di Isacco Tacconi
“Calunnia senza timore: qualcosa rimane sempre attaccato”. Così sir Francis Bacon, umanista inglese e tra i primi filosofi della scienza, espresse la convinzione che se il popolo venisse riempito di menzogne prima o poi finirebbe per scambiare la verità con la sua contraffazione. Bacon fu membro del Consiglio privato di sua maestà Elisabetta I Tudor, Lord Cancelliere ed essendo parente di William Cecil, capo dei servizi segreti di sua maestà, fu testimone dei primi tentativi “scientifici” di manipolazione delle masse attraverso la propaganda e l’informazione di Stato, all’epoca in funzione anti-cattolica.
Oggi noi ci troviamo dinanzi a un fatto storico davvero singolare sul quale vale la pena riflettere. Siamo costretti a una quarantena coatta decretata dall’autorità civile sulla cui costituzionalità molti giuristi si stanno interrogando. E contemporaneamente essendo tutti confinati entro le mura domestiche e non avendo molto altro da fare, il cittadino medio è indotto a seguire minuto per minuto gli aggiornamenti riguardanti lo spettro del nostro tempo: il coronavirus.
La sua stessa esistenza quindi comincia a ruotare intorno ad un chiodo fisso: la paura del contagio. Tutti i mezzi di comunicazione di massa ci stanno predicando a reti unificate con ansiosa insistenza l’esplosione di un morbo sconosciuto, contagioso e molto pericoloso con il risultato di aver evocato nelle coscienze il terrore, non soltanto del virus, ma (cosa ben più grave) del prossimo giacché ogni essere umano, il nostro vicino di casa, i bambini in particolare, e financo i nostri stessi familiari sono diventati potenziali portatori di quel male che porrà fine alla nostra esistenza.
Qualcuno si è anche avventurato a paragonare il covid-19 all’influenza spagnola. Ricordo soltanto che l’influenza spagnola nel giro di un anno e mezzo falcidiò tra i 50 e i 100 milioni di morti (dati dell’ISS), di cui 25 milioni nei soli primi sei mesi a fronte dei 70.000 decessi attribuiti (ma da confermare) al covid-19 da dicembre 2019 ad oggi (dati della Johns Hopkins University). A occhio e croce siamo lontani anni luce dai decessi (accertati) da coronavirus. Ma non spenderò neanche una parola ad ipotizzare l’origine di questo corona virus.
Voglio però avere la possibilità di dubitare. Dubitare dell’affidabilità del messaggero. È un mio diritto. Il motivo è che nel contesto attuale la paura si è trasformata nell’arma più formidabile per spingere un popolo, con il suo proprio consenso, verso una mutazione genetica sociale che non ha precedenti.
Mentre l’economia reale del nostro Paese è sotto attacco gli unici a restare in piedi sono i grandi colossi dell’industria farmaceutica, i grandi distributori come Amazon e le grandi infrastrutture virtuali di Microsoft e Google: i database mondiali ai quali tutti, volenti o nolenti, adesso dovranno consegnare la propria identità e, quindi, la propria libertà (verrebbe da dire la propria anima) fino a livelli ancora imponderabili.
Nel 2018 l’avvocato israeliano Nimrod Kozlovski esperto in cyber-security avvertiva: “Non scambiate mai la libertà con la sicurezza”. E lo diceva in riferimento a quello che si chiama algorithmic profiling ossia il nuovo sistema automatizzato di raccolta dati che mediante calcoli e sintesi dei dati che ogni singolo individuo ha inserito volontariamente o involontariamente sul web ne definisce un profilo sociale e psicologico con una valutazione positiva o negativa.
Tale profilo sarà il risultato delle sue preferenze, delle sue abitudini, delle sue parole e di ogni traccia che il cyber-uomo avrà lasciato dietro di sé. “Queste valutazioni automatizzate che sembra possano predire il comportamento umano” aprono la strada a scenari di lotta preventiva alla criminalità stile Minority Report e c’è da chiedersi fino a che punto la cessione e, quindi, la manipolazione di questi dati possa ritorcersi contro la popolazione stessa attraverso meccanismi di repressione totalitari.
C’è qualcosa di oscuramente alchemico, oserei dire di teurgico in questa ricerca sempre più insistente di dati personali. La rete ci irretisce. Il Grande Occhio con voce melliflua ci supplica: “Ho bisogno di sapere di più su di te per poterti proteggere. Dimmi tutto. Condividi tutto ciò che sei e senti, e io saprò consigliarti e procurarti il meglio per te. Sarò io a proteggerti”.
Alcuni (i profeti che si fregano le mani perché non aspettavano altro) pensano che il covid-19 sia un castigo dal cielo per i peccati (degli altri…), altri (quelli più ottimisti) che sia un’opportunità per cambiare stile di vita poiché hanno creduto alla calunnia europeista ed ecologista secondo la quale “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. Altri ancora (più spirituali) credono che il Buon Dio “voglia dirci qualcosa”… I più semplicemente sono in preda al panico e danzano al ritmo della musica che gli viene suonata: rullano i tamburi.
Tutti quanti, profeti, ottimisti e spirituali, in cerchio intorno alla nuova arma di distrazione di massa: è la danza macabra. Ricchi e poveri, furbi e sprovveduti, depongono le loro piccole corone ai piedi del coronavirus. Orribile simbolo di morte, ma una morte che traghetta verso il vuoto, verso il nulla. E il terrore che improvviso si è dilagato mettendo a tacere le intelligenze, reprimendo gli istinti e facendoci desistere persino dalle condotte più perverse non ha niente a che vedere con l’immagine della morte che troviamo nelle nostre chiese, o nelle danze macabre medievali in cui la morte era soltanto un richiamo al più alto giudizio di Dio e quindi una chiamata alla conversione.
A quel tempo infatti, come fino a pochi decenni fa, la morte non era uno spauracchio, era una realtà concreta come la fame, la malattia e la fatica del lavoro (altro che smart work!) con la quale ci si confrontava ogni giorno; e i morti non si vedevano in televisione, ma li si doveva portare in spalla mentre le campane suonavano a morto accompagnando le processioni, e la gente si segnava al passaggio del feretro.
Oggi la morte invece non è una realtà umana, cioè parte integrante di questo mondo segnato dal peccato, è piuttosto un evento non reale ma virtuale, mediato, o meglio, mediatico. È uno spauracchio da sventolare per scacciare i passeri che pensano soltanto a beccare qua e là qualche blando piacere mondano, disposti persino a rinunciare alla libertà, a patto che, non appena passato il brutto spavento, gli venga restituita (sotto condizione e in libertà vigilata s’intende) la loro razione di becchime.
L’unica morte che ci viene spacciata è quindi quella più spaventosa, la morte secondo l’ateo. Una morte che ci priva dell’esistenza, cioè di tutto, e quindi terrorizza, paralizza e rende schiavi. Per evitare questa morte si è disposti a vendere la propria anima. Per questo provo onestamente un certo fastidio nell’improvvisa diffusione di catechesi cristiane sulla morte. Non perché esse non siano utili e salutari, ma perché coloro che sono terrorizzati dalla morte non pensano al male che hanno commesso, e che non vorrebbero aver commesso (il pentimento), quanto piuttosto ai beni che non vogliono perdere (la vita, la salute, l’esistenza).
Troppo temerario come giudizio? Al ricco epulone che invocava il miracolo per chiamare a conversione i suoi parenti Nostro Signore risponde: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi” (Lc 16,29-31). Figuriamoci se vedessero morire uno (su uno schermo)!
La verità è che siamo dinanzi al silenzio di Dio. I suoi pastori tacciono. Anzi, hanno chiuso (preventivamente) le chiese. Hanno sospeso i sacramenti. Nessuna processione, nessuna celebrazione. Tutt’a un tratto le famose “Rogazioni” e le Litanie dei Santi per scongiurare le epidemie, carestie, guerre e calamità naturali hanno perso d’attrattiva. Persino la Pasqua sarà sospesa. E intanto i fedeli languiscono… “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto” (Gv 20,13).
E non è questa forse la più grande vittoria del Maligno? L’aver convinto, cattolici in testa, che per il “bene della salute” del corpo bisogna privare le anime dei sacramenti, cioè della salute dell’anima? Abbiamo accettato, senza obiettare, che per evitare che il “male” si diffondesse attraverso il contatto tra i nostri corpi bisognasse privarsi anche del contatto con il Corpo e il Sangue del Salvatore.
C’è persino chi interpreta la sospensione dei sacramenti e la chiusura dei luoghi di culto come una sorta di “digiuno spirituale”! Gli inferi si stanno fregando le mani… Quando mai infatti la Chiesa e il Buon Dio hanno inteso farci fare penitenza e digiuno impedendoci di accedere ai Sacramenti, che sono la fonte della misericordia, o allontanandoci dai luoghi di culto? Tutto il contrario.
Anzi in tempi di crisi si è chiesta ai cristiani una maggior fedeltà ai sacramenti, un maggior ricorso al confessionale, specie in tempo di Quaresima poiché, lo ricordo, la prima e più perfetta forma di penitenza, più del digiuno e delle astinenze dai cibi, è proprio il Sacramento della Penitenza.
A parte lodevoli eccezioni, l’esempio generale che stiamo osservando da parte dei pastori (progressisti, conservatori o tradizionalisti), è una vera e propria dichiarazione di resa dinanzi al Nemico. Peggio. È un aver deciso di tagliare i viveri ai soldati semplici, (padri e madri di famiglia come noi) abbandonati nelle trincee come tante isole, assediati da tutte le parti senza rifornimenti né munizioni.
I sacerdoti e i religiosi tra di loro possono confessarsi e comunicarsi, assolversi e ricevere il Santissimo Sacramento, celebrare la Santa Pasqua come prescritto dalla Legge divina. Spero che se lo ricordino quando nelle loro case religiose, loro sì, celebreranno i Santi Misteri della nostra Redenzione che per ottenerceli, a noi cristiani e al mondo intero, il Verbo Incarnato, mite come un agnello ma coraggioso come un leone, ha dato sé stesso, la sua vita e il suo sangue.
“Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) e ancora “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv 6,53).
A loro per primi sarebbe stato richiesto di dare la vita per le loro pecorelle, e non di fuggire dinanzi ai lupi rapaci, che si chiamino virus, polizia, o decreto governativo. Qui si rischiano denunce e multe per delle scemenze ma i nostri fratelli nella fede in Siria, in Nigeria, in Iraq e (qualcuno deve esserselo scordato) in Cina vengono perseguitati, messi in carcere ed uccisi come animali. Quanta stoltezza.
Abbiamo perso di vista che “la nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne [compresi virus e batteri] ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra” (Ef 12,13). Il popolo geme incredulo. Il pastore è percosso e le pecore sono disperse. E“quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono” (Lc 11,29.32).
Non siamo difronte a un castigo divino. Siamo di fronte al silenzio di Dio, perché i pastori tacciono e fremono. “Avete taciuto abbastanza. È ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito” (Santa Caterina da Siena).