La Croce quotidiano 20 aprile 2018
Un itinerario da Hope Hoffman a Gianna Jessen, passando per Melissa Odhen e “Viola”, in preparazione alla grande giornata prolife di Roma – 19 maggio 2018
Virginia Lalli
Quando si parla di aborto e di legge 194 non sempre si ricorda chi è coinvolto dall’aborto oltre le parole e gli articoli di legge e quali sono le terribili conseguenze. Di seguito racconteremo le storie di bambini concepiti che sono riusciti a sfuggire alla morte durante l’aborto pur avendo riportato ferite psicologiche e fisiche e che ora sono giovani adulti che rendono la loro testimonianza.
Sono centinaia le persone sopravvissute all’aborto nel mondo. Alla Marcia per la vita del 2017 ha partecipato anche Gianna Jessen, una delle più conosciute “abortion survivor”, che deambula con difficoltà a causa delle conseguenze dell’aborto che ha tentato di sopprimerla. La sua testimonianza a livello internazionale sta facendo comprendere a migliaia e migliaia di persone la vera portata dell’aborto e le sue nefaste conseguenze.
Hope Hoffman. La cicatrice sulla fronte? L’ho subita in nome dei diritti della donna
I medici, in nome del “diritto della donna”, hanno cercato di abortirla, senza riuscirvi. Hope Hoffman porta ancora una cicatrice sulla fronte dove il medico non obiettore di coscienza l’ha violentemente colpita con uno strumento, tentando di sopprimere la sua vita quando era nell’utero materno. Oggi, oltre a questo, il tentativo d’aborto l’ha lasciata con una paralisi cerebrale. La sua testimonianza è così condivisa dalla madre adottiva, Terri Kellogg: «Mia figlia Hope Hoffman è sopravvissuta all’aborto. Sua madre era entrata in una clinica per aborti quando era incinta di 10 settimane ma Dio è intervenuto e ha risparmiato la sua vita».
Quando la madre di Hope si rese conto che il suo bambino era ancora vivo, ha scelto la vita e deciso di darla in adozione. Hope ora ha 21 anni, ha una paralisi cerebrale ed è su una sedia a rotelle. La madre adottiva l’ha amata incondizionatamente e, per questo, Hope ha scritto un libro sull’amore e il perdono di Dio dal titolo “That secret Place – An Abortion Survivor’s Story”.
Gianna Jessen: nata da aborto salino
La madre biologica di Gianna Jessen a suo tempo si rivolse alla principale “industria di aborti” americana, la Planned Parenthood. La piccola rimase nella soluzione salina per 18 ore, ma non furono sufficienti a bruciarla del tutto, e nacque viva. Capita rarissimamente – racconta Gianna – e in tali casi si dà al neonato un farmaco che gli ferma il cuore o, nei casi peggiori, lo si lascia lì a morire o lo si soffoca.
«Per fortuna nacqui quando il medico del mio aborto era andato a casa a dormire – racconta la Jessen -: erano le 6 del mattino del 6 aprile 1977. Un’infermiera chiamò l’ambulanza e mi soccorsero. Non sono una vittima, sono quella che ha vinto. E la migliore rivincita è che poi quando il medico è arrivato ha dovuto firmare il mio atto di nascita».
«La mia vera mamma è nonna Penny – continua la Jessen –, la donna che mi ha accolta a 17 mesi e, contro ogni previsione medica, è riuscita a farmi camminare, dopo tante operazioni e l’ausilio di apparecchi ortopedici. È morta a 91 anni dopo essersi presa cura di 56 bambini».
Gianna racconta di essere affetta da “Post traumatic stress disorder”, la patologia che colpisce le vittime di grandi catastrofi o guerre. È tipica delle persone che si sono trovate all’improvviso davanti alla morte dovendosi difendere: «Ma tutto questo e la paralisi cerebrale diagnosticata a 17 mesi mi hanno resa anche una donna appassionata e libera – racconta nelle sue numerose testimonianze pubbliche –, con la certezza che nulla è impossibile, perché Dio può tutto e sta sempre dalla nostra parte. Io fatico, ho difficoltà di deambulazione, ma supero tutto appoggiandomi al braccio di Gesù. La mia vita non è facile, non lo è mai stata, ma non ho firmato per una vita facile, ho firmato per una vita straordinaria».
Melissa Odhen: “vi racconto dei mariti e delle mogli che sono stati abortiti”
Secondo le sue cartelle cliniche, Melissa Ohden è nata durante un fallito aborto salino il 29 agosto 1977. La madre adottiva riferisce che lo staff medico disse che Melissa era stata messa da parte dopo la procedura di aborto, ma che un’infermiera in seguito notò che la bimba faceva piccoli movimenti e la fece curare. Venne trasferita all’Ospedale dell’Università dello Iowa, dove è stata curata nell’unità di terapia intensiva neonatale per convulsioni, oltre a problemi respiratori e al fegato. Nell’ottobre del 1977, tornò a casa con la sua famiglia adottiva, senza problemi di salute a lungo termine.
La giovane è cresciuta sapendo di essere stata adottata ma, all’età di 14 anni, ha saputo che era sopravvissuta a un tentativo di aborto ed è stata inizialmente devastata da questa notizia. In seguito ha trovato il percorso della guarigione attraverso la Fede cristiana e si è sentita chiamata a rendere pubblica la sua storia nella speranza di influenzare positivamente il dibattito sull’aborto.
Nel settembre 2015 la Ohden ha testimoniato a un’udienza del Congresso degli Stati Uniti sulle pratiche relative alla donazione di tessuti fetali, in seguito alla polemica sui video sotto copertura di Planned Parenthood 2015. In tale circostanza, fra l’altro, ha dichiarato: «Ho creduto a lungo che se l’aborto della mia madre di nascita fosse avvenuto in una “clinica” di Planned Parenthood, oggi non sarei qui».
Ha fondato quindi due organizzazioni senza scopo di lucro: “The Abortion Survivors Network” e “For Holivia’s Sake”, quest’ultima con lo scopo di «sensibilizzare l’“effetto a catena” che l’aborto ha su uomini, donne, bambini, famiglie e comunità». Melissa infatti sostiene che «i genitori di un bambino non nato spesso non riescono a considerare come la loro la decisione colpisca gli altri dicendo “mia figlia non avrebbe mai avuto la vita se quell’aborto fosse riuscito” oppure “mio marito, non avrebbe mai avuto una moglie”, “i miei genitori adottivi non avrebbero mai avuto un figlio» etc.
Melissa Ohden e suo marito Ryan hanno oggi due figli e la sua prima figlia, Olivia, è nata proprio nello stesso ospedale dove lei nel 1977 sopravvisse all’aborto.
Claire Culwell. In memoria di mio fratello gemello abortito
La madre di Claire Culwell pensava con l’aborto di aver risolto il problema ma poche settimane dopo si rese conto che la pancia stava crescendo. Tornando in clinica apprese che erano due gemelli, uno venne abortito l’altro è sopravvissuto. «La mia vita è un miracolo – dice Claire – e sarei un’egoista a tenere questo regalo solo per me stessa. La mia vita è una testimonianza che esistono alternative meravigliose all’aborto, come l’adozione nel mio caso».
Sarah Smith. Mia madre scelse la mia sentenza di morte
Betty Smith tentò di abortire la figlia Sarah senza sapere di essere incinta di due gemelli. Un bambino fu abortito ma, la figlioletta, miracolosamente sopravvisse. Quest’ultima ha perdonato la mamma e per cinque anni poi entrambe hanno girato il mondo parlando del dolore di un aborto e della sofferenza che causa alla donna. Nell’aprile 1996 la Sarah ha parlato a una conferenza internazionale pro-life in occasione del primo anniversario dell’enciclica “Evangelium vitae” ed ha incontrato nell’occasione anche San Giovanni Paolo II.
Nel suo discorso, fra l’altro, ha testimoniato come, fino all’età di 12 anni, sentiva di essere «uguale ai miei amici, tranne che per i numerosi interventi chirurgici e le complicazioni fisiche; l’unica differenza che sentivo era un’incredibile solitudine e la consapevolezza che mancava qualcosa, non mi sentivo completa e lottavo con una grave depressione e anoressia quando mia madre decise che era ormai l’ora di dirmi la verità. Avevo 12 anni.
Si è seduta accanto a me e mi ha preso la mano guardandomi negli occhi e ha detto: “Sarah, tu sei una gemella, ho abortito il tuo fratello gemello e ho cercato di abortire te, so che non sapevo quello che stavo facendo e prego un giorno sarai in grado di perdonarmi, ti voglio bene e voglio che tu sappia che sei benvenuta nella nostra famiglia”.
In quel momento ho capito cosa mi era mancato per tutta la vita e di essere stata chiamata a qualcosa di molto più grande di quanto avessi fino allora saputo. Immediatamente ho sentito il travolgente dolore della consapevolezza che sono stata vicina a morire. Mentre oggi sono davanti a voi e sono dolorosamente consapevole che questo è possibile solo perché il mio fratello gemello è stato abortito e io sono al suo posto.
Nella memoria, gli rendo onore e un volto. Trentadue milioni di bambini sono stati uccisi negli Stati Uniti eppure ognuno aveva una faccia, una vita, un creatore che li amava e li ha creati a Sua immagine. Mentre mi guardi oggi, ti rendi conto che non sono diverso da te eppure oggi sta davanti a te un rappresentante dei morti – un rappresentante delle vite innocenti che oggi potrebbero perdere la vita. Chi parlerà per loro? Le parole di Cristo sono chiare: “Ciò che hai fatto a uno di questi piccolo lo hai fatto a me”.
Noi siamo chiamati a prenderci cura di questi piccoli proprio come noi ci prenderemmo cura di Gesù stesso. Andarsene e dire questo non è un mio problema è andare via da Gesù stesso. Molte persone mi chiedono come mi sia sentita dopo che ho saputo di essere stata quasi abortita. L’unica cosa a cui posso paragonare la mia vita è quella di un ebreo innocente che viene fatto camminare per le strade della Germania nudo di fronte a molte persone per andare in una stanza dalla quale sa che non potrà mai uscire.
Nel mio caso, sfortunatamente, le persone che mi conducono in quella stanza sono mia madre e mio padre. Eppure le persone che guardano in disparte sono persone come te. E oggi ti chiedo, parlerai e starai a guardare in silenzio mentre un’altra persona che ha bisogno del tuo aiuto sta per essere portata a morire?».
Viola. La tenacia di vivere
Anche Viola doveva essere abortita, ma ora è viva e nonostante il pessimismo clinico, oggi canta e parla come una qualunque bambina di 3 anni, anche se le difficoltà motorie le ricorderanno per un po’ di tempo ancora che lei per vivere ha dovuto sgomitare più degli altri. La promessa è quella di essere il volto umano e reale di una presenza che non è stata riconosciuta né accolta immediatamente, ma ora si può fare carne per illuminare l’uomo di inizio millennio che ha perso il senso del reale.
Viola è nata al Sant’Orsola di Bologna, dopo che la madre, una 17enne, era arrivata a seguito di una fortissima emorragia seguita ad un tentativo di aborto farmacologico domestico. Come racconta Chiara, la mamma affidataria, «Viola aveva 24 settimane quando ha visto la luce nel novembre del 2013, la madre aveva preso delle pillole per procurarsi l’aborto, abbondantemente oltre i termini consentiti per legge, ma è insorta una complicazione che l’ha costretta a chiamare il pronto soccorso della sua città in provincia di Modena. L’ambulanza l’ha portata poi al Sant’Orsola dove ha incontrato dei medici straordinari».
La piccola presentava un’idrocefalia molto grave (acqua nel cervello), che l’avrebbe portata a morte certa in poco tempo, se non si fosse deciso di intervenire chirurgicamente. La storia di Viola è un miracolo nel miracolo: in Europa non era mai stato tentato un drenaggio su una piccola di appena 5 mesi e soprattutto di quel peso, appena 500 grammi. Ciò che la società voleva scartare in realtà è diventata una scommessa vinta della scienza.
I rischi erano tantissimi. L’operazione è andata nel migliore dei modi, la scienza medica si è sforzata per restituire dignità di vita ad un essere umano che un’altra scienza medica, quella abortista, voleva sopprimere.
Viola ha subito danni cerebrali nella fase di aborto, ma dopo tante tac possiamo dire che non ne risente più tanto che lo sviluppo cognitivo è in linea con quello dei suoi coetanei. La piccola parla e canta come una qualsiasi bambina di 3 anni, ha soltanto un ritardo motorio che si aggiusterà col tempo. Viola è la dimostrazione vivente e inconfutabile che la vita non è in mano né alla nostra volontà di distruggerla né alle nostre disponibilità di cura, per quanto siano avanzate. La vita ha un legame diretto con il Signore che l’ha creata.
I genitori adottivi hanno raccontato che diranno a Viola la verità e cioè che la sua storia rigenera continuamente noi con l’amore per la vita, la speranza e la gioia che riesce a donarci.
Josiah Presley. La scelta dell’adozione
Una donna in Corea del Sud ha scoperto di essere incinta, due mesi dopo la sua gravidanza ha deciso di abortire. Passati alcuni mesi dopo aver abortito, si rese conto che c’era ancora un bambino che cresceva in lei. Avendo scoperto che l’aborto era fallito, la donna ha deciso di lasciar vivere il bambino e l’ho ha dato in adozione dopo la nascita. Il bambino venne adottato da una famiglia che viveva negli Stati Uniti. Il bambino stava bene, tranne che aveva un braccio sinistro deformato, probabilmente causato dall’aborto fallito che la madre aveva avuto. Ad ogni modo, è attivo e fa quasi tutto ciò che fanno gli adolescenti normali.
Racconta Josiah: «In primo luogo, pensi che avrei voluto che mia madre avesse quell’aborto e cercasse di sopprimermi? Diamine no! Infatti, quando i miei genitori mi hanno detto che mia madre tentato di abortirmi, ha sviluppato qualche rancore nei confronti della mia madre naturale. Ma poi l’ho perdonata, grazie al Signore. Dio mi ha salvato dal morire di una morte orribile prima ancora di nascere e apprezzo molto la vita. Quindi gli abortisti parlano sempre dei diritti delle donne. Beh, per quanto riguarda i diritti dei bambini?
Oppure, quando parli dei diritti delle donne: che dire dei milioni di piccole donne uccise ogni anno dall’aborto?! …e i loro diritti e i diritti dei bambini? Pensi che vogliamo che qualcuno venga a cercarci per ucciderci? Quando dicono: “bene cosa succederà ai bambini se non li abortiremo? Le loro madri non li vogliono”. Fidati di me, saranno adottati. La mia famiglia adottiva ha dodici figli, dieci dei quali sono stati adottati! Saranno adottati! Voglio dire, se smettessimo di finanziare gli aborti, molti adotterebbero perché molti che vogliono adottare non possono permettersi le alte tasse di adozione e quindi non possono adottarli. Quindi quei bambini sarebbero adottati».