di Massimo Introvigne
Attacco a Ratzinger. Accuse, scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI (Piemme, Milano 2010) dei vaticanisti Paolo Rodari e Andrea Tornielli non è né una storia né un’analisi sociologica del pontificato di Benedetto XVI. Si tratta invece di eccellente giornalismo, e di una cronaca attenta ai particolari e ai retroscena degli attacchi contro Benedetto XVI, che dal 2006 a oggi ne hanno fatto il Pontefice più sistematicamente aggredito da un’incessante campagna mediatica degli ultimi anni.
Ne nasce una grande campagna contro Benedetto XVI, alimentata sia da organi di stampa occidentali sia dal fondamentalismo islamico, che degenera in episodi violenti. A Mogadiscio, in Somalia, è perfino uccisa una suora.Già in questo primo episodio l’analisi degli autori mostra all’opera tutti gli ingredienti delle crisi successive.
Un buon numero di media, anzitutto occidentali, estrapolano la citazione dal contesto e sbattono la notizia della presunta offesa ai musulmani in prima pagina. Al coro di questi media – secondo elemento, che non va mai trascurato – si uniscono esponenti cattolici ostili al Papa, in questo caso personaggi come l’islamologo gesuita Thomas Michel, rappresentante a suo modo tipico di un establishment del dialogo interreligioso smantellato da Benedetto XVI per il suo buonismo filo-islamico tendente al relativismo.
Intervistati dalla stampa internazionale questo cattolici lanciano un “attacco frontale a Benedetto XVI” (p. 26), essenziale per rendere credibili le polemiche della stampa laicista. Ma in terzo luogo Rodari e Tornielli non mancano di rilevare una certa debolezza nel sistema di comunicazione vaticano, molto lento rispetto alla velocità delle polemiche nell’era di Internet e non sempre capace di prevedere in anticipo le conseguenze delle parole più “forti” del Papa, prendendo per tempo le necessarie contromisure.
Tornando però dal discorso di Ratisbona come evento mediatico al discorso di Ratisbona come documento, gli autori riportano l’opinione dello specialista gesuita padre Khalil Samir Khalil secondo cui non si è trattato affatto di una gaffe del Papa bisognosa di correzione, ma di un passaggio integrale e ineludibile in un’analisi sui problemi dell’islam contemporaneo e sulla sua difficoltà a impostare correttamente il rapporto fra fede e ragione. Paradossalmente, rilevano gli autori, queste motivazioni profonde del passaggio sull’islam nel testo di Ratisbona sono state comprese da molti intellettuali musulmani, ma rimangono ostiche o ignorate per la grande stampa dell’Occidente.
Emerge dunque uno schema in tre stadi – errori di comunicazione della Santa Sede, aggressione della stampa laicista, ruolo essenziale di cattolici ostili a Benedetto XVI nel supportare quest’aggressione – che si ritrova in tutti gli altri episodi, con poche varianti. Il ruolo del dissenso progressista appare particolarmente cruciale nelle campagne successive al motu proprio del 2007 Summorum Pontificum, che liberalizza la Messa con il rito detto di san Pio V, e alla remissione della scomunica nel 2009 ai quattro vescovi a suo tempo consacrati da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991).
Nel primo caso Rodari e Tornielli descrivono un quadro sconfortante di resistenza di liturgisti, riviste cattoliche, intellettuali con un accesso diretto ai grandi media come Enzo Bianchi ma anche vescovi e intere conferenze episcopali che si agitano, si riuniscono, arruolano la stampa laicista e tramano in mille modi per sabotare il motu proprio.
La posta in gioco, notano giustamente gli autori che si riferiscono in particolare a uno studio di don Pietro Cantoni pubblicato sulla rivista di Alleanza Cattolica Cristianità, non è solo la liturgia ma l’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Chi combatte il motu proprio difende l’egemonia di quell’interpretazione del Vaticano II in termini di discontinuità e di rottura con tutta la Tradizione precedente che Benedetto XVI ha tentato in molti modi di correggere e scalzare.
Il caso della remissione della scomunica ai vescovi “lefebvriani” si è trasformato come è noto nel “caso Williamson”. Il Papa è stato oggetto di durissimi attacchi quando è emerso che uno dei quattro vescovi consacrati da mons. Lefebvre, mons. Richard Williamson, è un sostenitore di tesi in tema di Olocausto che negano l’esistenza delle camere a gas e riducono il numero di ebrei uccisi dal nazional-socialismo a non più di trecentomila.
Al di là del merito della questione, è evidente che la Santa Sede non condivide queste tesi – lo stesso Benedetto XVI le ha ripetutamente condannate – e che qualunque persona dotata di buon senso sarebbe stata in grado di rendersi conto che un provvedimento in qualche modo favorevole a un sostenitore della posizione “revisionista” sull’Olocausto non avrebbe mancato di scatenare una tempesta mediatica. Il problema, dunque, è quando la Santa Sede è venuta a conoscenza delle tesi di mons. Williamson in tema di Olocausto.
Rodari e Tornielli ricostruiscono la vicenda in modo minuzioso, e concludono che un appunto sul tema era stato indirizzato da vescovi svedesi tramite la nunziatura apostolica in Svezia – il Paese dove nel novembre 2008 mons. Williamson aveva rilasciato a un’emittente televisiva non l’unica ma la più recente e articolata sua intervista sull’argomento – alla Segreteria di Stato, dove era stato sottovalutato nella sua potenziale portata e gestito da funzionari minori responsabili dei rapporti con la Scandinavia.
Quando dalla televisione svedese la notizia passa sul settimanale tedesco Spiegel e di lì ai media di tutto il mondo, il 21 gennaio 2009, il decreto di remissione della scomunica non è ancora stato pubblicato, è vero, ma è già stato trasmesso il 17 gennaio ai vescovi “lefebvriani” interessati. Non è dunque più possibile ritirarlo o modificarlo.
Secondo gli autori ha tuttavia costituito un errore di comunicazione da parte della Santa Sede non accompagnare immediatamente la pubblicazione, avvenuta il 24 gennaio 2009, con una chiara precisazione sul fatto che la remissione delle scomuniche non ha nulla a che fare con le tesi di Williamson sull’Olocausto, che il Papa in nessun modo condivide.
Questa precisazione è venuta solo diversi giorni dopo, dando l’impressione che la Santa Sede si trovasse in imbarazzo e sulla difensiva. Inoltre, come il Papa stesso ha rilevato nella sua lettera dell’11 marzo 2009 sul tema, già prima dell’intervista rilasciata in Svezia le posizioni di mons. Williamson comparivano su diversi siti Internet e “seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie”.
Dalla lettera di Benedetto XVI, notano gli autori, emergono altri due elementi. Il primo è la grandezza d’animo di un Papa che si assume personalmente la responsabilità di ogni errore eventualmente commesso, rompendo con una lunga prassi secondo cui in questi casi ogni colpa è attribuita ai collaboratori.
Il secondo è che, pur essendo evidente che al momento della firma del decreto Benedetto XVI non conosceva le posizioni di mons. Williamson sull’Olocausto, anche in questo caso la campagna della stampa laicista ha avuto successo a causa dell’immediato attacco al Papa da parte di noti esponenti cattolici che hanno inteso così “vendicarsi” del motu proprio. Scrive lo stesso Pontefice: “Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco”.
I tempi del caso Williamson non sono casuali. Gli autori ricordano come sia stata ipotizzata nella diffusione mondiale delle notizie sul vescovo “revisionista” proprio in concomitanza con la remissione della scomunica la regia di una coppia di giornaliste lesbiche francesi note per le loro campagne anticlericali e per la “vicinanza al Grande Oriente di Francia” (p. 99), cioè alla direzione della massoneria francese, Fiammetta Venner e Caroline Fourest.
Secondo Rodari e Tornielli l’intervista svedese con mons. Williamson “non è concordata in precedenza. Il giornalista si presenta al seminario e riesce a ottenere il colloquio con Williamson” (p. 88). Sembra dunque che mons. Williamson non abbia “organizzato” l’episodio.
Tuttavia alla data dell’intervista la notizia secondo cui il Papa stava per firmare il decreto di remissione delle scomuniche circolava già su Internet. Gli autori si chiedono chi abbia armato il microfono dell’oscuro giornalista svedese Ali Fegan. Personalmente mi pongo qualche interrogativo anche su mons. Williamson, il quale sapeva certamente dell’imminente remissione delle scomuniche, è notoriamente critico su ogni ipotesi di compromesso con Roma della Fraternità San Pio X di mons. Lefebvre e come minimo si è comportato con il cronista svedese in modo davvero molto imprudente.
Il ruolo dei cattolici progressisti era già emerso in altre due campagne contro Benedetto XVI, particolarmente gravi perché coronate da successo. Due vescovi regolarmente scelti dal Papa avevano dovuto rinunciare alle cariche: mons. Stanislaw Wielgus, nominato primate di Polonia, a causa della scoperta di documenti relativi a una sua collaborazione giovanile con i servizi segreti del regime comunista, e mons.
Gerhard Wagner, nominato vescovo ausiliare di Linz, in Austria, contro cui si erano sollevati il clero e anche molti vescovi austriaci a causa di dichiarazioni sulla natura di castigo di Dio dell’uragano Katrina, sul carattere satanico dei romanzi del ciclo di Harry Potter e sulla possibilità di curare l’omosessualità tramite terapie riparative.
Come notano gli autori, le opinioni di mons. Wagner su tutti e tre i temi sono condivise da molti nella Chiesa – lo stesso cardinale Ratzinger aveva espresso simpatia nel 2003 per un libro critico su Harry Potter di una studiosa tedesca sua amica, pur ammettendo di non avere letto i relativi romanzi – ma è anche vero che il prelato austriaco le aveva espresse in toni particolarmente accesi.
I due casi, spiegano gli autori, sono meno lontani di quanto sembri a prima vista. Anche mons. Wielgus, per quanto denunciato per la prima volta da “cacciatori di collaborazionisti” di destra, è stato poi attaccato sistematicamente da una stampa polacca che lo avversava non tanto per il suo passato di collaboratore con i servizi segreti comunisti – un passato condiviso da oltre centomila persone in Polonia, tra cui numerosi sacerdoti e diversi vescovi – quanto per il suo presente di vescovo particolarmente conservatore.
Se nel caso di mons. Wielgus, che aveva maldestramente cercato di nascondere documenti sul suo passato, l’accettazione delle dimissioni era inevitabile, non si possono non condividere alcune perplessità degli autori sul caso di mons. Wagner. Cedere alle pressioni di una parte del clero e dell’episcopato austriaco – guidato nel caso Wagner da un sacerdote che poco dopo ha ammesso pubblicamente di vivere da anni in una situazione di concubinato – ha innescato in Austria una contestazione globale nei confronti della Santa Sede, in cui sono sempre più apertamente coinvolte le massime gerarchie cattoliche del Paese e che a tutt’oggi non appare risolta.
Nel marzo 2009 con il viaggio del Papa in Africa l’attacco entra in una fase nuova. Sull’aereo che lo porta in Camerun come di consueto Benedetto XVI risponde alle domande dei giornalisti. A un cronista francese che gli pone una domanda sull’AIDS il Papa risponde che la distribuzione massiccia di preservativi non risolve ma aggrava il problema. I
l Papa, rilevano gli autori, tecnicamente ha ragione e nei giorni successivi lo confermeranno fior di immunologi: favorendo la promiscuità sessuale e creando una falsa illusione di sicurezza le politiche basate sul preservativo hanno regolarmente aggravato il problema AIDS nei Paesi dove sono state sperimentate. Ma la risposta del Papa occupa le cronache internazionali per tutto il viaggio, facendo ignorare almeno in Europa e negli Stati Uniti i profondi insegnamenti sulla crisi del continente africano – e la puntuale denuncia delle malefatte delle istituzioni internazionali e di alcune multinazionali in Africa: che fosse proprio questo lo scopo?
Non sorprende ormai più la discesa in campo contro il Papa dei soliti teologi progressisti. Ma il fatto nuovo è l’intervento dei governi: Spagna, Francia e Germania chiedono al Papa di scusarsi, al Parlamento Europeo una mozione di censura del Pontefice non passa ma raccoglie comunque 199 voti. In Belgio una mozione analoga è invece votata dal Parlamento e provoca una dura risposta vaticana, innescando una crisi diplomatica senza precedenti tra i due Paesi che prepara gli atteggiamenti maneschi della polizia belga nella successiva vicenda dei preti pedofili.
Due attacchi citati da Rodari e Tornielli sono interessanti perché non vengono “da sinistra” ma “da destra”, e mostrano che anche persone di solito rispettose sono indotte dal clima generale a usare nei confronti del Papa e dei suoi collaboratori un linguaggio che in altri tempi non si sarebbero permesso.
Si tratta delle critiche di un mondo cattolico conservatore in tema di economia all’enciclica Caritas in veritate del 2009, giudicata da studiosi statunitensi come George Weigel e Michael Novak ingiustamente ostile al modello di capitalismo prevalente negli Stati Uniti, e delle polemiche sul terzo segreto di Fatima e sull’asserita esistenza di una parte del testo tenuta ancora segreta dal Vaticano. Sul merito si può certo discutere – anche se sull’enciclica gli studiosi americani sembrano soprattutto stizziti per non essere stati consultati, com’era invece avvenuto per testi di Giovanni Paolo II – ma il tono e i veleni sono comunque segnali di un clima malsano.
La stessa apertura agli anglicani che, delusi dalle aperture della loro comunità al sacerdozio femminile e al matrimonio omosessuale, tornano a Roma, se è avversata “da sinistra” come pericolosa per l’ecumenismo – ma quale ecumenismo è possibile con chi celebra in chiesa matrimoni gay? – è attaccata anche “da destra” perché, prevedendo percorsi di accoglienza nella Chiesa Cattolica di sacerdoti anglicani sposati, sembra compromettere la difesa del celibato. Anche qui quella che è più grave è l’incomprensione del carattere globale dell’attacco al Papa da parte di certi sedicenti “conservatori”, che gettano benzina anziché acqua sul fuoco.
Le altre nove crisi impallidiscono comunque di fronte alla decima, relativa ai preti pedofili. Dal momento che gli autori citano ampiamente e riprendono materiale dal mio libro Preti pedofili (San Paolo, Cinisello Balsamo 2010), sostanzialmente condividendone l’impostazione, forse non debbo qui riassumere l’ampia sezione del libro dedicata al tema e posso permettermi di rimandare al mio testo.
Il libro di Rodari e Tornielli ribadisce, contro le critiche assurde che purtroppo sono venute anche da vescovi e cardinali, quanto anch’io ho sottolineato: se c’è stato nella Chiesa un prelato durissimo nei confronti dei preti pedofili, tanto da essere accusato di violare il loro diritto alla difesa e di essersi scontrato sul punto con numerosi colleghi vescovi, questi è stato il cardinale Ratzinger quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Presentarlo al contrario come tollerante sul punto è semplicemente ridicolo, eppure trova talora credito tra i lettori meno informati dei quotidiani.
Semmai gli autori si chiedono se gli ostacoli che il cardinale Ratzinger ebbe a incontrare negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II – quando le sue richieste di ancor maggiore severità non sempre furono accolte – non gettino un’ombra sul grande Papa polacco e non rischino perfino di compromettere la sua causa di beatificazione. In effetti nella causa in corso il problema è stato affrontato. Ma si è concluso, giustamente, che taluni freni all’opera del cardinale Ratzinger risalgono agli ultimi anni del pontificato wojtyliano, quando Giovanni Paolo II, sempre più gravemente malato, non seguiva più personalmente queste vicende delegandole a collaboratori cui vanno dunque girate eventuali critiche.
In conclusione Rodari e Tornielli si chiedono se si possa parlare di un complotto contro il Papa, citando varie opinioni tra cui la mia in un’intervista che ho loro rilasciato specificatamente per questo volume. La loro conclusione è che ci siano in atto tre diversi attacchi a Benedetto XVI da parte di tre diversi nemici. Il primo è costituito dalla galassia di lobby laiciste, omosessuali, massoniche, femministe, delle case farmaceutiche che vendono prodotti abortivi, degli avvocati che chiedono risarcimenti miliardari per i casi di pedofilia.
Questa galassia, troppo complessa perché si possa ritenere che risponda a una sola regia, dispone però grazie alle nuove tecnologie dell’informazione di un potere che nessun altro nemico della Chiesa ha avuto nell’intera storia umana e vede nel Papa il principale ostacolo alla costruzione di una universale dittatura del relativismo in cui Dio e i valori della vita e della famiglia non contano. Un ostacolo che dev’essere spazzato via a tutti i costi e con ogni mezzo.
Queste lobby hanno successo perché hanno arruolato un secondo nemico del Papa costituito dal progressismo cattolico e da quei cattolici e teologi – tra cui non pochi vescovi – i quali vedono la loro autorità e il loro potere nella Chiesa minacciato dallo smantellamento da parte di Benedetto XVI di quella interpretazione del Concilio in termini di discontinuità e di rottura con la Tradizione su cui hanno costruito per decenni carriere e fortune.
Le interviste ai cattolici progressisti permettono ai media laicisti di rappresentare la loro propaganda non come anticattolica ma come sostegno contro il Papa reazionario che vuole “abolire il Concilio”, cioè mettere in discussione il suo presunto “spirito”, dal momento che la lettera dei documenti conciliari dai giornalisti anticattolici non è neppure conosciuta e dai loro compagni di strada “cattolici adulti” è giudicata irrilevante.
In terzo luogo, Benedetto XVI ha anche un terzo nemico, inconsapevole e involontario ma non per questo meno pericoloso. Ci sono “‘attacchi’ involontariamente autoprodotti a causa delle numerose imprudenze e dei frequenti errori dei collaboratori” (p. 313) del Papa. Gli autori riportano diversi pareri sulla difficoltà di comunicazione della Santa Sede nell’epoca non solo di Internet ma di Facebook e di una telefonia mobile collegata al Web che fa sì che le notizie arrivino a centinaia di milioni di persone – per esempio i cinquecento milioni di utenti Facebook attivi ogni giorno – pochi secondi dopo essere state lanciate e siano archiviate come vecchie dopo qualche ora.
Se una notizia falsa non è smentita entro due o tre ore, se a un attacco non si risponde al massimo entro ventiquattr’ore le possibilità di replica efficace si riducono a poco più di zero.
Se tutto questo è vero, le opinioni di chi, intervistato dagli autori, rimpiange il precedente portavoce pontificio, il laico dottor Joaquín Navarro Valls, giudicandolo più scaltro del suo successore gesuita padre Federico Lombardi, possono essere dibattute all’infinito ma forse non vanno al cuore del problema.
È il modo di comunicare che è cambiato radicalmente, ed è cambiato dopo la morte di Giovanni Paolo II perché il problema non è Internet ma il numero sempre maggiore di persone – centinaia di milioni, appunto, non piccole élite – che a Internet sono collegate ventiquattro ore su ventiquattro tramite gli smartphone, i netbook o i vari iPad, e hanno un tempo di reazione a richieste o provocazioni che si misura in minuti e non più in ore. Sul punto il libro del giornalista italiano Marco Niada Il tempo breve (Garzanti, Milano 2010) dovrebbe forse essere letto anche da qualche vaticanista.
Benedetto XVI non è inconsapevole di questi attacchi. È molto interessato alle nuove tecnologie e alla necessità di migliorare le strategie di comunicazione della Santa Sede. Ma, concludono Rodari e Tornielli, è anche molto sereno. È disponibile a seguire i problemi che la rivoluzione delle comunicazioni – una rivoluzione forse non meno importante di quella degli anni 1960 in tema di morale e di crisi dell’autorità – pone alla Chiesa, ma non a inseguirli.
Insiste sul fatto che la salvezza della Chiesa perseguitata non verrà dalle strategie, dalle diplomazie, dalle tecnologie – per quanto queste siano importanti e non vadano trascurate – ma dalla fedeltà alla preghiera, alla meditazione, al Cristo crocefisso. È probabile che abbia ragione non solo, com’è ovvio, sul piano spirituale ma anche su quello culturale e sociologico, dove alla Chiesa non si chiede d’imitare i modelli dominanti ma di essere se stessa. Non tutti, anche tra i cattolici, sembrano averlo compreso.
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Ag Zenit (ZENIT.org).- 18 settembre 2010
Intervista con Andrea Tornielli, vaticanista de “Il Giornale”
di Antonio Gaspari e Carmen Elena Villa
ROMA _ “L’unica cosa che non si perdona a Ratzinger è quella di essere stato eletto Papa…”. Così si conclude il libro “Attacco a Ratzinger. Accuse scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI” (Piemme), scritto da Paolo Rodari, vaticanista de “Il Foglio”, e Andrea Tornielli, vaticanista de “Il Giornale”.
Il libro è stato presentato nel corso del seminario dedicato all’informazione sulla Chiesa cattolica e organizzato a Roma dall’Università della Santa Croce a Roma, dal 6 al 12 settembre scorsi, sul tema “La Chiesa da vicino: raccontare il cattolicesimo al tempo di Benedetto XVI”.I due autori ricostruiscono con dovizia di particolari e informazioni originali e inedite, come la stampa internazionale si è accanita contro il Pontefice Benedetto XVI. Dalle polemiche suscitate dal discorso pronunciato a Ratisbona, alle dimissioni dell’Arcivescovo di Varsavia; dal documento che liberalizza la messa antica alla revoca della comunica per i Vescovi Lefreviani; dalla crisi diplomatica scatenata dopo le dichiarazioni circa l’inutilità dei profilattici nella lotta all’AIDS fino al dilagare dello scandalo dei casi di pedofilia.
I due noti vaticanisti analizzano le ragioni sostenute dall’accusa, mostrando come siano i pregiudizi e la disinformazione a dettare le agende e la linea editoriale delle campagna stampa contrarie al Vescovo di Roma. Gli interessi che muovono la critica contro l’attuale Pontefice sono diversi, Rodari e Tornielli, ne identificano alcuni, e spiegano che il vero obiettivo dei nemici esterni ed interni alla Chiesa è quello di screditare la Santa Sede e il Primato di Pietro, con l’intento di renderne inefficace il messaggio e l’insegnamento.
Per approfondire un tema di così scottante attualità, ZENIT ha intervistato uno degli autori, Andrea Tornielli.
Chi ha interesse a criticare e attaccare il Pontefice di Roma?
Andrea Tornielli: Per gli attacchi esterni, credo ci siano degli interessi che non sono gestiti da un’unica regia. Credo che, pur non esistendo un complotto organizzato o un’unica regia, vi siano gruppi, lobbies, poteri economici e/o politici che hanno interesse a depotenziare la voce della Chiesa, riducendone l’autorevolezza internazionale e la presa sulle popolazioni, per i fini più disparati.
Perchè lo attaccano? Perchè gli hanno impedito di parlare all’Università la Sapienza di Roma? Che cos’è che il potere secolarizzato teme dal pontificato di Benedetto XVI?
Andrea Tornielli: Certe campagne mediatiche sono determinate dal “frame” negativo, dal pregiudizio consolidato e per nulla corrispondente alla realtà, che ha dipinto il Cardinale Ratzinger prima e Papa Benedetto poi come un retrogrado conservatore, illiberale e antidemocratico. Il caso della Sapienza è esemplare perché non solo gruppuscoli di studenti ideologizzati ma anche ricercatori e professori hanno “giudicato” Ratzinger sulla base di una citazione sbagliata presa da Wikipedia (il che dovrebbe dirci qualcosa anche sullo stato delle nostre università). Il potere secolarizzato teme l’annuncio di una verità irriducibile, ci sono lobbies e gruppi di potere ai quali dà fastidio la morale cristiana e l’insegnamento etico della Chiesa. In certe situazioni la voce della Chiesa rimane l’unico baluardo di una coscienza non anestetizzata.
Lei ha parlato di attacchi esterni. Pensa che ci siano anche degli attacchi interni?
Andrea Tornielli: Certo, e che sono frutto di ciò che noi chiamiamo un dissenso interno alla Chiesa: cioè teologi e anche Vescovi che criticano apertamente certi aspetti del magistero di Benedetto XVI . E inoltre ci sono degli attacchi inconsapevoli, perché non voluti, da parte della macchina curiale che facilita alcune crisi che si sarebbero potuto evitare o spegnere subito invece hanno fatto sì che si incendiassero e diventassero grandissime.
Durante il volo che lo ha condotto in Portogallo, l’11 maggio scorso, il Pontefice Benedetto XVI ha detto: “Oggi vediamo in modo terrificante che la più grande persecuzione della Chiesa viene dall’interno, dai peccati che ci sono dentro la Chiesa stessa, e non dai nemici fuori”. Quali sono i peccati a cui il Papa si riferisce, e quali sono i gruppi e le persone che lo avversano dall’interno della Chiesa?
Andrea Tornielli: La domanda era stata formulata con un riferimento esplicito agli scandali della pedofilia che coinvolgono esponenti del clero. La risposta del Papa è stata drammatica. Benedetto XVI ha spiegato che l’attacco più forte nasce all’interno, è il peccato nella Chiesa. In fondo, la storia ci insegna che dagli attacchi esterni la Chiesa alla fine è sempre uscita rafforzata, magari dopo lunghi periodi di difficoltà se non di persecuzione. E’ l’attacco dall’interno che la demolisce. Ora, non ci sono soltanto i tremendi, anzi “terrificanti” episodi dell’abominevole crimine della pedofilia. C’è anche l’avanzare di un pensiero non cattolico all’interno della Chiesa cattolica: una realtà denunciata con estrema lucidità già dal grande Papa Paolo VI e che oggi purtroppo persiste. Sono rimasto colpito, ad esempio, da certe reazioni forti contro la decisione di Benedetto XVI di liberalizzare la messa antica. Reazioni pubbliche, arrivate anche da Vescovi. Ma gli esempi sarebbero molti.
Il Pontefice, nell’omelia della messa che concludeva l’anno sacerdotale l’11 giugno 2010, ha parlato in toni molto espliciti, di eresie e della necessità dell’uso del bastone contro i lupi che vogliono irrompere nel gregge. A chi si riferiva? Chi sono i lupi che vogliono irrompere nel gregge? Quali sono le eresie moderne che albergano nella Chiesa?
Andrea Tornielli: Nel nostro libro analizziamo le crisi dei primi cinque anni di pontificato di Papa Ratzinger, non facciamo un elenco di possibili eresie. Vorrei però ricordare che purtroppo oggi si diffondono, in modo più o meno sotterraneo, idee e interpretazioni che finiscono per minare la fede dei semplici e più in generale la fede cattolica non su qualche conseguenza – dove magari sarebbe più comprensibile un dibattito e la coesistenza di interpretazioni differenti – ma proprio sull’essenziale della fede. In questo senso, come spiegava l’allora Cardinale Ratzinger agli inizi del suo mandato come Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il Magistero ha il compito di proteggere la fede dei semplici, di coloro che non scrivono sui giornali e non vanno in Tv.
In questo senso, il Magistero ha un compito – diceva – “democratico”. Credo che un cambiamento radicale che il Papa chiede a tutti sia quello dell’essere coscienti che la Chiesa non è “fatta” da noi, non si può considerare alla stregua di un’azienda, tutto non può essere ridotto a rivendicazioni su funzioni e ministeri, la sua vita non può essere pianificata soltanto con strategie pastorali. Se imparassimo da questo costante richiamo del Papa, forse molti oppositori palesi e occulti comprenderebbero che il Papa non è un monarca assoluto, ma che anch’egli obbedisce a Gesù Cristo nel trasmettere il depositum fidei.
Secondo l’Arcivescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi, esiste un magistero parallelo anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici che “mettono in sordina gli insegnamenti di Benedetto XVI, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna”. E’ proprio così o monsignor Crepaldi si sbaglia?
Andrea Tornielli: Credo che l’Arcivescovo Crepaldi parli a ragion veduta. E’ un dato di fatto, basta girare per molte parrocchie, partecipare a conferenze, incontri culturali, etc. per rendersi conto di come il magistero di Benedetto (ma ciò accadeva anche prima, con gli altri Papi) non sia trasmesso ai fedeli, ma anzi talvolta sia apertamente contraddetto.
Ratisbona, preservativo, Williamsom, abusi sessuali. Sono alcuni dei principali scandali mediatici. Che cosa hanno in comune tutti questi attacchi?
Andrea Tornielli: Credo che l’unica cosa vera che hanno in comune è quella di aver spostato l’attenzione da ciò che il Papa veramente voleva dire e fare. Per esempio: Ratisbona, il Papa non stava parlando contro l’ islam ma stava facendo un discorso sulla fede e la ragione. Questo discorso è passato in secondo piano dal punto di vista mediatico. Poi poco a poco si è capito il dialogo con gli intellettuali islamici. Il preservativo: un tema che il Papa non ha mai toccato nei suoi discorsi in Africa. E stato un viaggio bellissimo: attenzione della gente, partecipazione della liturgia, messaggio importante per quanto riguarda il lavoro del sinodo con cose importante sullo sviluppo del Africa, messaggi importanti sullo sviluppo di una teologia africana, tutto dimenticato. Così Williamsom, una iniziativa come togliere la scomunica che era una iniziativa di riconciliazione si è spiegata come una grande crisi nei confronti del mondo ebraico. La cosa in comune è che non si fa passare il vero messaggio del Papa.
Lo attaccano perché esiste il cliché consolidato, ma anche perché – purtroppo – talvolta il mondo dell’informazione non è preparato a presentare certi messaggi o a interpretarli in una cornice corretta. Lo attaccano perché in più di un’occasione – spiace dirlo ma è così, e nel libro crediamo di averlo documentato – anche chi sta più vicino a Benedetto XVI potrebbe aiutarlo di più per evitare che sorgano polemiche inutili o per spegnerle non appena insorgono.
Come presentate il caso Williamsom nel libro?
Andrea Tornielli: Lì la cosa evidente è che c’è stato qualche problema, come può sempre capitare: la informativa che è stata spedita dalla Svezia, quando lui ha rilasciato l’intervista, non è arrivata sui tavoli giusti in Vaticano. Quando è stato deciso di concludere e togliere la scomunica, in quel momento né il Papa né i suoi collaboratori conoscevano l’intervista. Ma il problema dal mio punto di vista e ciò che è successo dopo cioè che, in quei quattro giorni che sono passati tra la pubblicazione della intervista e l’annuncio ufficiale, il decreto era già stato consegnato.
In quel periodo di tempo non si è cercato di fare niente. Si poteva dire ai lefebvriani: “non lo pubblichiamo aspettiamo un mese”, si poteva spiegare il decreto portando un Cardinale importante come Kasper, oppure lo stesso Segretario di Stato che veniva a dire, a nome del Papa, che queste cose dette da Williamsom sono incettabili, che la Chiesa non le ha mai credute e mai le crederà, e che il gesto di togliere la scomunica non c’entra nulla con queste idee. Allora nel nostro libro non accusiamo nessuno, perché credo che siamo parte in causa più della Santa Sede. E per noi, intendo i media. La colpa è più nostra. Ma il Vaticano avrebbe potuto fare meglio.
E nel caso Murphy, il New York Times ha manipolato l’ informazione?
Andrea Tornielli: Intanto diciamo che il problema esiste e dunque non sono falsi casi, sono casi veri, anche se riguardano il passato. Ed è una cosa gravissima. Però credo che ci sia stata in molti casi, la mancanza di competenza e di volontà di capire la totalità dei fattori, che si sia voluto in maniera diretta ed un po’ gratuita arrivare subito al Papa, dire che lui è il colpevole di questa situazione e di questo fatto, perché i documenti del New York Times erano tradotti con google translator e l’inglese non corrispondeva alla realtà di quanto scritto in latino.
Allora, io capisco tutto, non sto giudicando, però è certo che ci sia stata una campagna e che era finalizzata a cercare e ad addossare la responsabilità sul Papa. Detto questo, però, credo che la grande risposta del Papa non sia mai stata quella di difendersi attaccando gli altri. Non ha mai parlato nei confronti della stampa di campagna mediatica, non si è mai rifugiato dietro le statistiche come hanno fatto i suoi collaboratori. Lui ha mostrato un alto punto di vista che è il punto di vista della fede e ha detto che gli attachi più grandi sono venuti dall’interno della Chiesa. Lui chiama questo tempo un tempo di grazia e di purificazione. Dice: dobbiamo fare penitenza e cambiare. Questo lo trovo molto cristiano e molto bello dal punto di vista del Papa. Mi piacerebbe che fosse assunta di più questa posizione da parte di tutti.
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Paolo Rodari e Andrea Tornielli Attacco a Ratzinger. Accuse, scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI (Piemme, Milano 2010)