma spesso i nostri governanti, per esempio qui in Italia, esagerano nel senso opposto). Eppure emigrazione delle produzioni, automazione e robotizzazione del lavoro, concorrenza del Made in China, sono fenomeni possenti e di lunga durata, che cambiano davvero la vita della gente e che, nel microcosmo di una famiglia, possono essere vissuti come una catastrofe.
Incapaci di simpatizzare con questo stato d’animo, o anche solo di spiegarselo, le forze politiche e intellettuali tradizionali preferiscono rifugiarsi nel mantra dell’ineguaglianza, generosamente fornito loro dal revival dell’antica koinè marxista. Il popolo sarebbe infuriato per la crescente ineguaglianza, per il trionfo del privilegio. E così, chissà perché, si rifugia sotto l’ala protettiva di un miliardario in America, oppure segue un aristocratico di Eton in Gran Bretagna.
Il McKinsey Global Institute ha di recente pubblicato una ricerca dal titolo «Più poveri dei genitori», ripresa in un articolo di Martin Wolf sul Financial Times, che forse individua meglio l’origine dello smarrimento globale dei ceti medi. Seimila intervistati francesi, inglesi e americani hanno risposto di provare più angoscia nel confronto con il loro passato, con il passato di famiglie come le loro, che nel confronto con chi oggi sta meglio. Ciò che crea un senso di ingiustizia, perché interrompe la staffetta generazionale del benessere, è la lunga e profonda stagnazione dei redditi in termini reali. Tra il 65% e il 70% delle famiglie nelle 25 economie più ricche del mondo hanno avvertito una caduta del reddito nel periodo tra il 2005 e il 2014. L’Italia ha il record, l’arretramento riguarda quasi il 100% delle famiglie.
Prendersela con la diseguaglianza è facile per chi governa, perché può darne la colpa al sistema. Ma scambieremmo tutti volentieri dieci anni di crescita sostenuta dei nostri redditi con un po’ di diseguaglianza in più. Che cosa fanno invece le élite liberali dell’Occidente per combattere la vera causa della rivolta popolare, e cioè la stagnazione economica? Rispondiamo prima a questo, e poi possiamo ricominciare con le prese in giro della pittoresca America di Trump, delle sue mogli, delle sue figlie e dei suoi seguaci.
Le élite politiche hanno bisogno di un linguaggio e di una strategia per curare le ferite dei loro elettorati. E ne hanno bisogno subito perché, per quanto possano irriderli, i loro avversari stanno vincendo. Prima capiscono che, come cent’anni fa, è finita la Belle Epoque, e più speranze avranno di non essere sopraffatti, insieme con l’ordine liberale che hanno costruito in settant’anni di pace.