di Guido Verna
«Molti allora avevano avvertito gli avvenimenti del 9 novembre 1989 come gli albori inaspettati della libertà, dopo una lunga e sofferta notte di violenza ed oppressione per un sistema totalitario che, alla fin fine, conduceva in un nichilismo, in uno svuotamento delle anime. Nella dittatura comunista, non vi era azione alcuna che sarebbe stata ritenuta male in sé e sempre immorale. Ciò che serviva agli obiettivi del partito era buono – per quanto disumano poteva pur essere»
[Benedetto XVI]
«Oltre certi limiti di sofferenza… non si può continuare a essere uomini. Si resta sempre vittime»
[p.161]
1. Una decina di anni fa, per svolgere qualche riflessione sull’eutanasia, presi spunto da un servizio giornalistico in cui si raccontava della agghiacciante scoperta di un itinerario possibile — la cosiddetta “via dei tulipani” — per la soluzione del problema della “vecchia mamma”, col rasserenante supporto di una Agenzia di (ultimi) viaggi [cfr. MN].
La “via dei tulipani” era descritta serena e colorata, senza spigoli e ruvidezze: «la clinica — raccontava il giornalista — è bella e funzionale […] il medico è molto preparato, uno specialista, l’assistente conosce bene l’italiano […] l’atmosfera è tranquilla e serena […] la signora olandese è molto affettuosa […] il sonno arriverà molto dolcemente […] i familiari e gli amici saranno intorno al letto, terranno le loro mani nelle mani del congiunto. Dopo, l’arresto cardiaco e la morte». E quando il medico l’avrà sanzionata ufficialmente trasformando il tulipano in crisantemo, solo allora è finalmente «il tempo delle lacrime».
Questo articolo mi è tornato in mente in questi giorni durante la lettura di un libro di recente edizione — Musica per lupi di Dario Fertilio —, dove ho incontrato di nuovo i tulipani. E ancora una volta li ho incontrati in una prospettiva altrettanto terribile, trovandoli sulle strade intorno al luogo dove, secondo uno dei massimi esperti di barbarie come Alexandr Solgenitsin, si è consumato «il più terribile atto di barbarie del mondo moderno» (come riportato nell’esergo del libro stesso).
2. La ri-creazione dell’uomo finalmente liberato dalle catene del Cielo e da quelle della storia e della natura, è stato sempre — come doveva essere, d’altronde — lo scopo principale del comunismo e anche la misura dello stato di avanzamento dei suoi “lavori” e, un giorno, finalmente illuminati dal Sol dell’Avvenire, l’ammirabile esito del suo compimento.
L’”uomo nuovo” doveva risultare «[…] votato alla causa del partito e dello Stato e libero dalle distorsioni e alienazioni psicologiche della società borghese» [RC]. E non poteva che essere così, perché così assicurava la «[…] teoria marxista secondo cui la coscienza è determinata dalle condizioni socioeconomiche. [E quindi] il socialismo avrebbe inevitabilmente prodotto un’altra, superiore, forma di umanità » [Ibid.].
Il punto di riferimento pedagogico fu Makárenko — il pedagogo di fiducia degli “organi”, la spietata polizia politica, secondo la definizione di Solgenitsin —, per il quale, in vista dell’edificazione del nuovo mondo socialista, l’educazione dell’uomo nuovo non poteva più tener conto di elementi religiosi o borghesi come la natura e gli interessi del discente, bensì alzarsi e allargarsi alle nuove grandiose necessità politiche e sociali.
Ebbene, dal 1949 al 1952, a Piteşti — città rumena tra Bucarest e Sibiu, sul fiume Arges — fu tentato dal regime comunista un esperimento spaventoso: creare questo “uomo nuovo” — il tragico sogno gnostico della rivoluzione, oggi coltivato dai postcomunisti con l’ingegneria genetica, sua ultima e angosciosa spiaggia — facendo ricorso non al “classico” sistema educativo semicarcerario e collettivistico previsto dalle spietate tecniche pedagogiche di Makárenko bensì rieducandolo «[…] tramite la tortura continua fisica e psichica […] praticata a vicenda tra i detenuti politici» [SI], fino, però, a superare ogni limite non solo umanamente ma anche bestialmente immaginabile.
3. Alla «[…] pedagogia postrivoluzionaria [che] proclamava il principio teorico secondo cui la punizione educa degli schiavi, […] Makárenko obietta[va]: “La punizione può educare degli schiavi, ma può anche allevare delle persone più che a posto, degli uomini liberi e fieri” » [MG-AN].
A Piteşti, tale obiezione, se da un canto fu perfettamente recepita per ciò che riguardava gli “uomini liberi e fieri”, dall’altro fu spinta parossisticamente ben «[…] oltre i limiti consentiti […] [dallo stesso] Makárenko, oltre l’idea della violenza intesa come mezzo ideologico» [p.115].
Da un lato le persone distrutte a Piteşti — «[…] forse cinquemila», che sono moltissime, considerato il breve tempo dell’esperimento — […] furono «[…] soprattutto studenti universitari d’opposizione al regime instauratosi in Romania, sulla punta delle baionette sovietiche. Vittime giovani, malleabili. In gran parte legionari dell’Arcangelo Michele o Guardie di Ferro — o come altrimenti si chiamavano gli allievi di Corneliu Codreanu» [p.12].
Dall’altro, a Piteşti — per dar «[…] corpo al progetto di creare in laboratorio un’umanità pervertita» [p.171] — furono raggiunti baratri di antiumanità così profondi da raggelare i cuori anche solo dei lettori di oggi. A Piteşti, «[…] spingere i detenuti a torturarsi a vicenda era lo scopo demoniaco dell’impresa» [LNC-1]. A Piteşti, Turcanu, il grande capo del laboratorio, nuovo Mefistofele, aveva stabilito che «esistono soltanto due possibilità […] [uscire] o morti o rieducati […]. Svuotatevi, fatelo completamente, e forse vivrete. Io sono il padrone della vostra memoria, datela a me» [p.92].
4. Il fantasma di Turcanu è diventato purtroppo anche il padrone della nostra memoria, se è vero che è «incredibile, ma non si sa quasi niente sul crimine più diabolico del comunismo e cioè il genocidio delle anime che aveva come scopo la genesi “dell’uomo nuovo“» [SI].
Eppure «Piteşti è giù in fondo. Oltre non c’è più niente. […] Il sangue […] scorreva copioso […] finendo con l’assumere un significato anche simbolico, rituale. Una discesa per tappe, o bolge, al punto di non ritorno. Laggiù in fondo il cerchio abissale si chiudeva» [p.171].
Le torture avevano nomi accattivanti ma erano di una cattiveria disumana: il guanto di ferro, il rodeo, l’aeroplano, la serpentiera, le celle mon jardin. Trascuro, per la loro insopportabilità, i riti iniziatici, le messe nere, le offese alla Madonna e a Gesù.
«La fantasia delirante di Turcanu si scatenava in modo particolare contro gli studenti credenti che rifiutavano di rinnegare Dio. […] I seminaristi erano invece obbligati […] a celebrare le messe nere che lui metteva in scena soprattutto la Settimana Santa, la sera di Pasqua» [LNC-2].
Nel Libro nero del comunismo, la procedura di distruzione umana fondata sugli “smascheramenti” successivi ed applicata con atroce fervore a Piteşti, è descritta nella sua articolazione: «La prima fase della rieducazione si chiamava “smascheramento esterno”: il prigioniero doveva dare prova della propria lealtà confessando quanto aveva nascosto durante l’istruttoria del processo, in particolare i legami con gli amici in libertà. Nella seconda fase, lo “smascheramento interno”, doveva denunciare quanti l’avevano aiutato all’interno della prigione. Nella terza fase, lo “smascheramento morale pubblico”, si chiedeva al detenuto di schernire tutto ciò che considerava sacro: i genitori, la moglie, la fidanzata, Dio se era credente, gli amici. Si arrivava, così, alla quarta fase: il candidato all’adesione all’ODCC [Organizzazione dei detenuti dalle convinzioni comuniste] veniva designato a “rieducare” il suo migliore amico, torturandolo con le sue stesse mani; e diventando, quindi, a propria volta un carnefice» [LNC-1].
Sorin Iliesiu — il cineasta rumeno che sta trovando qualcuno che lo aiuti economicamente a realizzare un film documentario sull’ “esperimento” — da parte sua conclude così il racconto delle procedure dei torturatori: «Quelli che si rifiutavano dovevano rientrare nel processo della rieducazione e attraversare di nuovo tutte le tappe finché accettavano il ruolo di “ri-educando”; chi continuava a rifiutarsi veniva ucciso.[…] non ci sono parole per descrivere tutto quello che hanno subito quei giovani anticomunisti (quasi 2000), la maggioranza studenti al momento dell’arresto. Malgrado tutto, il genocidio delle anime non è avvenuto perché l’anima è immortale e questa convinzione è stata la speranza dei detenuti condannati. Solo la fede in Dio li ha salvati» [SI].
Di fronte a un sistema di perversione così organizzato, è comprensibile come il regime avesse imposto il silenzio assoluto e l’ombra più fitta: «Tra tutti i crimini perpetrati nelle carceri comuniste rumene, il programma di “rieducazione” fu quello circondato da maggior segreto» [LNCE].
Poi, qualcosa dal carcere di Piteşti cominciò a fuoriuscire, magari solo un piccolo rivolo, che però era talmente avvelenato e così puteolente da far seriamente rischiare che qualcuno volesse guardarci dentro meglio.
E allora, per annullare il rischio, si utilizzò tempestivamente un classico metodo comunista, il suo passepartout universale: l’accusa denunciò «un piano diabolico, di marca fascista […] realizzato in seguito a un riprovevole rilassamento della vigilanza carceraria. Proprio per questo, per fermare il veleno prima che si diffonda, si rende necessario un processo a porte chiuse» [p.140].
Turcanu e quindici suoi “collaboratori” — scelti sia tra quelli “spontanei” della prima ora sia tra quelli obbligati a essere torturatori dalla tortura a lungo subita — furono fucilati il 17 dicembre 1954, «[…] segretamente, in perfetto stile bolscevico. Il Ministero dell’interno, […] voltò pagina come se niente fosse accaduto» [p.13].
Come il Ministero, voltò pagina anche il mondo “libero”.
5. Da Wikipedia: Il tulipano è «[…] originario della Turchia e suo simbolo nazionale floreale. […] Il suo nome in turco deriva da tullband che significa copricapo, turbante per la forma che il fiore sembra rappresentare. Questo tipo di fiore vide la sua massima popolarità nel periodo di Solimano il Magnifico che lo volle sviluppare in numerose varietà ed impiantare ovunque in Turchia sotto il suo regno nel XVI secolo» [WKP].
6. Piteşti è la città dei tulipani e il tulipano è il simbolo della città. Ogni anno, ad aprile, a Piteşti c’è la festa dei fiori e «[…] la grande mostra internazionale battezzata “sinfonia dei tulipani” con giochi di spruzzi e luci variopinte alla fontana musicale, e sfilate di bambine in abiti rossi e coroncine fiorite, con gite tra i frutteti e le vigne» [p.162].
Il vecchio torturato è voluto tornare a 80 anni nel luogo del suo martirio giovanile ma non vede il colore dei fiori, vede grigio, anzi immagina grigio, “quel” grigio. «Il solito grigio dell’est, la vernice che un tempo ha ricoperto tutto, è precisamente quanto ha in mente Virgil Ionescu. Da giovane, si è chiesto tante volte perché le città dell’oriente socialista fossero tutte sepolte sotto quella identica coltre grigia. Adesso lo sa. Serviva a diffondere rassegnazione e ad allentare l’istinto vitale. La vitalità è sempre pericolosa, suscita pensieri proibiti» [p.164].
A Piteşti, Virgil subì una tortura che lo fece diventare cieco. La nipotina di 12 anni lo porta in giro prendendolo per mano e, chissà, forse gli racconta il colore dei tulipani.
Ma Virgil detesta i tulipani. «Una vecchia maledizione riguarda i tulipani romeni. Molti anni dopo che lui era uscito dalla prigione di Piteşti, e ancora fino alla caduta del regime, “quelli” hanno continuato imperterriti a demolire le chiese; lo facevano sia a Bucarest che nelle città più piccole o nei villaggi. Agivano da malandrini, di notte, sicché al mattino chi passava da quelle parti trovava al posto delle chiese soltanto erba, aiuole e tulipani. Per questo Virgil Ionescu ha imparato a detestarli» [p.164].
7. Che farò, ora, con i tulipani che fioriscono nel piccolo giardino di casa? Prenderò le forbici “da pota” e li taglierò o svellerò addirittura i bulbi?
No, non farò così: perché — da sempre e dove posso — la bellezza è il mio promemoria preferito. Per ricordare la “politica”, per esempio, preferisco posare lo sguardo sul Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti piuttosto che sul Quarto Stato di Pellizza da Volpedo.
I memento ispirati dal “bello” — nel caso di specie, anche profumati — permettono di ricordare “meglio”, perché liberano l’intelligenza e la memoria dai flutti impetuosi e spesso ostili delle passioni e le ben dispongono, acquietandoli e perciò acquietandole.
E allora, passeggiando in giardino, ricorderò con i colori dei nostri tulipani i molti “fronti” che hanno assorbito e continuano ad assorbire le attività di studio e di azione di quei cattolici che come me e tanti miei amici hanno deciso di impegnarsi — non necessariamente all’interno di partiti, anzi … — in quella nobile opera di carità sociale che è la politica.
Dunque, per cominciare, ai tulipani rossi, che nascono tra il melograno e il gelso, affiderò la memoria del sangue di Piteşti e dei milioni di morti “prodotti” dal comunismo.
Quelli bianchi, svettanti ai bordi del piccolo prato, del comunismo, invece, mi faranno tornare in mente il suo ateismo, l’odio contro Dio e contro la religione, le chiese distrutte nottetempo e l’inganno del prato fiorito, che può assumersi come paradigma della sua marcia (e di quella dei suoi epigoni, che la continuano con altri nomi).
Poi, il tulipano giallo, tra le rose nell’aiuola d’angolo, mi ricorderà il turbante e Solimano il Magnifico, la presa di Belgrado e la conquista di Rodi, ma anche Lepanto e il Beato Marco D’Aviano.
E infine, i tulipani viola, che si pavoneggiano presuntuosi vicino al rosmarino, mi rammenteranno — modernissimi e attuali, con il colore à la page — l’ingegneria genetica, l’aborto, l’eutanasia, l’Olanda, la vita e la morte degli innocenti … ma pure — Cicero pro domo sua — la vita e la morte dei vecchi peccatori, a cui — per ridurre le spese sanitarie e le noie dei figli e dei nipoti — si vorrebbe togliere anche il tempo di chiedere lungamente perdono…
Note
Dario Fertilio, Musica per lupi, Marsilio, Venezia 2010. Le indicazioni di pagina senza altre specificazioni sono riferite a questo libro.
[Benedetto XVI] Discorso del Santo Padre Benedetto XVI, Cappella Sistina, 4 dicembre 2009, per il Concerto in onore del Santo Padre offerto dal Presidente della Repubblica federale di Germania, S.E. il sig. Horst Köhler, in occasione della ricorrenza del 60° della fondazione della Repubblica federale di Germania e nel 20° anniversario della caduta del Muro di Berlino.
[SI] Sorin Iliesiu, Appello per conoscere la verità sull’invenzione più diabolica della storia: l’esperimento Piteşti in Il genocidio delle anime. L’esperimento Piteşti. La rieducazione tramite la tortura, visitato il 23-04-2010.
[RC] Robert Conquest, Il secolo delle idee assassine, trad. it., Mondadori, Milano 2002, p.128.
[MG-AN] Mihail Geller – Aleksandr Nekric, Storia dell URSS. Dal 1917 a Eltsin, trad. it., Bompiani, Milano 1997, p.328. La citazione è ripresa dagli autori da A.S. Makarenko, Socinenija, vol. V, p.112.
[LNC-1] Karel Bartosek, Europa centrale e sudorientale, in Idem, Stéphane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Jean-Louis Margolin, Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore, repressione, trad. it., Mondadori, Milano 1998, pp. 392-393.
[LNC-2] Ibid., p.393, box L’inferno di Piteşti.
[LNCE] Romulus Rusan [a cura di], Il sistema repressivo comunista in Romania, in Stéphane Courtois [a cura di], Idem, Gauck, Jakovlev, Malia, Cvetkov, Ognjanov, Šarlanov, Rusan, Neubert,Yannakakis, Baillet, Il libro nero del comunismo europeo. Crimini, terrore, repressione, trad. it., Mondadori, Milano 2006, p. 327.
[MN] Massimo Numa, articolo su La Stampa, 17-11-2001.
[WKP] http://it.wikipedia.org/wiki/Pitesti , visitato il 23-04-2010.