dalla newsletter dell’AMCI (Associazione medici cattolici italiani) Febbraio 2018
Cellule umane in embrioni ovini per ottenere organi: ombre etiche e scientifiche
Francesco Ognibene
Una possibile, anche se remota, soluzione alla carenza di organi per trapianti, oppure una nuova tappa nel viaggio inquietante di una scienza sempre più ardita alla scoperta di nuove forme viventi a lei stessa ignote? Meno di un mese dopo la clonazione di due macachi, arriva l’embrione di pecora con cellule umane a interrogare la nostra coscienza e a dividere gli stessi scienziati.
L’annuncio arriva dal meeting annuale della «American association for the advancement of science» in corso ad Austin, nel Texas, dove Pablo Juan Ross, del Dipartimento di scienze animali dell’Università della California di Davis, ha presentato i dati preliminari di una ricerca nella quale sono stati prodotti embrioni ibridi interspecie, inclusi quelli di pecora con cellule staminali pluripotenti umane.
Un embrione pecora- uomo (impossibile trovare un nome adatto a questa inimmaginabile creatura) è stato fatto sviluppare fino a 28 giorni e poi distrutto, ma l’obiettivo dichiarato è di arrivare almeno a 70 giorni per ottenere risultati più probanti. Ma perché questo esperimento tanto estremo?
La ricerca, condotta insieme all’équipe della prestigiosa università californiana di Stanford sotto la guida dello studioso giapponese di medicina rigenerativa Hiro Nakauchi, punta ad aprire la strada allo sviluppo, dentro il corpo di specie animali scelte, di organi (nella fattispecie, un pancreas per pazienti diabetici) per il trapianto nell’uomo, resi compatibili proprio con l’introduzione durante la fase embrionale di cellule adulte riprogrammate, ovvero divenute pluripotenti e pronte a evolversi nell’organo o tessuto desiderato.
Rispetto agli xenotrapianti – l’ipotizzato uso di organi di animali per sostituire quelli umani – qui si inseriscono elementi umani nell’embrione animale, mentre rispetto alle chimere – gli embrioni misti uomo-animale – non risulta un incrocio di materiale genetico ma ‘solo’ la creazione di un inedito ibrido.
E qui arriviamo al punto: per ottenere un risultato solo ipotizzato, è davvero necessario intrecciare il materiale biologico di un essere umano con quello di un ovino? La scienza non avverte la necessità di non oltrepassare una soglia oltre la quale essa stessa vede solo l’ignoto?
Per capire se la ricerca può dare risultati, infatti, non c’è che da completare l’esperimento facendo nascere la creatura così assemblata, qualunque cosa essa sia. E qui le interpretazioni divergono: c’è chi dice che basta limitarsi a creare in condizioni di sicurezza l’organo desiderato senza dar luogo a un nuovo essere vivente con patrimonio genetico misto, e altri invece per i quali l’aver aperto questa porta affacciata sul buio è sufficiente a imporsi, in coscienza, l’immediato stop.
Dare la parola al responsabile del Centro nazionale trapianti, diretto interessato all’ipotizzato allargamento dell’offerta, pare la prima cosa da farsi. E la sua risposta non lascia dubbi: «È un’ipotesi enormemente fantasiosa, una proiezione forzata di un esperimento dalla dubbia utilità – è il commento di Alessanro Nanni Costa –. Senza considerare la possibile ricaduta sulle donazioni di organi di notizie simili, invito a considerare due problemi: come si fa a essere certi che nell’animale crescerà l’organo desiderato e con le caratteristiche necessarie? E le cellule umane inserite nell’embrione ovino dove vanno a posizionarsi? Non risultano tecniche di controllo sulla loro destinazione, tali almeno da evitare che entrino a far parte ad esempio del sistema nervoso della pecora. È indispensabile una grande cautela».
Non dissimili le autorevoli riserve espresse da altri esperti in materia: «È una strada il cui traguardo non sarà così immediato» spiega a Tg2000 il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che parla di «qualche lustro», sempre che ci si arrivi. Dunque è «sicuramente un annuncio prematuro» visto che «per raggiungere l’obiettivo il rapporto tra cellule umane e ovine va potenziato di 100 volte» rispetto a quello documentato (che è di una a 10mila) senza parlare poi del «rischio di trasmettere infezioni da parte dell’animale».
«Stiamo andando verso un tentativo, ancora molto azzardato, di creazione di esseri ibridi per la realizzazione su larga scala di un prodotto che non tiene conto dei rischi per l’uomo come specie – è la valutazione di Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita –. È vero che per ora non è stato modificato né il genoma della pecora né quello dell’uomo, ma preoccupa il possibile mancato controllo di tecnologie in grado di modificare a piacimento la specie umana».
«L’esperimento è simile a una coltura di cellule staminali umane in vivo nel corpo di un animale in sviluppo – riflette il genetista dell’Università Cattolica don Roberto Colombo, membro della Pontificia Accademia per la vita –, dunque la tecnica in sé non è equiparabile alla produzione di un vero e proprio embrione chimerico animale-uomo completo».
Tuttavia le cellule umane dentro l’animale «potrebbero generare colonie di cellule differenziate in organi diversi da quelli attesi per il trapianto, non escluso il cervello, suscitando gravissime preoccupazioni antropologiche ed etiche», con la possibile aggravante del ricorso a «embrioni umani generati intenzionalmente in laboratorio e distrutti per isolarne le cellule e coltivarle in vitro» per poi inserirle nella pecora, una pista che renderebbe «moralmente inaccettabili queste ricerche».
Morale: «Altre sono le strade lecite da percorrere per giungere a rendere disponibile un maggior numero di tessuti e organi per i trapianti».